Teatro Mercadante: rovistando tra le carte.

di enzo colonna
(Comitato per la difesa del Teatro cittadino
Il Teatro di tutti)

comitatoteatro@hotmail.com

Il conferimento dell’incarico
all’avvocato Antonio Ventura per la redazione di un parere
pro veritate che contribuisca a chiarire l’assetto proprietario
del Teatro Mercadante costituisce senza dubbio un’apprezzabile
novità nella gestione della vicenda da parte dell’Amministrazione
comunale. Quest’iniziativa segue all’altrettanto opportuna
e lodevole decisione di ‘congelare’ un’intesa raggiunta
tra Amministrazione e Consorzio che noi (il Comitato per la difesa
del Teatro Cittadino ed altre dieci associazioni culturali) avevamo
denunciato come giuridicamente illegittimo ed invalido nell’atto/ricorso
depositato in Comune il 10 maggio scorso.

E’ chiaro a questo punto che
il Sindaco e la sua giunta hanno accolto, se non le ragioni (lo
verificheremo nel prosieguo della vicenda), i suggerimenti espressi
in quell’atto: 1) dare avvio ai necessari procedimenti diretti
a rimuovere illegittimità e discrasie dell’accordo Comune/Consorzio
e 2) fare chiarezza in ordine al reale assetto proprietario del
Teatro ed in ordine al suo utilizzo. Quest’ultima sollecitazione
ci sembrava essere (e continua ad essere) la condizione minima ed
imprescindibile di qualsivoglia futura intesa tra ente pubblico
e privati: a lume di logica (giuridica e comune) nessuno, tantomeno
un Comune, si arrischia ad acquistare qualcosa senza sapere esattamente
cosa compra e da chi deve comprare. Ponevamo domande elementari,
eppure basilari, a cui l’accordo, troppo frettolosamente ed
approssimativamente sottoscritto dall’Amministrazione, non
forniva alcuna risposta. Quell’intesa mancava di un seppur
laconico piano finanziario, di un piano di recupero dell’immobile,
di una realistica stima dell’immobile e dei necessari lavori,
di una definizione della funzione e del programma culturale che
il Teatro recuperato sarebbe stato chiamato a svolgere, di un’ipotesi
di gestione, dell’indicazione delle risorse finanziarie necessarie
per la sua gestione…. insomma di qualche benchè minimo
argomento che avesse potuto almeno giustificare, non certo far comprendere,
l’unica operazione chiara di quell’accordo: l’esborso
da parte del Comune di un miliardo e mezzo a favore dei consorziati.

Invero sempre nel nostro atto/ricorso
suggerivamo che "la sede per una definizione trasparente e
legittima della questione che tenga conto dei differenti interessi
coinvolti ben potrebbe essere una conferenza di servizi indetta
ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90". Riteniamo che
tale strada possa essere comunque intrapresa senza indugi, ora o
dopo aver acquisito il parere dell’avvocato; così, almeno,
ci auguriamo che sia. E’ bene però che gli amministratori
comunali ricordino che le undici associazioni ricorrenti sono ormai
parti interessate e necessarie dei procedimenti amministrativi in
corso e, quindi, ogni iniziativa ed atto successivo, per legge,
devono essere sempre comunicati loro e, ove possibile, prevedere
il loro coinvolgimento preliminare nell’adozione di ulteriori
decisioni. E’ bene inoltre che il presidente del Consiglio
comunale trasmetta ai singoli consiglieri il ricorso già
depositato.

Il parere

La delibera di giunta pone all’avvocato
Ventura due quesiti: di chi è il Teatro? quali sono la natura
ed il ruolo del Consorzio?

Sia consentito rinviare alle osservazioni
svolte su Carta libera (16 ottobre 1994) da chi ora scrive:



"A chi appartiene il Teatro
Mercadante? E’ comunale o privato? Domanda ricorrente seppur
in sé piena di limiti… il Teatro appartiene costitutivamente,
culturalmente, emotivamente e funzionalmente alla comunità
altamurana… Se solo si cessasse di parlare e di litigare sulle
"cose", sulle "quattro mura" che formano
un "recinto" ma non definiscono una proprietà
o un bene. Se si ripercorressero, invece, le linee del ragionamento
moderno e lungimirante seppur avviato un secolo fa dai nostri
avi. Se, dunque, si ritornasse a discutere sugli obiettivi,
sugli interessi della città, sul "bene" racchiuso
nelle "quattro mura", sul contenuto e non sul contenitore,
sulla funzione che qualifica una "cosa" e definisce
un "bene". Ebbene, solo allora, si comprenderebbe
che un Teatro come il Mercadante difficilmente riconducibile
alle rigide categorie del "pubblico" e del "privato".
Si potrebbe affermare di essere in presenza di un bene privato
con funzioni ed interessi pubblici oppure, con formula perfettamente
simmetrica ed altrettanto corretta, un bene pubblico su cui
gravano interessi privati: la sostanza, però, non cambia.
Il problema vero è allora quello… di capire come è
possibile "raccordare interessi privati, collettivi e pubblici
nel risolvere i problemi della ricostruzione e della futura
gestione". Per fare questo è necessario inventarsi
un luogo giuridico e, prima ancora, fisico in cui sia possibile
far incontrare (per superarle, senza annientarle!) soggettività
diverse (pubbliche, private, collettive) che si pongono come
obiettivo quello di restituire il Teatro Mercadante alla sua
funzione ed alla città".



Ma allora perché, dopo anni,
ci si continua ancora a scervellare sulla questione della proprietà?
perché ogni qualsivoglia dibattito si è claustrofobicamente
aperto e chiuso su tale questione? perché si continua da
anni a contemplare e circumnavigare tale questione ombelicare? Perché
non si sono affrontate questioni come: quali risorse sono necessarie
per il recupero e la piena funzionalità del Teatro? è
possibile reperirle da fondi statali e comunitarii anzichè
dalle casse comunali? come possiamo coinvolgere – memori dell’esperienza
vissuta all’epoca dell’edificazione – l’intera città
in un progetto di recupero e di gestione? come creare un soggetto
giuridico che finalizzi la gestione di questo bene collettivo al
progresso culturale, sociale ed economico della città e così
contribuisca a dare una più civile e moderna identità
al nostro territorio valorizzando professionalità e risorse
in esso presenti? Ecco, perché non si è discusso di
tutto questo, cioè del futuro?

Il problema

Nel consorzio si è imposta
una linea di mera conservazione, anzi di affermazione dell’interesse
egoistico dei singoli consorziati: cancellando un secolo di storia,
contraddicendo leggi ed intere disposizioni del codice civile, venendo
meno al compito che i loro nonni e bisnonni avevano loro affidato
e stravolgendo il senso e la lettera di ben due statuti consorziali
(quello fondamentale del 1895 e quello del 1955) gli attuali consorziati
(poche decine di persone a fronte dei trecento che contribuirono
economicamente alla costruzione del teatro) hanno preso a sostenere
da qualche anno (precisamente dal 1993, hanno di adozione del loro
ultimo statuto) che il teatro appartiene esclusivamente a loro,
diviso in quote. Insomma, un condominio tra pochi intimi!!

A questa operazione l’opinione
pubblica (semplici cittadini, associazioni, stampa locale) non poteva
rimanere silente ed inerte: è significativo che nella più
che secolare storia dei rapporti tra la città ed il consorzio,
l’ultimo quinquennio risulta essere quello in assoluto più
problematico e conflittuale. Il fatto è che lo statuto del
1993, a prescindere dalla sua dubbia validità e legittimità
giuridica, ha profondamente segnato e compromesso i rapporti tra
la comunità cittadina ed il consorzio. Anzi, in origine,
nel 1895, il senso di una siffatta dualità non era nemmeno
avvertito, né sottolineato: la città ed il consorzio
era una cosa sola o, meglio, il secondo ("un consorzio fra
tutti i cittadini allo scopo di edificare il teatro", art.
1 dello Statuto Fondamentale del 1895) era l’espressione più
moderna, progredita e lungimirante della prima: erano i figli acculturati
e certo benestanti di una città che cercava e vedeva nella
realizzazione del Teatro un’occasione di riscatto culturale,
civile ed economico. Gli scopi statutari di quel consorzio erano
condivisi da tutti i cittadini: la realizzazione del Teatro e poi
la sua amministrazione e conservazione. Quegli obiettivi saldavano
il consorzio alla città ed alla sua comunità. Non
v’erano ragioni per stare a discutere di chi fosse il teatro:
serviva, quindi apparteneva alla città. Nessuno dei consorziati
dell’epoca si è mai sognato di affermare la propria
titolarità esclusiva su quote del teatro; a loro lo statuto
riconosceva unicamente, quasi per deferente gratitudine, il diritto
di palco o di poltrona, cioè il diritto ad essere preferito
nella sottoscrizione degli abbonamenti stagionali (art. 10 dello
Statuto del 1895).

Diciamola tutta: l’adozione dello
statuto del 1993 con l’affermazione unilaterale del principio
che "l’intero complesso appartiene… in comproprietà
ai soli consorziati proprietari assoluti di palchi, poltrone e sedie,
pro correlativa proporzionale quota" (art. 2, Statuto 1993)
ha rappresentato il tentativo dei consorziati di capitalizzare l’impegno
profuso in maniera disinteressata e filantropica dai loro antenati;
come se la generosità fosse un bene frazionabile, monetizzabile
e commerciabile. Quell’operazione, però, si è
rivelata in fin dei conti un boomerang: non poteva e non può
produrre gli effetti giuridici desiderati (in quanto atto unilaterale
ed interno uno statuto non può costituire il titolo giuridico
per un’autoattribuzione della proprietà di un bene, 0, 0);
ha reciso definitivamente il cordone ombelicale che dopo un secolo
continuava a legare in simbiosi stretta il consorzio alla sua comunità
cittadina; ha infranto l’immagine che l’opinione pubblica
aveva del consorzio, un gruppo di gente perbene che continuava in
maniera disinteressata ad occuparsi della conservazione di un bene
collettivo e della preservazione di un simbolo della memoria collettiva.
E’ come se i soci dell’ABMC un giorno approvassero uno
Statuto che sancisse l’appartenenza, pro quota, di tutto il
suo patrimonio librario ai singoli soci: una follia!!

Nulla e’ come prima…. il
prima ed il dopo a confronto

L’opinione pubblica cittadina
si domanda ormai retoricamente: dove è il disinteresse personale?
dove l’assenza dei fini di lucro in persone la cui unica premura
in questi ultimi anni è stata quella di consacrare statutariamente
un supposto ed esclusivo interesse sul teatro? Lo statuto del 1993
ha segnato il definitivo divacarsi delle finalità, delle
idealità e delle strade del consorzio, da una parte, e della
comunità cittadina dall’altra.

E’ per questo che ben undici
associazioni e movimenti cittadini hanno impugnato e si sono formalmente
opposti ad un’intesa che impegnava il Comune a versare, a fondo
perduto, al consorzio un miliardo e mezzo della comunità
ed a consegnare definitivamente ai consorziati la proprietà
del Teatro divisa in quote. E’ per questo che il consorzio
risulta essere isolato nella città, osservato con disincanto
se non proprio con diffidenza. E’ per questo, e non a caso,
che l’Amministrazione comunale ora si è posta la questione
di chiarire "il ruolo e la natura del consorzio" (così
si legge nella delibera di conferimento dell’incarico all’avvocato
Ventura). E’ sulla base di queste oggettive circostanze e non
di supposte strumentalizzazioni politiche che si spiega la sensazione
di profondo isolamento giustamente avvertita dagli stessi consorziati
quando lamentano che



"abbiamo subito e sopportato
da vari anni gli attacchi indiscriminati e certamente infondati
da parte di cittadini, di associazioni e della stampa locale
riguardo alle vicende del Teatro Mercadante e al suo riattamento.
Addirittura abbiamo visto affissi manifesti annunziante la morte
del "Teatro Mercadante""

(Relazione del presidente del
consorzio, avvocato Raffaele Caso, all’ultima assemblea
del 21 marzo 1999, 0, 0);



o confessano, alcuni, che l’ultimo
accordo con l’amministrazione comunale



"è già stato
ratificato dall’Assemblea del Consorzio con voto favorevole
unanime anche se per alcuni, tra cui i sottoscritti, molto sofferto"

(così nell’istanza
presentata dai consiglieri comunali, nonché consiglieri
di amministrazione del consorzio, Alfredo Striccoli e Francesco
Viti).



I consorziati si sono davvero isolati
non solo, per le ragioni anzidette, dal presente, ma anche dal loro
stesso passato, quello di cui furono nobili protagonisti i loro
antenati. Proviamo a raffrontare presente e passato nelle parole
dei protagonisti, così come sono riportate in una serie di
documenti sinora inediti e che sono stati da noi ritrovati dopo
una non semplice ricerca presso la biblioteca dell’ABMC e dell’Archivio
di Stato.

Le parole dei nonni…



"Nel presentare a questo
rispettabile Consesso la domanda per la concessione del suolo,
su cui dovrà sorgere il nuovo Teatro… è necessario
illustrarla di tutte le ragioni, che hanno indotto il Comitato
provvisorio a preferire il largo Panettieri… Questo dovere
incombe a me quale componente del detto Comitato e quale ingegnere;
per ciò sin dal primo sorgere di tale idea, vedendo la
necessità di presentarsi al pubblico con proposte concrete,
scevro di poesia, e con un certo piano finanziario, indispensabile
a raggiungere la desiata meta
, ho dovuto prima studiare
con gli amici la ubicazione più conveniente e poi redigere
un progetto di massima. Quindi il mio ragionamento non è
empirico parto di sole considerazioni tecniche generali, ma
di riflessioni intime speciali, per noi più importanti
delle prime, giacché esse sono state il punto di partenza
e la base fondamentale del nostro operato
… I principali
criterii intimi del Comitato sono di già riassunti nello
statuto fondamentale redatto, che oramai è a conoscenza
di tutti:

a) Commemorare cioè
il 1° Centenario dalla nascita di F.S. Mercadante…

b) Dare immediatamente
lavoro agli operai altamurani, visto che la maggior parte di
essi è in ozio e priva dei mezzi necessarii di sussistenza;
e questo è un bisogno impellente, al quale i rappresentanti
la cittadinanza nel Consiglio Municipale devono assolutamente
provvedere, qualunque sia lo stato della pubblica finanza.

c) In ultimo subordinare
il progetto alla somma, di cui può disporsi, scrutinando
tutti i mezzi capaci a fare il massimo possibile con la minima
spesa"

(brano tratto dalla Relazione
letta dall’ingegnere Vincenzo Striccoli, progettista del
teatro, nella seduta del Consiglio Comunale del 15 gannaio 1895).

"… l’idea primogenita
e fondamentale, sulla quale, ripeto, il Comitato preventivò
tutto il piano finanziario, fu della ubicazione al Largo Panettieri…
E’ questa l’unica zona che presenta senza molto pensare
le più indiscutibili ragioni di economia. Essendo
proprietà municipale e ricercata per un opera pubblica,
può facilmente dalla munificenza dei nostri Amministratori
essere ceduta senza alcun compenso e senza richiedere alcun
indugio
pel disbrigo di tutte le pratiche amministrative
indispensabili: oltre di che si è sicuri di non essere
ostacolati dalle Autorità superiori… Conchiudo col
pregare caldamente le SS. LL. a voler concedere al Comitato
tutta la zona quivi esistente… Ciò facendo saranno
sicure di far opera grata a tutta la popolazionee degna del
plauso e dell’unanime grido di evviva non solo da parte
della stessa classe operaia, ma dei componenti il Comitato,
i quali vedrebbero in tal modo realizzata quella idea, che fu
creduta un’utopia, e coronati con esito felice i loro sforzi
per dare ad Altamura un Teatro degno del posto, che essa dovrebbe
occupare tra le altre città della nostra Provincia"

(Relazione dell’ingegnere
Striccoli al consiglio comunale del 15 gennaio 1895).

