Le polemiche sollevate da alcuni specifici ambienti su “Community Library”, l’innovativa iniziativa regionale nata al fine di consentire la creazione di una vera e propria rete di “biblioteche di comunità” sul territorio pugliese (elaborata e gestita dalla Sezione “Valorizzazione territoriale” del Dipartimento regionale “Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio”, Assessorato “Gestione e valorizzazione dei beni culturali”), mi hanno riportato ad un recentissimo episodio. Due docenti, Vito (Losurdo) e Giammarino (Giacomobello), della scuola media “Tommaso Fiore” di Altamura, la mia Città, mi avevano dato appuntamento, alle 21.30, due sere fa, presso la scuola per definire alcuni dettagli dell’organizzazione dell’inaugurazione di “Agorateca”, la biblioteca di comunità nata grazie a questo bando regionale presso la scuola altamurana, fissata per mercoledì prossimo, 12 giugno. I due erano lì per controllare lo stato dei luoghi, della moderna biblioteca appena creata dal nulla e nel nulla, in un quartiere cosiddetto periferico, privo di alcun servizio o alcuna struttura sociale, se non la scuola stessa. Giorni prima, si era consumato un atto vandalico che aveva parzialmente danneggiato un macchinario del moderno sistema che assicurerà autonomia energetica alla struttura. Erano preoccupati e, quasi ogni sera, un “salto” alla “loro” biblioteca lo fanno… come si dice, a “buttare un occhio”. Poi li ho visti srotolare un lungo tubo, acquistato con i propri soldi, e per circa mezz’ora li ho visti intenti (non mi sono sottratto) ad innaffiare e a prendersi cura, con amorevolezza infinita, di alcuni alberelli, cespugli e delle piantine di insalata piantate nel piccolo orto appena realizzato, nell’ambito del progetto, e annesso alla biblioteca. Ci siamo immaginati – tra alcune settimane, alcuni mesi, quando la gestione andrà a pieno regime – gli anziani o i volontari europei di due delle associazioni coinvolte, assieme ad altre, nella gestione della biblioteca impegnati, con i bambini della scuola o gli adolescenti del quartiere, nella medesima attività di cura del giardino e dell’orto della scuola.
Ebbene, l’immagine di quei due professori, nella sua dirompente semplicità e nella sua dimensione, direi, intima, mi ha restituito con forza il senso più profondo di questa misura regionale e, aggiungerei, del lavoro che si tenta di sviluppare nell’esercizio delle proprie funzioni. È proprio vero, la semplicità è la via per raggiungere la radice delle cose, consente di vedere e cogliere l’essenza, che magari sino a quel momento sentivi, immaginavi, tentavi di razionalizzare. La semplicità, ovviamente, richiede dedizione, pazienza, lavoro, ben superiori rispetto alla banalizzazione o alla sofisticazione dei problemi e della realtà.
In quell’immagine c’era la sintesi/ragione della misura regionale. Non serviva, non doveva servire solo a finanziare, in Puglia, la più significativa e imponente operazione di infrastrutturazione culturale del nostro territorio, con una iniziativa che certamente non ha eguali nel panorama nazionale e che teme ben pochi confronti su scala europea. Aveva, alla radice, un obiettivo più ambizioso e difficile: contribuire a costruire e rafforzare attorno alle biblioteche – ad un luogo di cultura, cioè ai luoghi per definizione deputati alla condivisione dei saperi – legami, rapporti e relazioni tra persone e tra persone di diverse generazioni, in modo da serrare, unire, rinsaldare il tessuto sociale di una comunità che sia in grado di ritrovarsi e di guardare, insieme, al futuro.
Biblioteche, quindi, intese non più come luoghi freddi o respingenti, per tecnici ed eruditi, ma spazi all’interno dei quali poter ricostruire le comunità, soprattutto nei contesti urbani più degradati o marginali, sviluppando e riconnettendo rapporti sociali e interpersonali, in un costante dialogo tra diverse generazioni, recuperando, per un verso, quel senso di appartenenza alla propria terra, alle proprie origini e ai propri luoghi che rappresenta un patrimonio materiale e immateriale imprescindibile e, per l’altro, stimolando il disvelamento della condizione umana. Il ritrovato orgoglio per l’appartenenza a una comunità, a una terra, e la costruzione della propria identità personale e sociale sono in grado di farci scoprire cittadini del mondo, persone unite in un destino comune che va oltre barriere, confini, recinti.
