Tale linguaggio io non intendo

Ecco, giri l’angolo di casa, lasci per un po’ di tempo cose persone luoghi di sempre e ti capita di leggere una notizia di questo tipo:

SI È RIUNITA QUESTA MATTINA LA NUOVA GIUNTA
Da Notizie-Online.it Altamura / Puglia / Politica / 25-03-2002 (12:46:41)

Si è riunita questa mattina al Palazzo di città  la nuova giunta comunale. Il sindaco Rachele Popolizio su questo punto, infatti, era stata categorica per la contingenza di alcuni provvedimenti in scadenza. Non tutti i partiti comunque erano pronti per le designazioni. Così il sindaco ha varato una formazione di assoluta emergenza ed anche curiosa nella sua composizione. Tre gli assessori designati dai partiti: Cardano (Udeur), Gianfranco Loiudice (Prc), Antonio De Lucia (Sdi; subentra a Striccoli che ha rinunciato). Ds e Margherita non hanno ancora i loro nomi. Li decidono nei prossimi giorni. Così il sindaco ha tirato fuori dal cilindro una soluzione molto particolare, nominando per il brevissimo periodo l’on. Donato Piglionica (l’unico assente questa mattina), il consigliere provinciale Francesco Cornacchia e, addirittura, due mamme della scuola San Giovanni Bosco (Rossella Squicciarini e Maria Simone). Perché? Perché la S. G. Bosco era all’ordine del giorno per l’appalto dei lavori di ristrutturazione del tetto. Presi anche altri due provvedimenti: buoni libro ed un progetto per la devianza minorile.

Parlano della tua città , della tua amministrazione comunale, della nuova giunta che tu – consigliere comunale di maggioranza – andrai, al rientro, a sostenere.

Sei preso dai dubbi: fanno sul serio (è la settimana santa, d’altronde!) o si tratta di un tardivo rigurgito carnascialesco? È un episodio avvincente, chiaramente stilizzato nelle sue forme ed espressioni, della serie “la fantasia al potere”? o piuttosto è una prova convincente e tangibile della fantasmagoria del potere? È un calvario (a cui tutti sono sottoposti, ma a cui più di tutti è sottoposto chi, come me, è parte di questa compagine amministrativa nei ranghi del consiglio) che si concluderà  con la crocifissione definitiva di un’intera classe politica ed amministrativa, o c’è da sperare ancora nella sua resurrezione?

A duemila e passa chilometri, ti poni domande del genere: è la distanza a deformare i contorni e le proporzioni di tali eventi, deturpandoli nel loro rigore stilistico, nella loro serietà  e mestizia di contenuti, compendiandoli in sillogi di rara forza caricaturale? Oppure, al contrario, la distanza consente di cogliere meglio negli eventi stessi, nella loro Naività¤t, i tratti tipici di una produzione tutta locale, autoctona, meritevole come tale di attenzione, protezione e riconoscimento a livello comunitario (un po’ come il pane dop!, 0, 0); di percepire, più distintamente rispetto a chi è sul posto, il loro modo di presentarsi secondo l’iconografia tragicomica delle commedie plautine e di svolgersi assecondando un canovaccio da Pastiche tardobarocco?

Ti dici: hai perso la scena-madre, l’acuto, la volata finale di Cipollini, il rigore (fallito) di Baggio ai mondiali… sul più ”˜bello’ ti sei allontanato dai luoghi della rappresentazione e, perdippiù, ben hai motivo per rallegrartene! Meglio intristirsi da soli – ti rincuori – che cogliere tristezza e sconcerto nei volti interroganti di chi ti/ci ha sostenuto in campagna elettorale; meglio fare ironia da sé, che subire il sarcasmo (scontato, quasi giustificato) degli avversari politici.

Meglio qui, ripeti a te stesso, quasi a sperare che le tue ultime parole in consiglio comunale non ti si rivolgano contro inferocite chiedendoti di essere ricacciate nella gola, lungo le corde vocali, sino a raggiungere il cuore e la mente da cui erano state partorite, distanti, come sono ora, nel tempo e nello spazio oltre che dalla realtà  di questi giorni… Avevi detto, durante la discussione sulla questione “legge 34”? e parafrasando il titolo di un libro, che per questa amministrazione era arrivato il momento di tentare il volo, di “staccare l’ombra da terra”?, che era arrivato il suo Kairà³s, quel momento cruciale che, ritenevano gli antichi greci, si presenta nella vita di ogni essere umano e, da come viene affrontato e vissuto, consente di capire se un uomo è un giusto o un empio, un buono o un cattivo… Avevi parlato di svolta… ma forse non tutti avevano capito dove bisognasse svoltare!

Una parola a te, Sindaco. Immagino: le difficoltà  e le divisioni tra e nei partiti, l’attesa dei nomi degli assessori, le urgenze, i problemi… d’accordo, tutto comprensibilissimo, anzi comprendo te e le tue difficoltà . Ma – come dice quello – consentimi: se era necessaria (come è ovvio per una città  che non può restare senza governo più di un solo giorno) una giunta, tecnica si dice in questi casi, cosa ti ha impedito di nominare una vera giunta, tecnica quanto si voglia, ma vera, concreta, realmente chiamata ad affrontare le vicende (quotidiane e no) dell’amministrazione e non solo il problema della riparazione di un tetto di una scuola. Una giunta con una sua identità  e stabilità , che non significa durare in eterno, ma dare un segnale chiaro e forte ai partiti della coalizione: fate con calma, determinatevi secondo i tempi e le riflessioni che sono necessari in tutte le organizzazioni politiche, intanto – però – Altamura ha il suo governo, forte ed autorevole, non precariamente condizionato ancora alla definizione di vicende tutte interne alla coalizione e soprattutto destinato a diventare il parametro della qualità  umana, politica ed amministrativa a cui i partiti si sarebbero dovuti attenere nella scelta dei propri (futuri ed eventuali) rappresentanti in giunta.