"L’ingegnere Vincenzo
Striccoli legge la sua relazione che al finire viene applaudita.

Patella: … La relazione è
stata fatta con tutta dottrina, con la massima accuratezza e
ridonda ad onore del giovane Ingegnere che ritornato dai suoi
studi prende a cuore una nobile iniziativa pel decoro della
nostra Patria e per onorare un nostro sommo concittadino. Il
compenso che va dato alla relazione dell’Ingegnere Striccoli
è che la relazione medesima formi parte integrante del
verbale della seduta odierna e che il Consiglio approvi tutto
quanto in essa è detto, cioé si concedi il suolo
domandato per il nuovo Teatro. La concessione si può
fare perché non è nell’interesse privato…
Si ritenga il Teatro il monumento dei monumenti
.

Presidente (il Sindaco dell’epoca
Pietro Priore, ndr
). Dichiarerà che quando si cominciò
a parlare di questa iniziativa la credette un’utopia; ora
deve compiacersi col Comitato promotore che ha saputo vincere
la patia (sic!) e l’avarizia della generalità
dei Cittadini, portando un vantaggio ai poveri operai dissoccupati
(sic) ed un lustro al Comune. Propone quindi un voto
di plauso.

Il Consiglio approva."

(dal verbale della seduta straordinaria
del consiglio comunale del 15 gennaio 1895 che deliberò
la concessione del suolo comunale antistante la villa).

"Dopo tanto trepidare, ogni
dubbio oramai si è dileguato; ciò che sino a ieri
fu un pio desiderio per alcuni, un’utopia per altri, oggi
è divenuto realtà. In un baleno, prima che la
mente si fosse abituata ad accogliere questa idea, Altamura,
mettendosi davvero sul cammino del progresso, volendo mostrarsi
città che degnamente partecipa della moderna vita, getta
come per incanto le prime fondamenta di un monumento della civiltà.
Questo sorgere repentino di tale opera dell’arte non solo
sarà per i nostri nepoti un esempio incancellabile di
abnegazione cittadina, ma dimostrerà ad evidenza l’indole
generosa del popolo Altamurano
. In fatti, o Signori, sono
appunto i monumenti, che rivelano a chiarissime note la storia
ed il carattere di un popolo. Attraversiamo l’Italia dall’Alpi
all’Etna, e dalle migliaia di monumenti, disseminati nelle
cento città, avremo il quadro completo dei tempi che
furono… Diversi per la nostra città sono i vantaggi
che risulteranno dalla costruzione di questo tempio dell’arte.
L’utilità materiale è troppo evidente, perché
cade ogni momento sotto i nostri sensi. Il lavoro che si procura
agli operai, tuttora disoccupati, è il vantaggio più
immediato… Quasi tutti gli operai Altamurani sono disoccupati;
li vediamo infatti da mane a sera, come tante larve, aggirarsi
per le vie della città in cerca del necessario. Sono
privi del nutrimento, patiscono la fame e con questa, voi lo
sapete, non si ragiona. E’ dessa che fa scaturire inaspettatamente
quelle tristi bufere, che sono causa di funeste calamità;
il grido della miseria a lungo soffocato erompe a guisa di vulcano,
e compie le più grandi rivoluzioni; gli ultimi fatti
di Sicilia e di Massa – Carrara, il socialismo e quell’associazione
tanto funesta, di cui siamo spettatori ai giorni nostri, l’anarchia,
ne sono un esempio evidente. per apprestare un rimedio atto
a prevenire questo morbo, che fortunatamente in Altamura si
trova ancora nel periodo d’incubazione, noi del Comitato
abbiamo creduto di farci iniziatori della costruzione di questo
edifizio, il quale procurando il pane agli operai, segnerà
una data memorabile di abnegazione cittadina nella storia di
Altamura…

In questi tempi difficili, per
le tristi condizioni economiche, che tutti deploriamo, ci parve
ben ardua l’impresa; però i fatti hanno dimostrato
il contrario; poiché il risultato delle noste richieste
ha superato di molto le aspettative di tutti; nello spazio appena
di due mesi col foglio di sottoscrizione si è raggiunto
la somma di lire quaranta mila circa. Questo spontaneo concorso
di tutti i cittadini dimostra ad evidenza che Altamura non rimane
seconda agli altri paesi civili e, malgrado la crisi che attraversa,
dà prove non dubbie di qualunque sacrifizio, quando il
dovere ad essa s’impone
"

(stralci del discorso tenuto il
25 marzo 1895, in occasione del collocamento della prima pietra
del Teatro Mercadante, dal dottor Filippo Baldassarra, presidente
del comitato promotore della costruzione del teatro: il testo
del discorso fu pubblcato integralmente dal periodico gravinese
"La Ginestra – Gazzetta Settimanale del Circondario"
del 28 aprile 1895).



Il Teatro sorgeva grazie all’impegno
economico e lavorativo di tutti gli altamurani; era il tempio dell’arte,
il monumento di civiltà destinato al futuro ed al progresso
della città, voluto e realizzato dai suoi cittadini. L’impegno
e le risorse della città per il Teatro non cessarono, nel
1895, con la sua costruzione. Era il Teatro Cittadino, un patrimonio
collettivo da salvaguardare ed incrementare; e non ancora la proprietà
privata ed esclusiva di un ristretto manipolo di persone.

Il Consiglio comunale, infatti, non
ebbe alcuna difficoltà il 2 luglio 1896 a deliberare
"la cessione dei locali e suppellettili del vecchio al nuovo
Teatro"
: tra il vecchio Teatro Comunale S. Francesco ed
il nuovo era avvertita evidentemente un’inscindibile contiguità
e continuità storica, culturale, funzionale e giuridica.

Nel 1899 fu avviata una nuova,
dopo quella del 1895, raccolta di fondi tra i cittadini altamurani.
In ballo vi erano le celebrazioni del primo centenario dei moti
del 1799 e si rendevano necessari ulteriori lavori per il completamento
della facciata del teatro; la città risponde, come al solito,
generosamente:



"Circola da parecchi giorni
per la città una commissione di cittadini allo scopo
di raccogliere firme per offerte volontarie da servire al completamento
della facciata del nostro teatro Mercadante. Ci viene assicurato
che con poco lavoro hanno già raccolto oltre settecento
lire, sebbene della suddetta commissione faccia parte qualche
persona cordialmente antipatica alla maggior parte dei cittadini.
Questo vuol dire che le offerte sono fatte per il vero scopo
di finire il teatro e non per pura convenienza. Certamente qualcuno,
firmando ripete fra sè il notissimo: "Non tibi sed
Petro""

(riporta la notizia il periodico
altamurano "Le Forbici", diretto da Cherubino Giorgio,
nel numero 6 del 12 marzo 1899).

"Nella sua inaugurazione
(17 settembre 1895, n.d.r.) fu pronto ciò che era indispensabile
per la rappresentazione, la sala cioè ed il palcoscenico:
di poi, in diverse volte, furono aggiunti altri locali, quali
il vestibolo, l’atrio ecc. il tutto eseguito con sottoscrizioni
suppletive"

(Giuseppe De Napoli, I Teatri
d’Italia – Il Teatro Mercadante di Altamura
, in Corriere
delle Puglie
, 8 e 9 febbraio 1913).


Le parole dei nipoti…



"Art. 2 – L’intero complesso,
con ogni accessione, pertinenze e adiacenze appartiene al Consorzio
e per esso in comproprietà ai soli consorziati proprietari
assoluti di palchi, poltrone e sedie, pro correlativa proporzionale
quota.

Art. 4 – Il diritto dei proprietri
assoluti indicati nell’art. 2 è pieno e completo
diritto di proprietà …"

(articoli 2 e 4 dello Statuto
approvato nel 1993 dai consorziati)

"Art. 2 – L’intero complesso,
con ogni accessione, pertinenza ed adiacenza appartiene al Consorzio
e per esso in comproprietà ai consorziati proprietari
di palchi, poltrone e sedie, pro correlativa proporzionale quota.

Art. 4 – Il diritto dei comproprietari,
indicati nell’art. 2, è pieno diritto di proprietà
nella proporzionale quota"

(articoli 2 e 4 della Bozza di
Statuto frutto della intesa raggiunta tra Amministrazione comunale
e Consorzio nel febbraio scorso e contestata da undici associazioni
cittadine).


Nota finale

Siamo sicuri che l’avvocato Ventura
avrà modo ed argomenti per bocciare, nel suo parere, come
infondate ed inconsistenti tali previsioni statutarie: è
sufficiente sfogliare un qualunque manuale di diritto privato per
ritrovare la chiara puntualizzazione che gli aderenti ad un ente
associativo non a scopo di lucro (quale è il consorzio) non
hanno e non possono vantare alcun diritto di proprietà sui
beni del fondo comune.

Ma non è questo il problema:
le contestazioni ed i suggerimenti di natura giuridica li abbaimo
già ampiamente formulati nell’atto/ricorso depositato
a maggio in Comune.

L’amarezza nasce invece dinanzi
alla chiusura (dieci anni ormai!) ed al progressivo degrado del
nostro Teatro; dinanzi allo scarto etico, culturale e giuridico
che separa irrimediabilmente la gloria passata ed il presente.



"Animo, miei buoni concittadini
Altamurani, – così il dottor Filippo Baldassarra concludeva
il suo discorso, in occasione del collocamento della prima pietra
del Teatro Mercadante – svegliamoci dal letargo che ci ha tenuti
assopiti da molti anni. Se i nostri maggiori scolpirono col
loro sangue nel 99 una pagina incancellabile nella storia, crearono
questo tempio dell’istruzione, che sorge qui d’accanto,
l’Asilo d’Infanzia e tanti istituti di educazione
e di beneficenza, di cui va orgogliosa Altamura, non saremo
al certo noi degeneri loro successori. Avanti adunque, dimentichiamo
in questo momento le ire di parte e le fatali distinzioni di
classi, continuiamo insieme l’opera con tanto ardore da
noi iniziata, adoperiamo tutta la nostra energia per mandare
a compimento questo tempio dell’arte, questo monumento
della civiltà. E quando i più tardi nostri nepoti
sapranno che questo edifizio, in un tempo di massima crisi economica,
sorse per onorare la memoria di un insigne concittadino altamurano
e per dar lavoro al popolo, che pativa la fame, mandandoci le
più calde benedizioni, cercheranno anch’essi di
fondare nuove istituzioni, procureranno anch’essi di dare
incremento alla città di Altamura e renderla sempre più
degna degli alti destini della novella generazione".



Appunto…

 

Comunicato stampa.

* * *

Non so cosa abbiano potuto pensare
i membri del Consorzio Teatro Mercadante alla notizia del ritiro
dall’ordine dei lavori del consiglio comunale della proposta
di ratifica dell’accordo sottoscritto, circa tre mesi fa’,
da rappresentanti del Consorzio stesso e dell’Amministrazione
comunale. Come ho sostenuto in altra sede, quel ritiro costituiva
un atto razionalmente e giuridicamente obbligato, nondimeno coraggioso;
è raro vedere pubblici amministratori riconoscere umilmente
i propri passi falsi e ritornare su di essi. La ratifica di quell’accordo
anziché risolvere il problema della chiusura decennale del
Teatro, lo avrebbe ulteriormente aggravato ed avrebbe dato il via
ad una lunga stagione di contenziosi giudiziari differendo di altri
dieci anni la riapertura del teatro.

Ripeto, non conosco le reazioni dei
consorziati, né vi è stata sinora una loro presa di
posizione ufficiale. Ho solo avuto la possibilità di leggere
la relazione tenuta dall’Avvocato Raffaele Caso, presidente
del Consorzio, all’ultima assemblea dei consorziati risalente
al 21 marzo scorso. Il tono apodittico e le argomentazioni dell’avvocato
Caso non persuadono: continuo a non capire come possa l’avvocato
conciliare l’assetto associativo del Consorzio con il rivendicato
regime di comproprietà; come possa sovrapporre ed identificare,
senza contraddirsi, lo status di associato (che, secondo la disciplina
del codice civile, non può vantare alcun diritto di comproprietà
sui beni costituenti il fondo comune) a quella del proprietario
pro quota. Poiché le pagine di un giornale non possono essere
piegate ad una disputa tra avvocati e cultori del diritto, mi limito
a rinviare ai circostanziati e documentati rilievi che io ed altri
undici rappresentanti di associazioni altamurane abbiamo esposto
nell’atto di diffida indirizzato al Consiglio Comunale ed all’Amministrazione
e recentemente pubblicato da Piazza.

Il Politeama Pratese fa scuola.

Teatro: sì grazie!
Teatri da riaprire cercansi.
Questo
il titolo scelto per la giornata d’incontro al Politeama
Pratese
giovedì 27 maggio 1999. Proprio la sala della
città toscana è un esempio ancora unico in Italia
di una gestione
del tutto particolare
. Il teatro, chiuso per diversi
anni e infine destinato a scopi diversi da quelli per cui l’edificio
era stato costruito, è stato salvato da una Public company,
ovvero da una Società per azioni sostenuta dagli enti
pubblici, da realtà economiche private e da semplici cittadini
che hanno acquistato i pacchetti azionari della società.
Con il denaro raccolto si è formato il capitale con cui è
stato restaurato, riaperto e gestito il teatro. Diffusasi la notizia
di questa originale formula molti teatri italiani hanno chiesto
informazioni più precise, dando modo al Comitato che gestisce
la sala di organizzare quest’incontro.

Chi ha aderito
Hanno aderito alla manifestazione il Teatro Mercadante di Altamura
(Bari), il Teatro Cressoni di Como, il Teatro Comunale di Treviso,
il Teatro della Senna di Feltre, il Teatro di Cagli (Pesaro), il
Teatro di Longiano, Il Teatro Beltrame di Pisa, il Petruzzelli di
Bari, il Teatro di Empoli e il Niccolini di Firenze.

La giornata di incontro è stata
realizzata con il patrocinio dell’Azienda di promozione turistica
di Prato, dell’Assessorato alla cultura del Comune di Prato,
e con il patrocinio del Il Sole 24 Ore.
Sono stati invitati ad intervenire il ministro per i Beni e le attività
culturali Giovanna Melandri, il regista Luca Ronconi, Simona Marchini
in veste di presidente della Fondazione Spettacolo Toscana, Giorgio
Van Straten, Presidente dell’ Agis, il critico teatrale Franco
Cordelli, Giulia Maria Mozzoni Crespi, Presidente del Fondo per
l’ambiente Italiano, Marialina Marcucci vice presidente Regione
Toscana, Franco Cazzola Assessore alla cultura della Regione Toscana,
Daniele Mannocci, presidente della Provincia di Prato e il sindaco
della città Fabrizio Mattei e il presidente della Camera
di commercio di Prato Silvano Gori. Per il Politeama interverranno
Roberta Betti, presidente del Politeama Pratese, l’avvocato
Nardi e il presidente del collegio sindacale Alessandro Giusti.
L’incontro sarà coordinato dalla giornalista della Rai
Tiziana Missigoi. In chiusura si terrà un dibattito con il
pubblico.

ATTO DI SIGNIFICAZIONE ED INTERVENTO.