È, questa, un’imponente operazione culturale.
Per realizzarla, lo sforzo della Regione è stato enorme, avendo destinato a questo bando ben 120 milioni di euro che hanno consentito di finanziare 113 progetti su tutto il territorio regionale, riconducibili a tre grandi macroaree classificabili in: lavori di riqualificazione, servizi culturali e fornitura di attrezzature per l’allestimento degli spazi. Alcuni di questi interventi sono già stati completati. Molti progetti sono in corso di realizzazione e altri attendono di essere avviati. Si tratta di una operazione dalla straordinaria complessità che, tra l’altro, ha dovuto tener conto delle regole dettate dalla programmazione dei fondi comunitari.
L’Avviso regionale “Community Library”, ricordo a chi erroneamente lamenta che non ci sia stata attenzione alla gestione di tale biblioteche, è stato finanziato con i fondi FESR del POR Puglia 2014/2020. In particolare, i fondi FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) mirano a consolidare la coesione economica e sociale dell’Unione Europea correggendo gli squilibri fra le regioni e, come previsto dal Regolamento UE 1301/2013, sostiene esclusivamente spese di investimento (costi ad utilizzazione pluriennali) per lavori, forniture e servizi di start up necessari ad assicurare il funzionamento di una infrastruttura. I soggetti beneficiari dei fondi hanno l’obbligo di assicurare la “stabilità dell’operazione finanziata” (art. 71 del Reg. Ue 1303/2013), ovvero una gestione sostenibile per un periodo almeno decennale assicurandone la replicabilità dei servizi.
Quel che emerge con chiarezza è che la Regione si sta dotando di una straordinaria rete, su tutto il territorio pugliese, di luoghi deputati alla erogazione di servizi culturali tra i più diversi, a seconda del target cui il singolo progetto principalmente si è rivolto. Per questo, per esempio, ci sono progetti destinati in particolare ai più piccoli, con servizi orientati all’apprendimento attraverso il gioco, oppure progetti che puntano principalmente all’inclusione sociale di particolari categorie di persone che rischiano di vivere condizioni di isolamento o marginalità (immigrati, diversamente abili, rifugiati, anziani) oppure progetti che puntano in particolare ad attività laboratoriali o all’organizzazione di manifestazioni ed eventi, qualificandosi come veri e propri contenitori culturali.
Una varietà e vastità di iniziative e di proposte che, in tutta la Puglia, rende bene l’idea della complessità dell’operazione ma anche della sua strategicità nell’ambito delle politiche adottate dal governo regionale nel campo della valorizzazione dei luoghi della cultura, immaginati soprattutto come “officine” dove far crescere e maturare una comunità che condivide lo stesso destino.
Ecco, se penso alle “Biblioteche di Comunità” penso esattamente a questo: a tanti presìdi piccoli o grandi, sul territorio (tanti realizzati in centri di piccolissime dimensioni che mai avrebbero potuto ambire, con proprie risorse, alla realizzazione di una Biblioteca), dove in tantissimi (bambini, giovani, adulti, anziani, di qualunque nazionalità ed estrazione sociale siano) si esercitano quotidianamente, pazientemente, fianco a fianco, a immaginare e costruire insieme, qui, ora, il futuro di ciascuno e di tutti.
Sì, questa è un’imponente operazione culturale.
Francamente la trovo una cosa fantastica che nessuna polemica o rivendicazione di categoria potrà compromettere. Va valorizzata, magari migliorata e integrata con altre misure rivolte a sostenere la gestione. Abbiamo il dovere di accompagnarla, alimentarla. Con la gratitudine per quanti l’hanno costruita e messa in cantiere e con la stessa dedizione riservata da quei due professori di Altamura verso le piantine dell’orto scolastico.
Se noi adulti non riusciamo a cogliere nei volti dei nostri figli, dei figli di questa terra, le coordinate del nostro orizzonte, se quindi non riusciamo a sentire questo richiamo, il dovere di proseguire il percorso che ci è stato indicato dai nostri padri e di indicarlo, a nostra volta, da padri, a loro, ai nostri figli… beh, significa che siamo già morti.
Il nostro impegno quotidiano, pur soggettivamente limitato, può determinare un piccolo varco nella grigia cortina che opprime l’orizzonte delle possibilità.
ENZO COLONNA