  • dall’Associazione WWF, sezione di
    Altamura
    , in persona della sua Presidente Dott.ssa Gabriella
    Fagioli, con sede in P.zza Repubblica n. 8;
  • dall’Associazione "DONNE IN …
    "
    , in persona della sua Presidente Prof.ssa Mimma Lucariello,
    con sede in Via Isernia n. 5, Altamura;
  • dall’Associazione CIDI, in persona
    della sua rappresentante Prof.ssa Francesca Ferrulli, con sede
    in P.zza Municipio n. 11, Altamura;
  • dall’Associazione "CENTRO STUDI TORRE
    DI NEBBIA"
    , in persona del suo Presidente Prof. Pietro
    Castoro, con sede operativa in Via Vecchia Buoncammino n. 97,
    Altamura;
  • dall’Associazione PIAZZA, in persona
    del suo Presidente Dott. Michele Saponaro, con sede in Via Già
    Corte d’Appello n. 13, Altamura;
  • dall’Associazione NELLA CITTA’,
    in persona del suo Presidente Prof. Luigi Langone, con sede in
    Via Madonna della Croce n. 14, Altamura;
  • dall’ASSOCIAZIONE "CENTRO STUDI ALDO
    MORO"
    , in persona del suo Presidente Prof. Vincenzo Basile,
    con sede in Via San Nicola n. 10, Altamura;
  • dall’Associazione TRACCE, in persona
    del suo Presidente Prof. Giuseppe Dambrosio, con sede in Via Francesco
    Tota n. 17, Altamura;
  • dall’ASSOCIAZIONE DANZARTE, in persona
    della sua Presidente Sig.ra Lucia Cannito, con sede in Via Vecchia
    Buoncammino n. 97, Altamura;
  • dall’ASSOCIAZIONE ANFFAS, in persona
    della sua Presidente Sig.ra Anna Pappalardo, con sede in Via Vecchia
    Buoncammino n. 97, Altamura;
  • dall’ASSOCIAZIONE CENTRO PROMOZIONE FAMIGLIA,
    in persona del suo Presidente Avv. Loreto De Stefano, con sede
    in Via Marche 3;
  • dal "Comitato per la difesa del Teatro
    Cittadino — Il Teatro di tutti
    ", in persona del
    suo portavoce Dott. Vincenzo Colonna, con sede temporanea c/o
    l’Associazione CIDI in P.zza Municipio n. 11, Altamura,


tutti domiciliati ai fini del presente
atto in Altamura nel domicilio di quest’ultimo, "Comitato
per la difesa del Teatro Cittadino — Il Teatro di tutti",
alla P.zza Municipio n. 11 c/o Associazione CIDI;

  • nei confronti:
  1. del Sindaco del Comune di Altamura Preside
    Vito Plotino;
  2. del Consiglio Comunale di Altamura in persona
    del suo Presidente
    Geom. Locapo, che avrà cura di trasmetterlo
    ai singoli consiglieri;
  3. del Segretario Generale dell’Amministrazione
    Comunale di Altamura
    nella persona che attualmente ricopre
    l’Ufficio Dott. Francesco Leto.

* * *

I) Premessa.

Di recente i cittadini di Altamura
sono venuti a conoscenza – da organi di stampa locali e regionali
– che si sta’ avviando a conclusione l’iter procedimentale
diretto a definire l’assetto proprietario del Teatro Cittadino
‘S. Mercadante’ con la necessaria ratifica consigliare
di un accordo sottoscritto da rappresentanti dell’Amministrazione
comunale e del Consorzio Teatro Mercadante..

Dei termini di tale accordo i cittadini
altamurani sono venuti a conoscenza attraverso le vie indirette
dei mezzi di comunicazione, non avendo l’Amministrazione
Comunale ritenuto opportuno o necessario [come pure lo Statuto
comunale e le leggi statali n. 142 dell’8 giugno 1990 (art.
6 in particolare) e n. 241 del 7 agosto 1990 (artt. 1 e 7 in particolare)
imporrebbero] coinvolgere nella procedura decisionale né
la Consulta Cittadina delle associazioni, nè singoli rappresentanti
del mondo associativo, né tantomeno esponenti del ‘Comitato
per la difesa del Teatro Cittadino – Il Teatro di tutti
’,
costituito nell’estate scorsa, che, facendosi portatore di
idee, interessi e convincimenti di larga parte del mondo associativo
culturale, si era dichiarato disponibile (v. Documento "Il
Teatro di tutti
" depositato e protocollato presso il
Municipio di Altamura nel luglio 1998: Allegato G)
a collaborare con l’Amministrazione Comunale per la definizione
di una secolare incertezza giuridica relativa all’assetto
proprietario del Teatro Mercadante e per la soluzione del problema,
ormai decennale, della chiusura ed inaccessibilità alla
fruizione pubblica e collettiva del Teatro stesso.

Non si intende in questa sede esprimere
giudizi di valore in ordine alla ‘qualità’ amministrativa
dell’iniziativa sviluppata dall’Amministrazione in questi
mesi; né, tantomeno, mettere in dubbio la ‘bontà’
delle Sue intenzioni da ascrivere, in assenza di spunti contrari,
alla categoria delle ‘migliori’. La riapertura di un
Teatro è un obiettivo altamente qualificante l’azione
di qualunque Amministrazione pubblica, perfettamente coerente
con il generale dovere di perseguire l’interesse collettivo
a cui essa è tenuta e come tale apprezzato e condiviso
dai ricorrenti.

Le perplessità e le difficoltà
sorgono nel momento in cui ci si spinge a verificare la congruità
tra ‘qualità e bontà’ delle intenzioni
e ‘qualità e bontà’ degli strumenti individuati
dall’Amministrazione per il raggiungimento di quell’obiettivo.
In questo senso è inevitabile rilevare la presenza di discrasie
che, forse per la loro evidenza ed enormità, sono sfuggite
all’attenzione dell’amministratore di turno.

Poiché i ricorrenti
sono persuasi



– che, soprattutto nella
gestione della cosa pubblica, siano più i mezzi a qualificare
il fine, che il fine a giustificare qualunque mezzo;

– che nell’individuazione
e predisposizione degli strumenti la Pubblica Amministrazione
deve necessariamente vagliare e comparare i diversi ed a volte
confliggenti interessi di un’intera comunità,
riconoscendo e tutelando in via prioritaria l’interesse
pubblico e collettivo rispetto a quello egoistico o particolare
di singoli privati;

– che l’azione amministrativa
deve necessariamente ispirarsi ai principi di legittimità,
economicità ed efficacia;

– che tra Amministratori
ed Amministrati deve correre un rapporto di stretta, corretta
e reciproca collaborazione,


ritengono necessario:



1) intervenire ai sensi e
per gli effetti dell’art. 9 della legge n. 241/90 nei
procedimenti amministrativi in corso relativi al "Teatro
Cittadino Mercadante" che inevitabilmente, per la peculiarità
della materia, coinvolgono interessi individuali, collettivi
e diffusi rappresentati a diverso livello dai soggetti ricorrenti;

2) attivare, ai sensi dell’art.
2 della legge n. 241/90, le ‘potestà’ degli
organi in indirizzo – per le ragioni e nei termini di cui
in prosieguo – affinché vaglino discrasie, illegittimità
e rischi degli atti che si accingono ad adottare e, conseguentemente,
diano avvio ai necessari procedimenti diretti a rimuoverli;

3) fornire le informazioni
di cui al prosieguo ed i documenti allegati, che gli organi
in indirizzo avranno l’obbligo di valutare ai sensi dell’art.
10 della legge n. 241/90;

4) sollecitare il rispetto
delle norme sul corretto procedimento amministrativo di cui
agli artt. 1-13 della legge n. 241/90, in particolare quelle
relative all’individuazione del responsabile del procedimento
ed agli obblighi di comunicazione (art. 8). A tal fine i ricorrenti
chiedono che tutte le comunicazioni vengano indirizzate al
domicilio eletto ai fini del presente atto.



II) Le discrasie ed illegittimità
riscontrate
.

L’accordo che il Consiglio
Comunale si accinge a ratificare risulta palesemente nullo dal
punto di vista del diritto civile, e quindi illegittimo sul piano
contabile-amministrativo.

È indispensabile che il Consiglio
Comunale tenga presente alcune circostanze prima ancora di ratificare
un accordo con cui si impegna il cui Comune ad acquistare 1/3
della proprietà dello stabile per la cifra di -£ 1.500.000.000.
Soprattutto si dovrebbe preliminarmente fare chiarezza sulla natura
giuridica dell’attuale Consorzio, l’alienante, e sulla
sua effettiva titolarità dell’immobile.

È bene, dunque, che ciascun
organo destinatario del presente atto, alla luce della documentazione
ufficiale (che si allega),
sappia che:



a) Il Consorzio Teatro
Mercadante è nato come comitato promotore di una sottoscrizione
pubblica allo scopo di edificare un teatro cittadino (v. Statuto
del 1895: Allegato E).

b) Le sottoscrizioni
furono centinaia (vedi Elenco, Allegato D),
ma gli attuali consorziati si sono ridotti – in virtù
di una selezione operata con clausole statutarie via via adottate
e modificate nei decenni – a poche decine: il meccanismo selettivo
si è fondato sulla previsione contenuta nell’art.
8 (Statuto del 1993; v. anche l’art. 6 dello Statuto
del 1955. Allegato E), in base al quale il presunto
diritto di proprietà o di palco spettante ai singoli
consorziati non è trasferibile che ad un solo erede:
qualora nessuno si sia fatto riconoscere come tale e siano
trascorsi dieci anni dalla morte del titolare, gli "eredi
si riterranno decaduti di diritto dal diritto di proprietà
o da quello di palco, che sarà trasferito, con semplice
presa d’atto dell’assemblea, al Consorzio, il quale
ne potrà disporre
". Ma a parte il rilievo
che tale disposizione si rileva palesemente in contrasto con
la previsione originaria (art. 10 dello Statuto del 1895),
è evidente che, per coerenza logico-giuridica, due
siano le alternative opzioni:


b1) o, effettivamente,
i singoli consorziati sono titolari di quote esclusive ed
individuali di proprietà, ma allora la previsione
menzionata è palesemente nulla in quanto in contrasto
con il principio dell’imprescrittibilità del
diritto di proprietà;

b2) oppure, come si
chiarirà più avanti, i singoli consorziati
erano e sono titolari solo di un diritto di palco, che si
sostanziava e si sostanzia tuttora semplicemente in un diritto
ad essere preferiti nell’acquisto degli abbonamenti
stagionali (art. 10 dello Statuto del 1895, lett. a.
V. anche la disciplina di cui alla legge n. 1336 del 1939:
Allegato A), diritto in ordine al quale ben
può prevedersi una clausola statutaria di quel tipo.


c) Lo Statuto del comitato
del 1895 attribuiva ai sottoscrittori delle somme più
consistenti unicamente un diritto di palco, non la proprietà
dell’immobile che è cosa ben diversa.

d) A detta di molti,
se lo scopo di un comitato è quello di realizzare un’opera
per la città, sembra logicamente consequenziale ritenere
che l’opera stessa, una volta realizzata, sia di proprietà
dell’intera città, quindi del suo ente esponenziale
che è il Comune.

e) Una conferma testuale,
la si ha dalla lettura dello Statuto, adottato dallo stesso
Consorzio nel 1955, che infatti continuava a parlare unicamente
di un Consorzio per la "gestione, amministrazione
e conservazione del Teatro
" (art. 1), di cui facevano
parte i titolari di palchi e poltrone (art. 2), non dunque
i proprietari dell’immobile.

f) Sempre lo Statuto
del 1955 continuava, coerentemente all’ispirazione originaria,
a distinguere tra un diritto di proprietà assoluto
ed uno relativo: quello assoluto (che si sostanziava nel diritto
di accedere ed usare gratuitamente del posto) era riconosciuto
unicamente al Comune (che aveva concesso gratuitamente il
suolo e fornito il sipario precedentemente sistemato nel Teatro
Comunale S. Francesco) ed agli eredi dell’ing. Striccoli
(che aveva gratuitamente progettato il teatro, 0, 0); quello relativo
(che si sostanziava semplicemente in un diritto ad essere
preferiti nell’acquisto degli abbonamenti stagionali)
era riconosciuto a tutti gli altri eredi degli originari titolari
del mero diritto di palco.

g) La distinzione era
sostanziale, soprattutto perché esprimeva statutariamente
la distinzione operata dalla legge n. 1336 del 1939 (Allegato
A
) che regolava (e tuttora regola) appunto i rapporti
tra i proprietari degli edifici adibiti a teatri ed i semplici
titolari del diritto di palco.

h) Solo nello Statuto
del 1993 i consorziati, autonomamente ed unilateralmente,
hanno operato una dubbia ed equivoca equiparazione o assimilazione
tra titolarità del diritto di palco e titolarità
del diritto di comproprietà sull’intero immobile.

i) L’idea ora condivisa
da molti cittadini altamurani è che originariamente
la proprietà del teatro appartenesse alla città
(da qui l’espressione di "Teatro Comunale"
contenuta nello Statuto del 1895: Allegato E)
e che ai sottoscrittori di certe somme fosse assicurato solo
il diritto di palco.

l) Né nella convenzione
del 1895 (Allegato C) con cui il Comune concedeva
il suolo al Comitato promotore della sottoscrizione, né
nello Statuto del 1895 di tale comitato si faceva riferimento
ad una proprietà piena dei singoli consorziati sull’immobile.



Sintetizzando questi
primi rilievi, si può concludere che IL TEATRO GIÀ
APPARTIENE ALLA CITTÀ; QUINDI IL COMUNE NON POTREBBE ACQUISTARE
UNA QUOTA (1/3) DI UNA COSA GIÀ INTERAMENTE DI SUA PROPRIETÀ
.
Fu edificato su suolo comunale (a detta di alcuni, ma la questione
si lascia alla necessaria verifica degli organi in indirizzo,
l’area sarebbe addirittura demaniale) e grazie alle somme
raccolte in una sottoscrizione che coinvolse l’intera città.
I sottoscrittori aderirono ed accettarono quanto stabilito nello
statuto del comitato promotore, vale a dire: il denaro sarebbe
stato destinato alla costruzione di un teatro cittadino; i sottoscrittori
delle somme più consistenti avrebbero acquistato unicamente
il diritto di palco o di poltrona, non dunque una quota della
proprietà del teatro; tra tutti i titolari di tali diritti
sarebbe sorto un consorzio (l’attuale consorzio) a cui non
era attribuita la proprietà del teatro, che restava alla
città, ma unicamente il compito di "amministrare,
gestire e conservare il teatro
". Il consorzio nasceva
per tutelare la buona conservazione e la gestione di un bene che
restava definitivamente acquisito al patrimonio della collettività.

III) Il Teatro non è
una proprietà dei singoli consorziati.

Alla luce di quanto si è
sin qui segnalato, appare del tutto inconsistente ed infondata
la tesi, che solo recentemente ed inutilmente i consorziati hanno
tentato di accreditare con la modifica statutaria del 1993, secondo
la quale "l’intero complesso appartiene… in comproprietà
ai soli consorziati proprietari assoluti di palchi, poltrone e
sedie, pro correlativa proporzionale quota
" (art. 2 dello
Statuto del 1993: Allegato E. Disposizione confermata
nella bozza di Statuto sottoposta alla ratifica del Consiglio
Comunale: v. artt. 2 e 4).

È bene ricordare che uno
statuto ha un’efficacia meramente interna ed ovviamente non
può costituire di per sé un titolo di acquisto o
di proprietà. Nella vicenda, il titolo risulta dallo Statuto
originario (Allegato E) a cui aderirono i sottoscrittori
dell’epoca ed il Comune di Altamura e dalla Convenzione con
cui il Comune concesse l’uso del suolo (Allegato C).
In quegli atti era chiaramente ed inequivocabilmente definita
la posizione dei singoli consorziati: essi erano e sono titolari
unicamente del diritto di palco o di poltrona, non di una quota
proporzionale della proprietà del teatro.

È per questo che si richiama
e si sollecita, con il presente atto, la doverosa e necessaria
attenzione degli organi in indirizzo nel momento in cui sono chiamati
a vagliare un’ipotesi di accordo gravemente pregiudizievole
degli interessi dell’intera comunità e degli stessi
consorziati
(il punto verrà chiarito più
avanti) in quanto andrebbe a legittimare (sia pure in un modo
del tutto precario, soggetto, com’è, ad impugnazioni
in differenti sedi giurisdizionali) una situazione infondata giuridicamente
e non corrispondente a quella determinata un secolo fa’.

L’accordo, se ratificato, avrebbe
l’effetto non certo di riconoscere la proprietà di
1/3 dell’immobile al Comune, ma al contrario quello di attribuire,
ora e per sempre, la proprietà pro quota dei restanti
2/3 del Teatro ai singoli consorziati. Paradossalmente, l’accordo
avrebbe un effetto abdicativo di diritti e prerogative dell’intera
comunità cittadina
(rappresentata dal Comune) a favore
dei singoli consorziati e per giunta con un ragguardevole esborso
di denaro della collettività stessa
.



IV) Anche se ci trovassimo
dinanzi ad una comproprietà l’accordo risulterebbe
contraddittorio ed illegittimo.



I ricorrenti ritengono utile ricordare
all’Amministratore pubblico che, quand’anche ci si riducesse,
in maniera del tutto impropria ed illegittima, a parlare di una
comproprietà dello stabile tra i consorziati, trascurando
quella distinzione (chiaramente definita e disciplinata dalla
legge n. 1336/39) tra diritto di proprietà dell’edificio
e diritto di palco, in ogni caso:



1) l’Ente
pubblico dovrebbe
far valere ed esercitare appieno
i diritti che gli spettano (in modo incontestato ed incontestabile)
nella sua qualità di consorziato e, quindi (secondo
tale tesi), di comproprietario dell’edificio, oltreché
proprietario esclusivo del suolo su cui sorge;

2) il Comune dovrebbe
preliminarmente accertare l’entità della sua quota
di comproprietà all’interno del Consorzio;

3) in altri termini,
nell’attribuzione delle quote, così come determinate
nella bozza di intesa, si dovrebbe tenere conto
non solo della somma destinata ai lavori di ristrutturazione
che andrebbe ad erogare il Comune (il miliardo e mezzo), ma
anche della considerevole quota di comproprietà (se
si tiene presente che l’immobile sorge su suolo pubblico,
nonché che il sipario di notevole pregio storico-artistico
proviene dal vecchio Teatro Comunale S. Francesco) che esso
già detiene sull’immobile e di quelle quote che
il Comune potrebbe acquisire grazie alla cessione gratuita
operata da singoli consorziati (una disponibilità in
tal senso è stata mostrata già da alcuni consorziati!!, 0, 0);

4) il Comune dovrebbe,
prima di acquistare una quota, esigere uno stato di riparto
dell’attuale proprietà, da cui sia possibile desumere
la ripartizione delle quote di comproprietà tra i singoli
consorziati;

5) il Comune dovrebbe,
quindi, verificare che la quota di 1/3 che si accinge ad acquistare
sia effettivamente disponibile, cioè che ci siano effettivamente
consorziati disposti a dismettere la propria quota di comproprietà:
la proprietà non è certo a geometria variabile,
non è possibile che vi sia una proliferazione artificiosa
di quote;

6) in altri termini,
se si accedesse all’idea (lo si ripete, infondata) che
si sia dinanzi ad una proprietà in regime di comunione,
(consequenzialmente e necessariamente) il Comune-acquirente
dovrebbe
fare chiarezza su quali siano le effettive
quote che si accinge ad acquistare e, soprattutto, individuare
quali siano i singoli consorziati disponibili ad alienare
le proprie correlative quote di proprietà;

7) dovrebbe il Comune,
quindi, eliminare la contraddizione (in termini ed in diritto)
che presenta l’accordo attualmente in esame che, da un
lato, presenta il Consorzio come la controparte contrattuale
(l’alienante) e, dall’altro, riconferma la contitolarità
della proprietà dell’immobile unicamente in capo
ai singoli consorziati. Delle due l’una,
infatti: o è il Consorzio, come soggetto
giuridico autonomo e distinto dai suoi singoli componenti,
ad essere il legittimo titolare della proprietà indivisa,
nemmeno pro quota, del Teatro, ed è quindi ben
possibile che esso possa alienare una quota della sua proprietà;
o sono i singoli consorziati ad essere i titolari
esclusivi pro quota della proprietà, come pure
recita lo Statuto del 1993 e si riconferma nell’accordo
in esame, ma allora unica e legittima controparte contrattuale
sono esclusivamente i singoli consorziati, gli unici, secondo
l’idea sottesa all’accordo, a poter disporre, in
quanto esclusivi comproprietari dell’immobile, delle
proprie quote di proprietà;

8) ne consegue, che il
Comune potrebbe
acquistare unicamente da quei singoli
consorziati disposti a cedere le proprie quote;

9) in ogni caso il
Comune dovrebbe
pretendere, preliminarmente, che venga
adottato un Regolamento che disciplini l’uso e la destinazione
del Teatro e delle sue pertinenze.



V) Invalidità dell’accordo.
I provvedimenti necessari.

Alla luce di tale ricostruzione
appaiono evidenti i profili di contraddittorietà ed invalidità
dell’intesa ora alla ratifica del Consiglio Comunale. Da
quanto si è detto, inoltre, si conferma la necessità
che l’Amministrazione comunale attivi un nuovo procedimento
diretto a verificare ed accertare preliminarmente il reale assetto
proprietario dello stabile
, prima ancora di addivenire
a qualsivoglia forma di acquisto, totale o parziale, del Teatro.
Altrimenti, ove il Consiglio Comunale dovesse avallare l’intesa
raggiunta, i consiglieri esporrebbero se stessi ed il Comune a
gravi conseguenze sul piano strettamente civilistico e sul
piano contabile-amministrativo
. L’accordo, per le
sue intime contraddittorietà e discrasie, è palesemente
nullo e, come è ben noto, la nullità di un contratto
che veda coinvolto l’ente pubblico se da un lato è
sanzionata con l’inefficacia assoluta dell’atto stesso,
dall’altro, ove il Comune dovesse sostenere degli esborsi
economici ingiustificati (in quanto fondati su un atto nullo),
non potrebbe non comportare gravi conseguenze sub specie
di danno erariale, con le inevitabili responsabilità
personali di chi se ne rendesse autore
.

VI) Avvio di un procedimento
diretto a chiarire l’attuale assetto proprietario.

Lo spirito partecipativo e collaborativo
che anima i ricorrenti induce a ricordare all’Amministrazione
comunale ed agli stessi consorziati che un momento di chiarificazione
in ordine al reale assetto proprietario del Teatro ed in ordine
al suo utilizzo risulta non solo inevitabile, alla luce dei rilievi
succintamente svolti (e che i ricorrenti si riservano di ulteriormente
sviluppare ed argomentare nelle successive fasi del procedimento),
ma anche utile e vantaggioso per tutte le parti coinvolte nella
controversa vicenda. Per inciso ed a livello di mero suggerimento,
sembra opportuno precisare che la sede per una definizione trasparente
e legittima della questione che tenga conto dei differenti interessi
coinvolti ben potrebbe essere una conferenza di servizi indetta
ai sensi dell’art. 14 della legge 241/90 o un lodo arbitrale;
non necessariamente dunque quella più defatigante e complessa
della giurisdizione civile.

Che una definizione chiara
dell’attuale assetto proprietario dell’immobile e dello
status giuridico del consorzio
sia la condizione
sufficiente ed imprescindibile di qualsivoglia futura intesa tra
ente pubblico e soggetti privati è confermata da una circostanza
sinora non adeguatamente presa in considerazione. Se tra gli obiettivi
dell’accordo attualmente in esame vi è sicuramente
quello di sopperire ad un’oggettiva e giustificabile difficoltà
dei soggetti privati di far fronte con risorse economiche proprie
ai necessari lavori di restauro e ristrutturazione del Teatro,
non si deve trascurare (in aggiunta ai motivi della sua illegittimità)
che il ricorso, esplicitamente accolto nell’ultimo
Statuto del Consorzio ed implicitamente confermato nella bozza
di accordo, all’istituto giuridico della comunione
del diritto di proprietà (comproprietà)
,
per un’inevitabile e paradossale eterogenesi dei fini (dichiarati
e no dai consorziati), avrebbe, tra le altre, come ineludibile
conseguenza quella di assoggettare tutti i consorziati alla relativa
disciplina codicistica e speciale
(rispettivamente, gli
artt. 1100 e ss. del codice civile e le leggi n. 1221/37 e n.
1336/39: queste ultime sub Allegati A e B)
ed in particolare:



A) Ciascun partecipante
alla comunione sarebbe tenuto a contribuire
"nelle
spese necessarie per la conservazione e per il godimento della
cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza…
salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al
suo diritto
" (art. 1104 cod. civ.). Ne deriva che
il ricorso all’intervento del Comune per far fronte ai
necessari lavori di restauro del Teatro non potrebbe comunque
eludere la chiara disposizione codicistica: nel momento in
cui la nuova assemblea consortile dovesse deliberare tali
interventi, la somma eventualmente versata dal Comune non
esimerebbe tutti gli altri consorziati-comproprietari dal
contribuire pro correlativa quota nelle spese
necessarie. In altri termini, negare (come è nella
premessa dell’accordo e dello Statuto del 1993) che il
consorzio sia un soggetto giuridico autonomo (distinto dai
singoli consorziati) vale anche ad escludere la possibilità
giuridica che l’ente disponga di un fondo patrimoniale
comune distinto dai patrimoni dei singoli associati-consorziati.
Quindi il Comune sarebbe tenuto a versare unicamente il contributo
pro corrispondente quota (1/3) per le spese
di ristrutturazione o restauro; tutti gli altri consorziati
sarebbero dunque coobbligati, in ogni caso, a coprire,
con fondi propri e pro quota, i restanti 2/3
. Inoltre,
il "partecipante che, in caso di trascuranza degli
altri partecipanti o dell’amministratore, abbia sostenuto
spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha
diritto al rimborso
" (art. 1110 cod. civ.). Alle
medesime ed inequivoche conclusioni si perviene alla luce
della disciplina specifica predisposta dalla legge n. 1336/39
("Norme sul condominio dei teatri e sui rapporti tra
proprietari dei teatri ed i titolari del diritto di palco":
Allegato A).

B) Tutte le deliberazioni
(tra cui quelle relative alla nomina di amministratori o di
consiglieri di amministrazione, ad innovazioni, a modifiche
regolamentari) potrebbero essere adottate con maggioranze
calcolate unicamente sul valore delle quote
(art. 1105
cod. civ.; v. anche l’art. 5, 2° comma, della legge
n. 1336/39) non valendo altre forme di conteggio o di limitazione
del diritto di voto; da qui l’ulteriore e già
ribadita necessità di pervenire in ogni caso alla definizione
del riparto delle quote individuali. Ciò per dare un
senso al principio codicistico per cui il "concorso dei
partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione,
è in proporzione delle rispettive quote" (art.
1101 cod. civ.).

C) Sarebbe
"necessario il consenso di tutti i partecipanti
per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali
sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a
nove anni
" (art. 1108 cod. civ., 3° comma).
La disposizione dovrebbe valere, naturalmente, anche per l’atto
di alienazione che il Consorzio si accingerebbe a compiere
a favore del Comune.

D) Inoltre, se fosse
confermata la tesi di un teatro in regime di comunione tra
i singoli consorziati (tra cui, quindi, anche il Comune),
allora sarebbe inevitabilmente applicabile la
disciplina di cui all’art. 12 della legge n. 1336/39
(comma 1: "Chi abbia la comproprietà del
teatro per una parte costituente almeno la metà del
suo valore, previa autorizzazione del ministro… può
chiedere l’espropriazione della parte spettante agli
altri condomini
". Comma 2: "l’espropriazione
di cui sopra può essere chiesta da uno o più
condomini che rappresentino almeno un terzo del valore del
teatro quando, per esigenze di pubblico interesse, sia riconosciuta
l’utilità di eseguire notevoli lavori di ricostruzione,
di trasformazione o di ampliamento del teatro e gli altri
condomini si rifiutino di concorrere nella spesa relativa
";
in tale ipotesi, comma 4, "qualora il ministro…
riconosca che i lavori siano urgenti ed indifferibili… può
disporre l’occupazione dell’immobile espropriando,
prefiggendo un termine per l’esecuzione dei lavori
":
v. Allegato A) ed all’art. 1 della legge
n. 1221/37
("I comuni… possono chiedere al prefetto
la espropriazione per causa di pubblica utilità dei
palchi e relativi camerini, con la rispettiva quota di altre
parti del teatro e dell’area di esso spettante ai palchettisti,
esistenti sia nei teatri comunali, sia in quei teatri dei
quali i comuni abbiano almeno la quarta parte in proprietà
":
v. Allegato B).



VII) I dubbi sull’opportunità
politico-amministrativa. Le certezze.

Appare evidente, dal quadro sommariamente
e parzialmente delineato delle conseguenze, come la soluzione
su cui è chiamato a pronunciarsi il Consiglio Comunale
oltreché giuridicamente invalida, ponga,
sul piano della stessa opportunità politico-amministrativa,
gravi motivi di perplessità, incertezza e conflittualità.

Motivi, invece, che meriterebbero,
ora, di essere definitivamente dissipati assumendo come base
di ogni ragionamento od intesa i seguenti dati, fermi ed incontestabili
:



il Comune è già
a pieno titolo consorziato
;

l’attuale Consorzio
Teatro Mercadante, "nonostante il nome, si presenta
senz’altro come un’associazione
, riconducibile
fra quelle non riconosciute come persone giuridiche
"
(in tal senso, l’autorevole e condivisibile parere del
Notaio Patrizia Speranza rilasciato in data 1 ottobre 1998
al Sindaco di Altamura ed al Presidente del Consorzio: Allegato
F
, 0, 0);

la disciplina applicabile
è, quindi, quella prevista dagli artt. 36 ss. del codice
civile
;

i suoi componenti (consorziati,
nella terminologia degli statuti), non vantano (e non possono
vantare) alcun diritto di proprietà, nemmeno pro
quota
, sul fondo comune (il Teatro).
Finché
l’associazione dura "i singoli associati non
possono chiedere la divisione del fondo comune, né
pretendere la quota in caso di recesso
" (art. 37
cod. civ., 0, 0);

– l’associazione è
nata tra tutti coloro che effettuarono a favore del Comitato
promotore le oblazioni necessarie alla edificazione del Teatro.
A loro lo Statuto del Comitato assicurava unicamente il
diritto di palco
. Se lo scopo del Comitato promotore era
l’edificazione di un "altro" Teatro
Comunale (così nella Premessa e nell’art. 1 dello
Statuto del 1895: Allegato E), lo scopo dell’associazione
(o consorzio) che riuniva "i sottoscrittori per una
somma non inferiore alle lire cinque per ogni decimo
"
era "l’amministrazione teatrale" (art.
20 dello Statuto del 1895). Finalità confermata ed
esplicata ulteriormente nello Statuto del 1955 (Allegato
E
) ove si prevedeva la costituzione di un "Consorzio
per la gestione, amministrazione e conservazione del Teatro
Saverio Mercadante di questa Città
" (art.
1, 0, 0);

– nessuna disposizione, in
questi due originari Statuti, faceva riferimento o faceva
pensare ad una comproprietà tra i singoli consorziati,
anzi lasciava chiaramente impregiudicata la questione relativa
alla proprietà dell’intero immobile; i chiari
e significativi riferimenti
alla necessità di un
altro Teatro Comunale’ (Premessa dello Statuto
del 1895) o al ‘Teatro Saverio Mercadante di questa
Città
’ (art. 1 dello Statuto del 1955) inducono
a ritenere che per i consorziati dell’epoca il Teatro
fosse patrimonio dell’intera città
;

– in ogni caso, pur prescindendo
dalla questione relativa alla titolarità dello stabile
(e che pure dovrà essere chiarita: il Teatro è
patrimonio del Comune o patrimonio del Consorzio inteso però
come associazione, soggetto giuridico autonomo e distinto
dai singoli associati?), inammissibile, perché illegittima,
è qualunque soluzione che recepisca la tesi che si
tratti di una proprietà in comunione tra i singoli
associati
;

– se l’Amministrazione
ed il Consiglio Comunale non avessero la volontà o
la forza politico-amministrativa di perseguire un chiarimento
definitivo della controversa questione che tenga nel sufficiente
conto i diversi interessi (pubblici, collettivi e privati)
coinvolti, potrebbero sempre attivare l’Autorità
Governativa competente affinché adotti i necessari
ed improrogabili provvedimenti
utili al recupero edilizio,
alla riapertura e alla collettiva fruizione del Teatro ai
sensi del codice civile
[che a proposito di "Associazioni
non riconosciute e comitati" dispone all’art. 42:
"Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo
scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto
lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorità
governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa
non è stata disciplinata al momento della costituzione
"]
ed ai sensi della legge n. 1089/39, "Tutela delle
cose d’interesse artistico o storico", [che, agli
artt. 14 – 17, faculta il Ministro per i Beni Culturali a
"provvedere direttamente alle opere necessarie per
assicurare la conservazione ed impedire il deterioramento
delle cos
e" di interesse artistico e storico, accollando
agli "enti e privati interessati… l’obbligo
di rimborsare allo Stato la spesa sostenuta per la conservazione
della cosa
"]; disciplina, quest’ultima, applicabile
al Teatro Mercadante in quanto dichiarato con decreto ministeriale
del 16 aprile 1984 immobile di particolare interesse storico-artistico.


* * *

Tutto quanto sopra premesso e rilevato

  • sollecitano il rispetto delle norme
    e dei principi sul corretto procedimento;
  • intervengono nei procedimenti in
    corso relativi al "Teatro Mercadante" presentando la
    memoria e gli allegati di cui al presente atto che gli organi
    in indirizzo saranno obbligati a valutare ai sensi dell’art.
    10 della legge n. 241 del 1990;
  • sollecitano i responsabili dei detti
    procedimenti a coinvolgere, nel rispetto della normativa vigente,
    i ricorrenti nelle successive fasi del/dei procedimento/i, assicurando,
    in particolare, la possibilità di una loro diretta partecipazione
    e di un loro intervento alle prossime sedute consiliari dedicate
    al tema;
  • per le ragioni ed i fini esplicitati, costituiscono
    in mora
    gli organi destinatari del presente atto affinché
    attivino le opportune e necessarie procedure ed iniziative dirette
    a valutare e rimuovere discrasie, errori o illegittimità
    degli atti che si accingono ad adottare o/e ratificare.


Tanto con espressa avvertenza che,
in caso di omissioni o di errori non scusabili, saranno attivate
azioni di responsabilità nei confronti dei destinatari
del presente atto.

Si allegano:

  1. Testo della legge 26 luglio 1939, n. 1336.
  2. Testo del R.D.L. 18 febbraio 1937, n. 579, convertito
    con la legge 17 giugno 1937, n. 1221.
  3. Convenzione del 15 febbraio 1895 tra il Comune
    di Altamura ed il Comitato provvisorio per la costruzione del
    Teatro Mercadante; Contratto di Appalto per la costruzione del
    Teatro Mercadante.
  4. Elenco dei sottoscrittori per la costruzione del
    Teatro Mercadante.
  5. Statuti del Consorzio Teatro Mercadante del 1895,
    del 1955 e del 1993.
  6. Copia del Parere rilasciato in data 1° ottobre
    1998 dal Notaio Patrizia Speranza al Sindaco di Altamura ed al
    Presidente del Consorzio Teatro Mercadante.
  7. Documento "Il Teatro di tutti" depositato
    e protocollato presso il Municipio di Altamura nel luglio 1998.


Altamura, lì 10 maggio 1999

Associazione WWF, sezione
di Altamura
, in persona della sua Presidente Dott.ssa Gabriella
Fagioli

Associazione "DONNE IN …
"
, in persona della sua Presidente Prof.ssa Mimma Lucariello

Associazione CIDI, in persona
della sua Presidente Prof.ssa Francesca Ferrulli

Associazione "CENTRO STUDI
TORRE DI NEBBIA"
, in persona del suo Presidente Prof.
Pietro Castoro

Associazione PIAZZA, in persona
del suo Presidente Dott. Michele Saponaro

Associazione NELLA CITTA’,
in persona del suo Presidente Prof. Luigi Langone

ASSOCIAZIONE "CENTRO STUDI
ALDO MORO"
, in persona del suo Presidente Prof. Vincenzo
Basile

Associazione TRACCE, in persona
del suo Presidente Prof. Giuseppe Dambrosio

ASSOCIAZIONE DANZARTE, in
persona della sua Presidente Sig.ra Lucia Cannito

ASSOCIAZIONE ANFFAS, in persona
della sua Presidente Sig.ra Anna Pappalardo

ASSOCIAZIONE CENTRO PROMOZIONE
FAMIGLIA
, in persona del suo Presidente Avv. Loreto De Stefano

"Comitato per la difesa del
Teatro Cittadino — Il Teatro di tutti
", in persona
del suo portavoce Dott. Vincenzo Colonna

Comunicato del ”Comitato per la difesa del Teatro cittadino”

* * *

La situazione

Il consiglio comunale e l’assemblea
dei consorziati sono chiamati ora a esaminare e ratificare l’intesa
sottoscritta dai rappresentanti dell’amministrazione comunale
e del consorzio. La loro responsabilità morale e giuridica
è grave e grande. Devono deliberare con l’urgenza che
il degrado e la chiusura decennale dell’immobile immediatamente
esigono. Ma hanno dinanzi una proposta ipocrita, contraddittoria
e soprattutto giuridicamente illegittima, moralmente indegna ed
irrispettosa degli interessi dell’intera città. Una
proposta di soluzione che recepisce principi e falsità contro
cui buona parte dell’associazionismo culturale (in primo luogo
i periodici Carta Libera e Piazza) ha lottato, da quasi dieci anni,
nell’indifferenza generale dei partiti.

Accordo illegittimo
e nullo

Senza ipocrisie ed infingimenti, l’accordo
che si vuol proporre è palesemente nullo sul piano del diritto
civile ed illegittimo dal punto di vista amministrativo e contabile.
L’intesa prevede che il Comune rilevi una quota pari al 30%
della proprietà del teatro, acquisendo lo status di condomino
al pari di tutti gli altri attuali consorziati. Dov’è
la stranezza, la causa di invalidità? Per essere sufficientemente
chiari ed obiettivi, ragionerò secondo tre differenti moduli
argomentativi. Secondo un’opinione condivisa da molti, il teatro
già appartiene alla città: fu edificato su suolo comunale
e con le somme raccolte in una sottoscrizione cittadina promossa
da un comitato di cittadini costituito per l’occasione. A quella
sottoscrizione pubblica aderirono centinaia di persone che sapevano
ed accettavano quanto stabilito nello statuto del comitato promotore
e cioè: il denaro sarebbe stato destinato alla costruzione
di un teatro cittadino; i sottoscrittori delle somme più
consistenti, una volta edificato il teatro, avrebbero acquistato
unicamente il diritto di palco o di poltrona (espressamente disciplinato
dalla legge n. 1336 del 1939), vale a dire il diritto ad essere
preferiti nell’acquisto degli abbonamenti stagionali, non dunque
una quota della comproprietà del teatro; tra tutti i titolari
di tali diritti sarebbe sorto un consorzio (l’attuale consorzio)
a cui non era attribuita la proprietà del teatro, che restava
alla città, ma unicamente il compito di "amministrare,
gestire e conservare il teatro" (art. 1 dello Statuto). In
altri termini, il consorzio nasceva e si faceva tutore della buona
conservazione e gestione di un bene che restava definitivamente
acquisito al patrimonio della collettività di cui è
espressione il Comune. Che questo fosse il senso di tutta l’intelligente
e lungimirante iniziativa è confermato da una circostanza
marginale, ma non irrilevante: il sipario, di notevole pregio artistico
stando anche al provvedimento ministeriale che a metà degli
anni ‘80 ha sottoposto a vincolo storico-architettonico l’intero
immobile, non era altro che quello proveniente dal precedente teatro
comunale S. Francesco. Alla luce di questa ricostruzione storico-giuridica,
è evidente che sarebbe del tutto illogico, oltrecché
giuridicamente invalido, un qualunque accordo diretto all’acquisto,
da parte del Comune, di una quota della comproprietà del
teatro. Il Comune acquisterebbe una parte di una cosa già
interamente sua.

Non tutti
condividono questa ricostruzione

Proviamo allora a valutare l’accordo
che si propone alla luce degli altri due schemi ricostruttivi a
cui accennavo. Si può ritenere, a mio parere con sufficiente
fondamento giuridico, che la proprietà dell’immobile
spetti al consorzio, inteso però come persona giuridica,
sebbene non riconosciuta, autonoma e distinta dai singoli consorziati.
Sarebbe una sorta di fondazione di fatto o un’associazione
che riunisce i titolari del diritto di palco. La proprietà
unica ed indivisa, nemmeno pro quota, sarebbe di tale fondazione
o associazione. Se così è, non è giuridicamente
ammissibile un contratto diretto ad acquistare lo status di associato
o di fondatore. In una fondazione, fondatore o lo si è dal
principio, o non lo si è: non lo si può certo diventare
per contratto, al massimo si può contribuire e sostenere
dall’esterno e per puro spirito di liberalità l’attività
della fondazione stessa. Ad un’associazione ci si può
iscrivere, versando magari, se è prevista dallo Statuto,
una quota associativa, ma certo non si può divenire associato
comprando una quota delle proprietà dell’associazione.
Ma diamine… un miliardo e mezzo: altro che quota associativa…
nemmeno la Fiat versa una simile cifra alla Confidustria! In ogni
caso, è nozione elementare del diritto civile che gli associati
non possono vantare un diritto di comproprietà sui beni che
costituiscono il fondo comune. Queste nozioni minime, i funzionari
comunali preposti al controllo di legittimità degli atti
amministrativi presumo che, se ricoprono quel ruolo, le sappiano
ed allora… perché stanno avallando questa manovra, inducendo
peraltro il Sindaco all’adozione di un atto palesemente nullo
che lo esporrebbe a gravi conseguenze sul piano amministrativo e
contabile? Eppoi, si tace una circostanza fondamentale e risolutiva:
il Comune è già membro del consorzio e per di più,
secondo lo statuto, un consorziato estremamente qualificato. Anche
per questa via interpretativa, quindi, si approderebbe, con l’intesa
raggiunta ed ora al vaglio degli organi assembleari, al peregrino
risultato che il Comune acquisterebbe uno status che già
gli è riconosciuto per statuto.

I consorziati ed anche
la bozza di accordo parlano di un condominio

Alla luce di quanto ho detto, questa
è proprio l’interpretazione più infondata ed
inconsistente, nonostante i consorziati con una recente modifica
statutaria abbiano tentato di accreditare. Non sta nè nel
cielo, nè nella terra del diritto. E’ nozione, anche
questa elementare, che uno statuto ha un’efficacia meramente
interna ed ovviamente, nei confronti dei terzi (in questo caso di
un’intera città), non può costituire di per sé
un titolo di acquisto o proprietà. Il titolo, in questo caso,
è costituito sia dallo statuto originario a cui i sottoscrittori
dell’epoca aderirono, sia dalla convenzione con cui il Comune
concesse l’uso del suolo di sua proprietà per l’edificazione
del teatro. Allora come oggi, era chiaro che i singoli associati
o fondatori che dir si voglia divenivano titolari unicamente del
diritto di palco, non di una quota della comproprietà del
teatro.

Pericoli ed ambiguità
dell’intesa

Un’amministratrore pubblico può
decidere, se le leggi lo consentono (ma non credo proprio!) e se
in tal modo ritenesse di perseguire un interesse collettivo, di
concedere a privati cittadini soldi pubblici. Ciò che sicuramente
non può fare è contrabbandare la regalia per un contratto,
invalido giuridicamente e patrimonialmente svantaggioso per il Comune.
Il vero pericolo è che il Comune, con l’accordo in esame,
andrebbe a legittimare, ora e per sempre, una situazione infondata
giuridicamente e non corrispondente a quella determinata un secolo
fa’: una situazione che, semplicemente, non esiste. Eppoi,
ragioniamo solo per un attimo e per assurdo come se effettivamente
ci trovassimo dinanzi ad un condominio e domandiamoci: perché
il Comune, disposto ora a rilevare il 30% della proprietà,
non chiede alla sua controparte, i consorziati, di esibire il proprio
titolo di proprietà, cioè non verifica, come fa chiunque
voglia acquistare qualcosa, se chi vende è effettivamente
proprietario? Inoltre, se si tratta, come sostengono, di un condominio
mi sembra logico, anzi indispensabile, che prima di acquistarne
una quota si conosca e sia disponibile uno stato di riparto dell’attuale
proprietà, cioè, come in tutti i condominii, una tabella
millesimale da cui si desuma la ripartizione delle quote di proprietà
dei singoli consorziati e la eventuale presenza di quote libere
e disponibili all’acquisto: non si può certo acquistare
alla cieca. Ed ancora e sempre se ragioniamo in termini di condominio,
il Comune, essendo già consorziato per aver tra l’altro
concesso il suolo ed il sipario, vanta già la proprietà
di una consistente quota di quel condominio: ne deriva che il Comune,
ad esito dell’accordo, dovrebbe risultare proprietario di una
quota pari alla somma di quella già attualmente detenuta
e della nuova pari al 30 %. Perché dunque si trascura, nell’accordo,
che il Comune è già titolare di una quota? Perché
si trascura che qualche consorziato, come l’avvocato De Stefano,
si è mostrato disponibile a donare la propria quota al Comune?

Soluzioni
alternative

La realtà è che si vuol
ridurre il tutto ad una anacronistica contrapposizione pubblico/privato.
La moderna realtà giuridica, al contrario, offre soluzioni
che consentono efficacemente di comporre quell’apparente contrasto.
In tutti questi anni non siamo stati disponibili a portare avanti
una battaglia di retroguardia: abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere
il minimo: il rispetto delle leggi e dell’interesse collettivo,
non la penalizzazione dell’interesse privato. L’assessore
alla cultura è tenuto, per legge, alla cura dell’interesse
generale ed è lui, quindi, che deve spiegare perché
deve essere il Comune a sborsare un miliardo e mezzo per un teatro
che i consorziati continuano a sostenere di essere di propria esclusiva
proprietà e disponibilità. La contraddizione è
la sua e della maggior parte dei consorziati: si riempiono la bocca
di libero mercato e di libera proprietà privata nel mentre
non hanno nessuna remora a svuotare le casse comunali. E se l’assessore,
in perfetta buona fede credo, considera quello che ha sottoscritto
sia un "buon affare" per il Comune, voglio ricordare a
lui, che è un uomo di destra, che leggi del periodo fascista
in materia di teatri gli consentirebbero di acquisire l’intera
proprietà del teatro con la stessa cifra che ora è
disposto a versare per il 30% della proprietà, e che leggi
varate recentemente da Veltroni gli consentirebbero di restaurare
il teatro cittadino con fondi statali; per non parlare della possibilità
di far ricorso a fondi comunitari disponibili per questo settore.
Il fatto è che non si sono volute considerare altre soluzioni
che pure avrebbero consentito agli stessi consorziati di essere,
sotto certi aspetti, maggiormente tutelati: una fondazione, come
suggerimmo alcuni mesi fa’, o, seguendo l’interessante
soluzione adottata per il Politeama di Prato (con i cui responsabili
siamo in contatto), una società ad azionariato popolare in
cui un terzo delle azioni potrebbe essere riconosciuto di diritto
agli attuali consorziati, un terzo potrebbe essere sottoscritto
dal Comune ed il restante terzo destinato ad un’offerta pubblica
di vendita. Una soluzione di questo tipo consentirebbe, ad un tempo,
di riconoscere il ruolo storico avuto dai consorziati (che si ritroverebbero
in mano non un evanescente ‘diritto di palco’, ma azioni
liberamente disponibili e facilmente convertibili in denaro, 0, 0); di
recuperare liquidità ben maggiori del miliardo e mezzo messo
a disposizione del Comune, in quanto un altro miliardo e mezzo si
ricaverebbe dall’offerta pubblica divendita; e, soprattutto,
consentirebbe di coinvolgere, esattamente come avvenne un secolo
fa’, l’intera città alle sorti presenti e future
del Teatro. Sarebbe, questa, un’operazione di alto livello
giuridico e, soprattutto, di altissimo profilo civile e culturale,
di cui l’amministratore pubblico dovrebbe farsi doverosamente
promotore e di cui potrebbe andare legittimamente fiero.

Le reazioni
dei partiti

Il quadro politico cittadino è
davvero allarmante. I partiti e le istituzioni si sono ridotte a
casse di risonanza attraverso cui maturano carriere e si affermano
personalismi di vario genere. Ipocrisie e contraddizioni non vengono
più nemmeno dissimulate. Penso anche, ad esempio, ad autorevoli
esponenti dell’opposizione di centro-sinistra così sinceramente
indignati nella denucia della superficialità e vessatorietà
di certi censimenti comunali in materia di tasse, che miracolosamente
ritrovano la pace interiore quando, in veste di consorziati, approvano
un accordo che – sanno bene – causerà un esborso ingiustificato
di denaro pubblico. Da nessun versante politico, nonostante le sollecitazioni
di singoli ed associazioni, si sente l’esigenza di affermare
un principio ed un’idea profondamente radicati, invece, nella
coscienza collettiva cittadina, oltrecché nella legge. Il
principio: la soluzione di problemi di natura collettiva, come la
presenza e la funzione di un teatro cittadino, e la gestione di
interessi diffusi devono vedere la partecipazione ed il coinvolgimento
dei diretti interessati, vale a dire i cittadini, gli amministrati,
sistematicamente e spudoratamente invocati solo nelle occasioni
elettorali e di propaganda. L’idea: poiché è
stato edificato, un secolo fa’, grazie ad una mobilitazione
cittadina generale, il Teatro appartiene, ora come allora, alla
città. Si tratta allora solo di tradurre il senso di quell’appartenza
collettiva in una moderna forma giuridica, capace di attirare nuovi
apporti finanziari e di valorizzare le molteplici, a volte preziose,
risorse umane disponibili, attualmente impegnate nel campo culturale
ed artistico nelle necessitate forme di un anacronistico spontaneismo
e dilettantismo. Questo, non me ne vogliano i professionisti della
politica locale è un compito prettamente affidato alla politica
ed all’amministrazione della cosa pubblica: organizzare le
risorse per fini comuni, schiodare i singoli dai lori frustranti
isolamenti ed egoismi per renderli partecipi di una dimensione altra,
eppure comune a tutti. L’interesse di tutti deve interessare
davvero di tutti.

(a cura di enzo colonna)

Teatro Mercadante: un accordo nullo?

* * *

Il Comune verserebbe
1.500 milioni al Consorzio
per contare meno del
due di bastoni

Teatro Mercadante:
un accordo nullo…

di enzo colonna

Pochi sapranno che l’Amministrazione
comunale, in particolare su iniziativa ed opera dell’assessore
Vito Marvulli, ha da mesi avviato una trattativa con il Consorzio
Teatro Mercadante per risolvere il problema della chiusura (ormai
quasi decennale) del teatro. Ancor meno persone avranno appreso
che un’intesa è stata raggiunta. A dire il vero si tratta
di un accordo che, per ora e finché non verrà ratificato
dal consiglio comunale e dall’assemblea dei consorziati, non
impegna nessuno, nemmeno i quattro gatti che senza alcun reale potere
di rappresentanza vi hanno aderito. Ci sarebbe da discutere su certi
metodi adottati a più livelli (Comune, partiti, associazioni…)
per affrontare e risolvere questioni che hanno una rilevanza collettiva;
ma tant’è, prendo atto che la realtà politica
e civile di Altamura non concede spazio all’idea di un’attività
amministrativa partecipata (vale a dire, che veda coinvolti i diretti
interessati nei processi decisionali che li riguardano) e non offre
motivi per nutrire una ragionevole speranza di cambiamento.

I silenzi sono significativi. Ricorro
a facile retorica, ma non credo di esagerare, dicendo che il silenzio,
sotto cui e da ogni versante politico si sta facendo passare l’accordo,
fa venire alla mente quello proverbiale di cui approfittano i ladri
notturni. A ben vedere, di un furto (non ancora consumato) ai danni
della collettività si tratta. L’intesa raggiunta impegnerebbe
il Comune di Altamura ad acquistare, per un miliardo e mezzo, un
terzo della proprietà del teatro; con tale somma (che, invero,
sarebbe più che sufficiente ad espropriare tutto il Teatro),
il Consorzio potrebbe avviare quei lavori minimi ed indispensabili,
che non è stato in grado di effettuare in tutti questi anni
con risorse proprie (private!), per l’adeguamento dell’immobile
alle misure di sicurezza ed alla risistemazione forse di qualche
intonaco e di qualche poltroncina di modesta qualità. Non
altro, dicono gli esperti, è possibile effettuare con quella
cifra, a fronte di un teatro che, chiuso da dieci anni, avrebbe
bisogno di interventi ben più radicali e costosi. Solo che
il teatro fosse nelle mani del Comune, sarebbero disponibili molti
finanziamenti statali che recenti leggi (proposte da Veltroni) assicurano
sia per le ristrutturazioni che per le attività teatrali.

Il problema non è però
questo o, meglio, non è solo questo. In realtà, ciò
che ci vogliono propinare come un acquisto (un terzo del teatro!),
non è altro che una donazione senza ritorno da parte del
Comune (cioè, tutti noi) a favore dei consorziati, che non
sono disposti a tirare fuori una lira.

Dico subito che un accordo del genere
solleva fondati e gravi dubbi di legittimità giuridica, contabile
ed amministrativa. Non penso, a dire il vero, che i trenta consiglieri
di maggioranza ed opposizione, siano così folli da ratificarlo
in consiglio comunale: il rischio è che la Corte dei Conti
li condanni a tirare dalle proprie tasche almeno cinquanta milioni
a testa.

Infatti le domande a cui l’assessore
Marvulli ed il dott. Leto, rispettivamente l’autorità
politica ed il responsabile amministrativo più direttamente
coinvolti nella vicenda, non vogliono o non sono in grado di rispondere
sono due:

  1. perché il Comune dovrebbe acquistare un
    terzo dell’immobile, condannandosi a svolgere, in futuro
    e nella gestione del teatro, un ruolo di eterna ed irrilevante
    minoranza nel consiglio di amministrazione e nell’assemblea
    del consorzio?
  2. che cosa realmente compra e, soprattutto, è
    sicuro di acquistare dai reali proprietari?

In ordine al primo quesito, è
il buon senso comune (di imprenditori alle prese con l’acquisto
di un’azienda, padri e madri di famiglia alle prese con l’acquisto
della casa per la figlia, giocatori di lotto e lotterie alle prese
con le quote, casalinghe impegnate nella lotta quotidiana con gli
altri condomini…) a dire che è assolutamente illogico
acquistare per un terzo una cosa non frazionabile di cui non si
può godere (nemmeno per un terzo), di cui non è possibile
determinare (perché in minoranza) l’impiego e la destinazione.
Faccia un passo avanti chi è disposto ad acquistare, ad esempio,
la quota di terzo di un appartamento, sapendo che il proprietario
dei restanti due terzi continuerà ad abitarci e, a piacimento,
potrà decidere di concederlo in locazione? Chi è disposto
ad acquistare la quota di un terzo di una schedina, sapendo di non
poter profferire parola sul 2, inopinatamente dato dal titolare
delle altre quote, al Bari che gioca in casa e, soprattutto, di
non poter controllare la scheda madre per verificare se si è
fatto tredici o no? Sono quelle situazioni paradossali di condominio
che si determinano, ad esempio, quando dal povero nonno defunto
i tre nipoti ereditano i due tomoli di terra: un bel guaio far fronte
ai famelici titolari degli altri due terzi che si sono coalizzati
per fregare il terzo!

Tanto vale chiamare le cose con il
loro nome: questa storia dell’acquisto di un terzo del teatro
sembra inventata di sana pianta per far digerire ai poveri ed utili
idioti (che pagano oneri di urbanizzazione, tasse e balzelli comunali,
e per di più alle prese con gli odiosi ed illegittimi accertamenti
fiscali disposti dal Comune) un vero e proprio finanziamento a fondo
perduto a favore di uno sparuto manipolo di trenta persona. Se questa
è la politica culturale e di investimenti che l’Amministrazione
intende da ora in poi perseguire, sarà bene, da domani, presentarci
in Comune e proporre la vendita di quote (non al di sopra di un
terzo) dei nostri appartamenti fatiscenti, delle nostre aziende
in dissesto: possiamo stare tranquilli, il Comune ci finanzierà
i necessari interventi di ristrutturazione o di investimento, e
noi, dall’alto dei nostri due terzi, continueremo comodamente
ad abitare i nostri appartamenti ristrutturati o a gestire le nostre
aziende risanate. Risultato: 1- 0; anzi, rispettando le quote, 2
—1 per i furbi.

Veniamo ora al secondo quesito. Il
codice civile, oltreché la logica comune, dispone che un
contratto (di compravendita, ad esempio) è valido se il suo
oggetto è possibile, lecito, determinato o determinabile;
in più, per poter acquistare validamente ed efficacemente
è indispensabile che chi vende è davvero il legittimo
titolare del bene venduto. Sono rispettate le due condizioni nell’accordo
in esame? Pare proprio di no. Ed il notaio che si dovesse prestare
alla stipula di un atto palesemente nullo andrebbe incontro a sicure
sanzioni disciplinari.

Per tentare di essere chiari sul punto,
ricorro ad un’argomentazione schematica:

  • Il teatro è stato edificato alla fine del
    secolo scorso su un suolo di proprietà comunale. Il Comune,
    con una convenzione, concesse ad un comitato l’utilizzo del
    suolo per la sua costruzione. Il comitato cittadino si fece promotore
    di una pubblica sottoscrizione a cui aderirono circa trecento
    altamurani. Non solo il suolo, ma anche il sipario è di
    proprietà comunale, trattandosi di quello proveniente dal
    Teatro Comunale S. Francesco andato poi distrutto. Chi sottoscriveva,
    versando una somma di denaro, aderiva ad un regolamento statutario
    che prevedeva a favore dei sottoscrittori non l’acquisto
    della proprietà di una quota del teatro, ma il solo diritto
    di palco o di poltrona, cioè il diritto di essere preferito
    nell’acquisto dell’abbonamento stagionale relativo a
    quel palco o poltrona.
  • Tutto ciò era perfettamente chiarito nello
    Statuto originario, l’unico che rileva giuridicamente in
    quanto l’unico conosciuto e sottoscritto da coloro che versarono
    realmente le quote di denaro per la costruzione del teatro. Peraltro,
    due leggi degli anni trenta hanno disciplinato in modo altrettanto
    chiaro il diritto di palco, che veniva distinto dal diritto di
    proprietà che poteva ben spettare ad un altro soggetto
    (pubblico o privato). Solo con una modifica statutaria recente
    (1993), i consorziati (circa 70 persone, delle quali la maggioranza
    ormai disinteressati alle vicende del teatro: è evidente
    che i 70 sono gli eredi solo di alcuni dei trecento originari
    sottoscrittori) si sono proclamati, in modo del tutto unilaterale
    ed arbitrario, proprietari esclusivi in condominio del teatro.
    A questo proposito è sufficiente rilevare un’evidente
    contraddizione. Delle due l’una: o, come dicono nell’ultimo
    statuto, sono proprietari pro quota, ed allora non si capisce
    come possano con un tratto di penna o con una clausola statutaria
    tagliare fuori tutti gli altri eredi (300 — 70 = 230), seppure
    assenti o sconosciuti, trattandosi di un diritto (la proprietà)
    imprescrittibile e non violabile con una regola statutaria, che,
    nell’ipotesi, sarebbe palesemente nulla. Oppure i singoli
    consorziati, come disponeva chiaramente lo statuto originario
    e come in effetti è, non sono in realtà proprietari
    di quote, ma semplici associati a cui è riconosciuto unicamente
    quella preferenza nell’acquisto dell’abbonamento stagionale.
    Nulla di più.
  • Un’ultima precisazione è necessaria
    dal punto di vista ricostruttivo. Al Comune di Altamura, in quanto
    concedente il suolo, ed all’ingegnere Striccoli (quindi ai
    suoi eredi), che aveva progettato gratuitamente il teatro, era
    riconosciuta la proprietà piena rispettivamente del palco
    centrale (di rappresentanza) e di una poltrona. Il Comune, dunque,
    è già un membro (qualificato) del consorzio.

Tornando al profilo della validità
o meno dell’acquisto di una quota pari ad un terzo, dal quadro
storico-giuridico sommariamente descritto si ricava che: a)
se si ritiene, come fanno inopinatamente ed ingiustificatamente
gli attuali consorziati, che i singoli consorziati siano proprietari
pro quota o condomini dell’edificio, il Comune (esso
stesso consorziato di prima classe) non può acquistare un
terzo di una cosa di cui esso stesso è già, pro
quota
, proprietario; b) se, invece, più correttamente
si ammette che i singoli non siano proprietari di un bel nulla,
ma siano semplici membri di un associazione non a fini di lucro
o, a mio parere, componenti di una fondazione (di fatto) a cui era
ed è da riconoscere un semplice diritto di palco o poltrona,
il Comune non può acquistare, con denaro (un miliardo e mezzo),
uno status di associato (o componente di tale fondazione)
che già gli è riconosciuto dallo Statuto e dalla convenzione
stipulata all’epoca; né può acquistare, per la
bella cifra di un miliardo e mezzo, il solo diritto o capriccio
di contare di più (da 1/70 a 23/70, cioè contare un
terzo). Sarebbe come se al circolo del tresette avessero bisogno
di denaro liquido per effettuare dei lavori di pitturazione della
sede e proponessero a Silvio di versare un po’ di soldi all’associazione
in cambio dell’impegno a considerare il suo voto due volte
quello di Onofrio, nel momento in cui, nell’assemblea degli
associati, si dovesse decidere se comprare la birra Peroni anziché
la Raffo. E’ bene ricordare che lo status di associato
(o di componente di una fondazione) è condizione ben diversa
da quella di socio di una società commerciale o di condomino
di un edificio, in cui la quota corrisponde esattamente alla misura
dell’apporto patrimoniale iniziale o del titolo di proprietà
individuale.

Una volta escluso che si possa parlare
di una proprietà ripartita in quote tra i singoli consorziati
e considerato il consorzio un soggetto giuridico che riunisce i
titolari del semplice diritto di palco (o poltrona), resta da domandarsi:
chi è il proprietario del teatro? Il quesito non è
facilmente risolvibile, le risposte possibili sono due: o si ritiene
il teatro in proprietà indivisa, nemmeno pro quota,
del Consorzio, inteso però, si è detto, come soggetto
giuridico autonomo e distinto dai singoli i quali, si ripete, non
sono proprietari di nulla; oppure lo si considera di proprietà
della città, quindi del suo ente esponenziale che è
il Comune. Giuridicamente, la questione è complessa, ma fa
piacere ricordare la gloria e la lungimiranza che fu’ dei nonni
e bisnonni. Un secolo addietro, si proposero di fare qualcosa per
la città, quindi per se stessi; sottolinearono, nello statuto,
che la città aveva bisogno di un teatro, di un luogo di cultura
per gli altamurani; si impegnarono a raccogliere e versare denaro
e si obbligarono, anche contrattualmente, con l’amministrazione
dell’epoca a rivolgersi ad un’impresa di costruzioni altamurana,
a ricorrere alla manodopera altamurana, a coinvolgere, insomma,
in quella loro idea l’intera città: e così fu’,
se si pensa alle circa 300 sottoscrizioni, al numero di artigiani
ed operai impegnati nei lavori, al suolo ed al sipario che furono
concessi dal Comune… Mi piace pensare allora, e forse il diritto
milita a favore di queste interpretazioni, che il teatro fu costruito
per la città. Un esempio mi sembra più efficace di
tante argomentazioni giuridiche e – sembrerà strano, ma questa
città vive di queste incomprensibili contraddizioni —
mi è stato suggerito proprio dal nostro Sindaco in occasione
di una recente e piacevole conversazione, del tutto informale, sull’argomento.
A me, che discettavo in punta di diritto, mi fece osservare: "E’
quanto è avvenuto per Padre Pio". Scusi, Sindaco, che
c’entra Padre Pio? "Eh sì, parlo della statua di
Padre Pio che abbiamo eretto vicino alla Consolazione. Mi attivai
con un gruppo di altri fedeli e costituimmo un comitato: raccogliemmo
soldi e contributi, chiedemmo l’autorizzazione al Comune trattandosi
di suolo pubblico e riuscimmo nell’impresa. La statua è
lì". E quindi? "Insomma, mica noi diciamo che la
statua è nostra, magari in condominio!". Bravo Sindaco!
Trenta e lode in diritto privato, ma se vuol meritarsi un altro
trenta, per il Teatro Mercadante, dovrà cambiare programma
di studi e soprattutto professori.

Il Teatro di tutti.




All’attenzione

del Sindaco di Altamura,
Preside Vito Plotino


dell’Assessore
alla P.I. e presidente della commissione, Prof. Vito
Marvulli


del Presidente Commissione
Cultura, Dott. Antonio Lorusso

dei Gruppi Consiliari

del Presidente del Consorzio
Teatro Mercadante, Avv. Raffaele Caso

 




Il Teatro di tutti

Noi sottoscrittori di questo documento-proposta,
che sottoponiamo all’attenzione dell’Amministrazione e
del Consiglio comunali, del Consorzio Teatro Mercadante e dell’intera
città, abbiamo accolto con soddisfazione la notizia dell’avvio
di nuove trattative tra il Comune ed il Consorzio dirette alla riapertura
ed alla definizione di un nuovo assetto giuridico-finanziario del
Teatro Mercadante. Il dialogo riprende dopo un lungo periodo di
incertezze, incomprensioni e palesi conflittualità.

La posta in gioco è grande
e come tale, ci auguriamo, venga apprezzata dagli unici due soggetti
sinora coinvolti nelle trattative: restituire il Teatro alla sua
piena funzionalità ed alla Città. Riteniamo, pertanto,
che si renda necessario un ultimo e conclusivo impegno da parte
di tutti, anche da parte nostra: un impegno corale e cittadino,
come quello che un secolo fa’ ne consentì l’edificazione.
Solo uno sforzo di questo tipo potrà impedire che incertezze
giuridiche sull’assetto della proprietà, incomprensioni
personali e conflitti di interesse esplodano dando vita a contenziosi
giudiziari od a soluzioni radicali sempre possibili (si pensi ad
un eventuale esproprio, che pure le leggi consentono).

La "soluzione migliore"
potrà essere individuata unicamente coinvolgendo la città.
Chiediamo, quindi, che ai lavori della commissione istituita per
la predisposizione di uno schema di soluzione siano chiamati a partecipare
anche esponenti del mondo associativo, oltre a quelli del consiglio
comunale e del consorzio.

Riteniamo peraltro che l’unica
"soluzione" giuridica-amministrativa-finanziaria valida
e legittima sia quella che riesca a conciliare gli interessi pubblici
e gli interessi privati coinvolti nella vicenda. In questa direzione,
consideriamo necessario individuare una soluzione che contestualmente
riconosca il ruolo ed i meriti storici del soggetto privato (il
Consorzio Teatro Mercadante), tenga conto dei doveri e delle funzioni
cui è tenuto l’ente pubblico (il Comune) e, soprattutto,
rispetti i diritti dell’intera comunità cittadina, che
può esprimersi in questo contesto attraverso il coinvolgimento
di rappresentanti del mondo associativo cittadino.

Il Teatro non deve semplicemente essere
riaperto, definendone unicamente -come la istituita commissione
si propone di fare- l’assetto proprietario. Bisogna, anche
e soprattutto, fare in modo che il Teatro resti aperto. E’
necessario, pertanto, sia chiarire definitivamente a chi spetta
la proprietà e con quali quote; sia individuare il soggetto
giuridico a cui in via permanente dovrà essere affidata la
gestione del Teatro. I nodi della proprietà e della gestione
vanno affrontati e risolti contestualmente.

In particolare, per quanto attiene
al problema della gestione la soluzione che noi sottoscrittori di
questo documento auspichiamo e ci impegniamo a perseguire può
essere schematicamente descritta nel modo seguente:

– i compiti di gestione dovrebbero
essere definitivamente affidati ad una fondazione di diritto privato,
di cui si renderebbero fondatori il soggetto giuridico proprietario
dell’immobile, il Comune e gli eventuali altri soggetti privati
e pubblici interessati. Si tratterebbe di una fondazione di diritto
privato modellata secondo lo schema previsto dal Decreto legislativo
n. 367 del 1996 (la c.d. legge Veltroni sugli enti lirici). La fondazione
perseguirebbe, senza scopo di lucro, la diffusione dell’arte
musicale e teatrale, la formazione musicale e teatrale della collettività,
la promozione di eventi culturali in genere. Come previsto dall’art.
3 del decreto citato, per il perseguimento dei propri fini, la fondazione
provvederebbe direttamente alla gestione del Teatro, conservandone
il patrimonio storico-culturale-artistico; alla realizzazione di
spettacoli ed all’organizzazione di stagione teatrali e concertistiche;
svolgerebbe direttamente ed indirettamente, nel rispetto dei propri
scopi istituzionali, attività commerciali ed accessorie,
connesse al Teatro. La fondazione opererebbe secondo criteri di
efficienza ed imprenditorialità, nel rispetto dei vincoli
di bilancio e beneficiando del regime fiscale di favore previsto
per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (v.
il recente Decreto legislativo n. 460 del 1997). La composizione
del consiglio di amministrazione di tale fondazione dovrebbe segnare
la vera novità
dei lavori della Commissione, prevedendo
la
partecipazione piena della Città alla gestione
del Teatro
, in particolare di quella parte organizzata in associazioni
ed impegnata in attività culturali, musicali e teatrali:
si potrebbe prevedere che un terzo dei membri del consiglio (il
cui numero complessivo si potrebbe limitare a nove) sia designato
dal Nuovo Consorzio (o da quello che sarà individuato come
soggetto proprietario dell’immobile), un terzo dall’ente
comunale ed il restante terzo dalla Consulta cittadina delle associazioni.
Solo una struttura di gestione aperta alla città, tale da
configurare un vero e proprio Teatro Civico, consentirebbe di usufruire
dei finanziamenti pubblici e del sostegno degli enti teatrali, nazionali
e regionali, che sono invece preclusi ai teatri a gestione privata.

Noi sottoscrittori, confidando nell’accoglimento
delle nostra proposta, ci proponiamo con le nostre professionalità
ed esperienze a contribuire ai lavori della Commissione (nei modi
che ci indicherete) e, quindi, alla definizione degli aspetti tecnico-giuridici
dell’auspicata fondazione di gestione

Il Teatro è stato e deve rimanere
un bene dell’intera comunità. Tutti, a vario
titolo, si dovranno sentire partecipi di questo patrimonio e
soprattutto delle attività che con esso si potrebbero realizzare
.

 

 

Seguono le firme dei sottoscrittori:

Carta Libera – AsterX – Lacompagnia
– AMLET – Teatro Stabile – Laboratorio di recitazione "Palcoscenico"
– Pro Loco – Compagnia Teatrale Gravinese 81 – Torre di Nebbia –
CIDI – Piazza – Nella città – Studiodanza – Tracce – Donne
in – FIDAPA – Radio Regio – Archeo Club – Centro Danza "Arabesque"
– DanzArte – Canale due – Radio Altamura Centrale – Centro studi
"A. Moro" – Piesse Management – ANFFAS – Ass sport. "Blue
Gym" – Ass. sport. "Sport è vita" – Ass sport.
"Nuova Altamura" – CARS – ARCA – Gruppo musicale "Uaragniaun"

Il Teatro di alcuni ”tutti”.

Pubblico o privato?
Le soluzioni vengono da vecchie leggi "fasciste" e dal
buon senso. E alla fine c’è sempre la possibilità
dell’esproprio…

di enzo colonna

 

Nulla di buono si profila all’orizzonte.
Ci auguriamo sinceramente di essere smentiti dai fatti, ma i termini
del possibile accordo che si sta profilando tra il Consorzio Teatro
Mercadante e l’Amministrazione comunale per il ripristino del
Teatro non concedono margini sufficienti alla speranza ed all’interesse
collettivo.

La situazione

Schematicamente riepiloghiamo la situazione:
1) il Teatro Mercadante, bisognoso di radicali e costosi interventi
di recupero, è chiuso da anni (quasi un decennio, 0, 0); 2) coloro
che rivendicano la proprietà (privata) dell’immobile,
vale a dire i consorziati, non dispongono o, meglio, non sono disponibili
ad investire proprie risorse economiche (private anch’esse, 0, 0);
3) i consorziati hanno richiesto che sia il comune ad impegnarsi
economicamente per il recupero; 4) sinora è mancata una risposta
da parte dell’amministrazione comunale; 5) la latitanza di
quest’ultima è da addebitare a congenita idiosincrasia
per le vicende culturali ed anche, forse soprattutto, all’oggettiva
difficoltà di configurare un nuovo assetto giuridico della
proprietà del Teatro: il Comune, infatti, non può
impegnare considerevoli risorse pubbliche a beneficio di privati
cittadini per un immobile che, nelle pretese dei consorziati, continuerebbe
ad essere nella loro (cioé, privata) proprietà e gestione;
6) è necessario, dunque, dar vita ad un nuovo soggetto giuridico,
frutto dell’apporto e collaborazione del Consozio, del Comune
ed eventualmente di altri soggetti pubblici e privati; 7) circa
tre anni fa’, questo giornale con altre associazioni suggerirono,
anticipando quella che sarebbe stata la soluzione adottata per gli
enti lirici nazionali (come la Scala di Milano) dal legislatore
nazionale (la cosiddetta legge Veltroni del 1996), di dar vita ad
una fondazione (quindi un ente di diritto privato, ma non a scopo
di lucro), il cui patrimonio fosse costituito in primo luogo dagli
apporti del Comune e del Consorzio (rispettivamente, il denaro necessario
per i lavori e l’immobile) ed in cui, però, il controllo
della gestione (vale a dire, la maggioranza del consiglio di amministrazione)
fosse affidata alla città nelle sue varie articolazioni (quindi,
a rappresentati del Comune, delle associazioni culturali, ecc., 0, 0);
8) si suggeriva, in altri termini, un ritorno al coinvolgimento
ed al sentimento collettivo (un fatto di popolo, si potrebbe dire)
che animarono l’edificazione, oltre un secolo fa’, del
Teatro: questa fu possibile grazie alla concessione da parte dell’amministrazione
comunale dell’epoca di un suolo pubblico, all’iniziativa
nobile di un gruppo di cittadini facoltosi (i cui discendenti sono
in buona parte gli attuali consorziati) che promossero una pubblica
sottoscrizione, ed appunto alle sottoscrizioni di centinaia di semplici
cittadini che consentirono di raccogliere le venticinquemilalire
necessarie per la costruzione.

Le trattative in corso

Quel suggerimento è caduto
nel vuoto. La triste e modesta realtà di questi ultimi anni
ha visto contrapposte, in uno sterile gioco a due, le (forse buone)
ragioni del Comune e del Consorzio. Quell’invito a "ridare"
il Teatro alla "Città", si badi, non al Comune,
sembra definitivamente rifiutato dai due protagonisti della trattativa.
Stando alle indiscrezioni, la triste e modesta soluzione, che si
va profilando in questi giorni di incontri a due, consisterebbe
nella costituzione di una società il cui capitale sarebbe
costituito dall’immobile e dai soldi pubblici messi a disposizione,
rispettivamente, dal Consorzio e dal Comune.

Un modo per camuffare ipocritamente
e maldestramente la concessione di fondi pubblici a semplici privati
perché: a) le quote della costituenda società
sarebbero assegnate in proporzione agli apporti dei due soggetti:
secondo un dubbio calcolo, al Comune (che verserebbe la somma necessaria
per il recupero, un miliardo circa) ed al Consorzio (che metterebbe
a disposizione l’immobile del valore di circa quattro miliardi,
secondo la stima degli stessi consorziati), spetterebbero rispettivamente
circa il 20% e l’80% del capitale sociale; b) con buona
pace degli interessi collettivi, l’operazione giuridica in
cantiere, in un colpo solo, escluderebbe la "città"
(associazioni culturali, gruppi teatrali, movimenti civili, forze
imprenditoriali) dal controllo della società, limiterebbe
ad una quota minoritaria la presenza dell’ente comunale ed
assicurerebbe agli attuali consorziati il controllo pieno della
società e la possibilità di continuare a gestire,
con i limiti manifestati in questi decenni, un Teatro finalmente
ristrutturato con denaro pubblico.

Promemoria per gli amministratori

Ci auguriamo che l’esito delle
trattative in corso non sia davvero questo. Ci limitiamo ora a denunciarne
la contraddittorietà con il tanto declamato interesse della
Città, sia quella che lavora e vive sulla propria pelle le
decisioni pilotate dall’alto, sia quella che, senza fini di
lucro, fa attività culturale. Forse è davvero giunto
il momento di deporre gli strumenti della mera denuncia civile e
democratica, rivelatasi sinora inefficace, e di intraprendere le
ben più efficaci azioni legali (in sede civile ed amministrativa)
che la legge assicura ai semplici cittadini nell’interesse
della collettività.

Desistiamo ancora, solo per un momento,
e ci limitiamo per ora a predisporre una sorta di promemoria,
confidando che ci sia un amministratore comunale per il quale abbia
ancora senso l’espressione "interesse generale".

Gli ricordiamo allora che: 1) se gli
attuali consorziati si ostinano a parlare di una loro proprietà
piena del Teatro, è cosa buona e utile chiedere loro quale
sia il loro titolo di proprietà; 2) il suolo su cui fu eretto
il teatro era ed è di proprietà pubblica, quindi nel
conteggio delle quote della costituenda società dovrebbe
essere computato; 3) né nella convenzione del 1895 con cui
il Comune concedeva il suolo al Comitato promotore della sottoscrizione,
né nello Statuto del 1895 di tale comitato si parlava ad
una proprietà piena dell’immobile; 4) si dovrebbe preliminarmente
fare chiarezza sulla natura giuridica dell’attuale Consorzio
che non è assolutamente ben definita (chi scrive può
averne una idea, ma resta un’opinione, 0, 0); 5) esso è nato
come comitato promotore di una sottoscrizione, le sottoscrizioni
furono centinaia, ma gli attuali consorziati si sono ridotti, in
virtù di una selezione operata con dubbie clausole statutarie,
via via adottate e modificate nei decenni, a poche decine; 6) allora
chi sono e quanti sono i consorziati?; 7) lo Statuto del comitato
del 1895 attribuiva ai sottoscrittori delle somme più consistenti
unicamente un diritto di palco, non la proprietà dell’immobile
che è cosa ben diversa; 8) lo Statuto adottato nel 1955,
infatti, continuava a parlare unicamente di un Consorzio per la
"gestione, amministrazione e conservazione del Teatro"
(art. 1), di cui facevano parte i proprietari di palchi e poltrone
(art. 2), non dunque i proprietari dell’immobile; 9) sempre
lo Statuto del 1955 distingueva tra un diritto di proprietà
assoluto ed uno relativo: quello assoluto (che si sostanziava nel
diritto di accedere ed usare gratuitamente del posto) era riconosciuto
unicamente al Comune (che aveva concesso gratuitamente il suolo)
ed agli eredi dell’ing. Striccoli (che aveva gratuitamente
progettato il teatro), quello relativo (che si sostanziava semplicemente
in un diritto ad essere preferiti nell’acquisto degli abbonamenti
stagionali) era riconosciuto a tutti gli altri eredi degli originari
titolari del mero diritto di palco; 10) la distinzione è
di sostanza, soprattutto perché esprimeva statutariamente
la distinzione operata dalla legge n. 1336 del 1939 che regolava
appunto i rapporti tra i proprietari degli edifici adibiti a teatri
ed i semplici titolari del diritto di palco; 11) solo nello Statuto
del 1993 i consorziati, autonomamente ed unilateralmente, hanno
operato una dubbia equiparazione o sovrapposizione tra titolarità
del diritto di palco e titolarità del diritto di comproprietà
sull’intero immobile; 12) l’impressione che se ne ricava
è che originariamente la proprietà del teatro appartenesse
alla città (da qui l’espressione di "Teatro Comunale"
contenuta nello Statuto del 1895) e che ai sottoscrittori di certe
somme fosse assicurato solo il diritto di palco.

Ricordiamo ancora all’amministratore
pubblico, se ve n’è qualcuno attento e di buon senso
dalle nostre parti, che: a) per quanto si è detto,
si rende necessaria un’indagine o un’accertamento preliminare
sull’assetto proprietario dello stabile, prim’ancora di
parlare della costituzione di una società mista; b)
se ci si riducesse (fors’anche a buon ragione, ma comunque
dopo la necessaria verifica) a parlare di una comproprietà
dello stabile tra i consorziati, trascurando quella distinzione
tra diritto di proprietà dell’edificio e diritto di
palco, in ogni caso l’amministrazione comunale dovrebbe far
valere ed esercitare (cosa che sinora non ha mai fatto) i diritti
che spettano al Comune (in modo incontestato ed incontestabile)
nella sua qualità di consorziato e, quindi, di comproprietario
dell’edificio, oltreché proprietario esclusivo del suolo
su cui sorge; c) ne consegue che il Comune dovrebbe preliminarmente
accertare l’entità della sua quota di comproprietà
all’interno del Consorzio; d) in altri termini, nell’attribuzione
delle quote della costituenda società si deve tener conto
non solo della somma destinata al recupero che andrebbe ad erogare
il Comune (il miliardo), ma anche della considerevole (se si tiene
presente che l’immobile sorge su suolo pubblico) quota di comproprietà
che esso già detiene sull’immobile.

Esproprio? Le leggi ci sono

E’ indispensabile, dunque, che
si accerti la situazione giuridica attuale e si definiscano gli
obiettivi, prima di pensare ad individuare gli strumenti per superare
le difficoltà che si frappongono alla riapertura del Teatro;
il consiglio vale soprattutto per alcuni funzionari (solerti factotum
del Comune, nonché affettuosi padri di famiglia) che sembrano
essersi scoperti, improvvisamente ed improvvidamente, votati alla
causa del teatro.

Aggiungiamo che la rivendicazione
e la difesa ad oltranza da parte dei consorziati del proprio status
di comproprietari, trascurando che il "loro" bene "privato"
ha per sua natura precise valenze e funzioni pubbliche, rischiano
di rivelarsi addirittura controproducenti per i loro stessi interessi.

Si potrebbero dischiudere scenari
del tutto nuovi e sinora non considerati dalla pubblica amministrazione,
se solo questa si preoccupasse di quantificare la propria quota
di comproprietà.

Infatti, l’art. 1 del R.D.L.
n. 579 del 1937, convertito con la legge n. 1221 del 1937 ("Norme
per disciplinare la risoluzione, da parte dei comuni ed enti pubblici
in genere, dei condominii teatrali"), riconosce ai comuni la
possibilità di "chiedere al prefetto la espropriazione
per causa di pubblica utilità dei palchi e relativi camerini,
con la rispettiva quota di altre parti del teatro e dell’area
di esso spettante ai palchettisti, esistenti sia nei teatri comunali,
sia in quei teatri dei quali i comuni abbiano almeno la quarta parte
in proprietà". L’indennità? Poca cosa: in
base all’art. 16 della legge n. 1336 del 1939, "l’indennità
dovuta ai proprietari dei palchi espropriati consiste nella somma
corrispondente al reddito annuo netto di ciascun palco capitalizzato
in ragione del cento per otto. Il reddito si determina prendendo
a base la media dei fitti percepiti o che avrebbero potuto percepirsi
da una locazione continuativa nell’ultimo quinquennio…".

Vogliamo continuare a parlare, come
fanno i consorziati, di comproprietà piena? Continuiamo,
stiamo al gioco…

Ai sensi dell’art. 12 della legge
n. 1336 del 1939 ("Norme sul condominio dei teatri e sui rapporti
tra proprietari dei teatri ed i titolari del diritto di palco")
"chi abbia la comproprietà del teatro per una parte
costituente almeno la metà del suo valore, previa autorizzazione
del ministro… può chiedere l’espropriazione della
parte spettante agli altri condomini". Il Comune ha, da solo,
la metà del teatro? Forse no, ed allora leggiamoci il secondo
comma dello stesso articolo: "l’espropriazione di cui
sopra può essere chiesta da uno o più condomini che
rappresentino almeno un terzo del valore del teatro quando, per
esigenze di pubblico interesse, sia riconosciuta l’utilità
di eseguire notevoli lavori di ricostruzione, di trasformazione
o di ampliamento del teatro e gli altri condomini si rifiutino di
concorrere nella spesa relativa"; in tale ipotesi, "qualora
il ministro… riconosca che i lavori siano urgenti ed indifferibili
-si legge nel quarto comma- … può disporre l’occupazione
dell’immobile espropriando, prefiggendo un termine per l’esecuzione
dei lavori".

Leggi fatte dall’Ulivo, dalla
Sinistra? Macchè: sono leggi fasciste e pure intelligenti.
Leggi che tutelano la proprietà, quando e nei limiti in cui
questa funziona, quando e nei limiti in cui si fa attività
con una utilità pubblica; non tutelano il diritto di lasciar
marcire quattro tufi, soprattutto quando questi formano un teatro
che ha una sua valenza sociale e generale. Sindaco, orsù,
all’opera con le Sue leggi!!

E dal momento che stiamo giocando
(ancora per un po’!), richiamiamo un’altra legge fascista,
un’altra legge fatta da gente "con le palle". E’
la n. 1089 del 1939 ("Tutela delle cose di interesse artistico
o storico"), applicabile al Teatro Mercadante in quanto dichiarato
immobile di particolare interesse storico-artistico con decreto
del Ministero per il beni culturali e ambientali del 16 aprile 1984:
gli articoli 14 e 15 dispongono che il ministro "ha facoltà
di provvedere direttamente alle opere necessarie per assicurare
la conservazione ed impedire il deterioramento delle cose"
ed in tale ipotesi, recita l’art. 17, "gli enti e privati
interessati hanno l’obbligo di rimborsare allo Sato la spesa
sostenuta per la conservazione della cosa. L’ammontare della
spesa è determinato con decreto del ministro. Qualora la
spesa non sia rimborsata, il ministro ha facoltà di acquistare
la cosa al prezzo di stima, che essa aveva prima delle riparazioni".

Pubblico o privato? Una terza via

Interessanti, queste leggi! Soprattutto
istruttive: la proprietà non è un’isola felice,
luogo di espressione di istinti individualistici ed egoistici; le
ragioni dei singoli vanno necessariamente raccordate con le ragioni
della comunità in cui quei singoli vivono ed operano. Il
gioco del "questo è mio e guai a chi me lo tocca"
è un gioco perdente e per nulla appagante: per tutti! Tutti
devono comprendere, come scrivevamo tre anni fa, che il Teatro Mercadante
è un bene privato con interessi e funzioni pubbliche o, specularmente,
un bene pubblico su cui gravano interessi privati che vanno riconosciuti
e tutelati. Superando l’asfittica contrapposizione tra pubblico
e privato, è necessario battere una "terza
via", quella diretta a sperimentare e ad individuare un assetto
giuridico che consenta di raccordare contestualmente interessi privati
e collettivi.

Il problema vero non è tanto
quello della titolarità della futura proprietà del
bene (maggioranza pubblica o privata?), quanto quello della sua
gestione, cioè del ritorno del Teatro alla sua funzione sociale
e culturale. In questa prospettiva, è ben possibile scindere
i due momenti (titolarità e gestione), ricollegandoli a due
diverse entità: da un lato, una fondazione di diritto privato,
proprietaria dell’immobile e con una maggioranza in mano dei
privati consorziati (a cui si potrebbe continuare a riconoscere
il diritto di palco per determinate manifestazioni, 0, 0); dall’altro,
una società operativa, controllata dalla città attraverso
rappresentanti delle istituzioni e delle realtà associative
ed economiche del settore, impegnata, nella gestione quotidiana,
ad assicurare il Teatro alla sua funzione ed alla comunità.

La proposta delle associazioni.

Il Teatro non deve essere semplicemente
riaperto, è necessario fare in modo che resti aperto. Si
deve evitare che, una volta riaperto esclusivamente grazie all’intervento
finanziario del Comune, si ripropongano in breve tempo le stesse
incertezze e difficoltà che hanno determinato la chiusura
del teatro otto anni fa’. Per questo motivo, chiediamo a chi
può decidere che ora vanno risolti contestualmente i problemi
legati all’assetto giuridico della proprietà ed alla
futura gestione. Invitiamo Amministrazione comunale e Consorzio,
uniti ora nelle trattative, ad individuare una soluzione moderna,
originale, senza rinchiudersi in un gioco a due e senza lasciarsi
prendere dalla morsa dell’alternativa o della contrapposizione
pubblico/privato. Tra questi due termini di riferimento, la moderna
realtà culturale e giuridica offre una serie di soluzioni
che consentono contestualmente di riconoscere il ruolo storico svolto
dal soggetto privato (il Consorzio), di tener conto delle funzioni
e dei doveri cui è tenuto l’ente pubblico (il Comune)
e soprattutto di rispettare i diritti dell’intera comunità
cittadina.

La nostra proposta è ispirata
al buon senso ed all’idea del rispetto dei diritti di un’intera
comunità. Un teatro, soprattutto in una città come
la nostra che non ne ha alcuno ed ha un solo cinema a disposizione,
non è un immobile qualunque, non può essere considerato
e trattato alla stregua di un banale condominio, con tanto di quote
e di tabelle millesimali. Vale la pena ricordare che gli attuali
consorziati, appena una settantina di persone, sono solo gli ererdi
di alcuni dei circa 300 cittadini altamurani che nel 1895 aderirono
ad una sottoscrizione pubblica che consentì l’edificazione
del teatro. Volendo utilizzare un’espressione ormai desueta,
ma per noi ancora carica di significato, quella vicenda fu un fatto
di popolo, coinvolse tutta la città, non solo i suoi sottoscrittori:
basti pensare che, quasi programmaticamente, nello statuto originario
del comitato promotore della sottoscrizione si esaltava la volontà
e la necessità di affidare i lavori alle maestranze, agli
artigiani e agli artisti della città; il sipario è
quello dell’ormai scomparso Teatro Comunale "S. Francesco".
Altro che condominio privato, come si legge nell’ultimo statuto
del consorzio!

In ogni caso, noi non chiediamo che
si proceda all’esproprio, che pure diverse leggi consentono
(anche quella sui teatri in condominio), non vogliamo ora contestare
la proprietà in capo al consorzio, sebbene dubbi e perplessità
si possano esprimere. Chiediamo solo che almeno per quanto riguarda
la gestione si recuperi quella dimensione corale e cittadina che
caratterizzò la costruzione del teatro, che si dia spazio
alla città, a quanti svolgono "senza scopo di lucro"
attività culturale, musicale teatrale, ecc. In questa direzione
si muove la nostra proposta di costituire una fondazione di gestione
che riunisca nel suo consiglio di amministrazione rappresentanti
del Consorzio, del Comune e della Comsulta cittadina delle associazioni.
Chiediamo il minimo! Abbiamo evitato, proprio per essere propositivi,
di mettere in discussione l’assetto proprietario. Quella dovrà
essere il frutto di una scelta di politica amministrativa. Vorremmo
però far osservare alla commissione al lavoro che in ogni
caso un eventuale nuovo consorzio, che nascerebbe con il contributo
economico che il Comune si appresterebbe a dare, deve vedere coinvolti
il Comune ed il Consorzio come ente giuridico autonomo. I singoli
consorziati non sono comproprietarii, come pure sostengono nel loro
ultimo statuto. A loro lo Statuto originario del 1895 e quello del
1955, nonché la legge del 1939 sul condominio dei teatri
riconosce unicamente un diritto di palco, vale a dire un diritto
ad essere preferiti nella sottoscrizione degli abbonamenti stagionali.
E’ con il consorzio che il Comune deve scendere a patti, non
con i singoli consorziati. Comunque, ripetiamo, la nostra proposta
si occupa solo della gestione. Alla città interessa non il
contenitore, ma il suo contenuto; non i quattro tufi, ma cosa con
quei quattro tufi è possibile fare. Interessa quindi che
la gestione sia affidata ad un soggetto giuridico che ad un tempo
garantisca i diritti dei privati ed assicuri il teatro alla sua
funzione sociale e culturale ed alla comunità cittadina.

(a cura di enzo colonna)

A chi appartiene il Teatro Mercadante?

A chi appartiene il Teatro Mercadante?
E’ comunale o privato? Domanda ricorrente seppur in sé
piena di limiti.

Se solo, infatti, si riflettesse
sulla natura del Comitato promotore. Se solo si prendesse
in considerazione il contenuto del diritto che fu riconosciuto
ai sottoscrittori dallo Statuto del 1895 (l’unico ad avere
un’efficacia non limitata al gruppo dei consorziati, in quanto
costituiva parte integrante della Convenzione del 1895 in virtù
di un richiamo espresso). Se solo si desse giusto risalto alla
misura ed alle forme del coinvolgimento della città nell’edificazione
del Teatro. Se solo si tenessero presente le motivazioni e le
intenzioni dei promotori espresse nella Premessa allo Statuto
del 1895. Ebbene, se si tenesse presente tutto ciò (su
cui ci si è soffermati nel dossier dedicato agli statuti),
la conclusione naturale ed obbligata sarebbe una sola: il Teatro
appartiene costitutivamente, culturalmente, emotivamente e funzionalmente
alla comunità altamurana, non – si badi – all’Ente
Comune.

Se solo si cessasse di parlare e
di litigare sulle "cose", sulle "quattro mura"
che formano un "recinto" (ma non definiscono una proprietà
o un bene). Se si ripercorressero, invece, le linee del ragionamento,
moderno e lungimirante, seppur avviato un secolo fa’ dai
nostri avi. Se, dunque, si ritornasse a discutere sugli obiettivi,
sugli interessi della città, sul "bene" racchiuso
nelle "quattro mura", sul contenuto e non sul contenitore,
sulla funzione che qualifica una "cosa" e definisce
un "bene". Ebbene, solo allora, si comprenderebbe che
un Teatro come il Mercadante è difficilmente riconducibile
alle rigide categorie del "pubblico" e del "privato".

Si potrebbe affermare di essere
in presenza di un bene privato con funzioni ed interessi pubblici
oppure, con formula perfettamente simmetrica ed altrettanto corretta,
un bene pubblico su cui gravano interessi privati: la sostanza,
però, non cambia. Il problema vero è allora quello
(usando le parole del professor Michele Costantino che segue la
vicenda del Teatro Petruzzelli di Bari) di capire come è
possibile "raccordare interessi privati, collettivi e pubblici
nel risolvere i problemi della ricostruzione e della futura gestione".

Per fare questo è necessario
inventarsi un luogo giuridico e, prima ancora, fisico in cui sia
possibile far incontrare (per superarle, senza annientarle!) soggettività
diverse (pubbliche, private, collettive) che si pongono come obiettivo
quello di restituire il Teatro Mercadante alla sua funzione ed
alla città. (enzo colonna)