Hai avuto, Sindaco, l’occasione per mettere in campo la tua determinazione e di disporre al meglio, in questa fase di oggettiva difficoltà  della coalizione, di un ampio margine di libertà  e di scelta. L’hai mancata! Riconosco nella scelta delle due mamme-assessori (a cui sono vicino e faccio i miei auguri) una buona dose di originalità , di talento comunicativo; è una bella immagine, ma è come aver barattato la possibilità  di uno slalom avvincente e vincente come quello del primo goal all’Inghilterra di Maradona (Mondiali del Messico, credo) a favore di un gesto concreto ed istrionico come il colpo di mano che procurò il secondo goal all’Argentina. Certo efficace, divertente, ma null’altro?

Nella giunta (tecnica e provvisoria, la si presenta) sono state chiamate persone per puro spirito di servizio (l’onorevole Piglionica, inopinatamente chiamato a sostenere questa causa, ed il consigliere provinciale Franco Cornacchia) o perché con figli a carico (le due mamme, 0, 0); sono stati confermati due assessori di nomina politica (Cardano e Loiudice) ed è stato designato uno nuovo anch’esso di designazione politica (Delucia).

Ma cos’è? Chi controlla e può fermare la porta girevole di questo albergo? Stiamo sperimentando una nuova formula politico-amministrativa? Cosa facciamo ad Altamura in tempi di precariato e flessibilità  del lavoro, ci inventiamo la figura degli assessori part-time o, meglio, degli assessori time-sharing (per intenderci, il meccanismo giuridico-organizzativo delle multiproprietà : una settimana a te, due a me!!)?

Meglio qui, a duemila e passa chilometri, confessi a te stesso un po’ pavidamente: ti illudi che la distanza fisica possa segnare anche una distanza politica, culturale e logica da queste iniziative e dalle responsabilità , quasi che queste non ti appartenessero. Ma così non è e non può essere, quando si è condiviso un’esperienza politica ed elettorale come quella del maggio 2001.

Da straniero in terra straniera, ti è consentito però di dire: “Tale linguaggio io non intendo”.

Amburgo, lì 26 marzo 2002

ENZO COLONNA

Libertà  di licenziare, arroganza del potere e dissenso popolare

Michele Di Schiena

Nel maggio del 2000 la volontà  popolare si espresse nettamente contro l’
abbattimento dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori respingendo il
relativo referendum. Allora l’on. Berlusconi, per evitare problemi sul
cammino verso Palazzo Chigi, si armò di strumentale prudenza ma non mancò di
dare assicurazione alla Confindustria che da Presidente del Consiglio
avrebbe bruciato quella norma dentro l’attuazione di un piano di interventi
rivolti a liberare il lavoro da vincoli e tutele. E così oggi il Cavaliere,
ritenendo di poter padroneggiare a piacimento gli orientamenti della gente,
mette mano al suo progetto partendo dal disegno di legge collegato alla
Finanziaria 2002 contenente la “Delega al Governo in materia di mercato del
lavoro”.
Il delirio di potenza può fare però brutti scherzi ed ha portato il premier
a sottovalutare la capacità  di reazione di milioni di lavoratori che sta
trovando espressione democratica nella dura opposizione delle forze
politiche e sociali più avanzate, nella mobilitazione dei nuovi movimenti e
soprattutto, come momenti di lotta significativi ed unificanti, nella
manifestazione nazionale di protesta del 23 marzo e nello sciopero generale.
Una protesta che vuole contrapporre alle orchestrazioni propagandistiche del
Governo l’eloquenza dei fatti e la forza persuasiva degli argomenti. E lo
vuole fare partendo dall’analisi dell’art. 10 della Delega il quale, sotto
il titolo mistificante di “misure temporanee e sperimentali a sostegno dell’
occupazione regolare nonché incentivi per le assunzioni a tempo
indeterminato” mette in cantiere una riforma che prevede la sospensione dell
‘art. 18 per quattro anni, “fatta salva – dice il testo – la possibilità  di
proroghe in relazione agli effetti registrati”, nei casi di emersione dal
lavoro nero, di aziende che assumendo superino la soglia dei 15 dipendenti e
di passaggio dal contratto a termine a quello a tempo indeterminato. Una
sospensione dunque di lunga durata che, in forza delle progettate proroghe,
sarebbe destinata a protrarsi indefinitivamente provocando un totale
svuotamento dell’art. 18 anche a prescindere dalla sua formale abrogazione.
A dispetto di tutte le cortine fumogene, non può invero sfuggire la forza
espansiva della riforma che, mentre conserva ad esaurimento la tutela della
reintegra per i lavoratori in servizio, elimina tale garanzia per le nuove
assunzioni: quelle di emersione dal lavoro nero che lasceranno comunque i
lavoratori in una situazione di precarietà , quelle comportanti il
superamento della soglia di 15 dipendenti senza effetti sulla stabilità  dell
‘occupazione e, a ben guardare, tutte le altre che nasceranno di certo a
tempo determinato, come effetto della sostanziale liberalizzazione del
relativo contratto introdotta dal D.L. n° 368 del 06.09.01, per essere poi
trasformate in rapporti privi di scadenza ma nel contempo sottratti alla
disciplina dell’art. 18. E sì, perché, a riforma attuata, non vi sarà  un
solo datore di lavoro tanto ingenuo da assumere lavoratori a tempo
indefinito senza farli prima passare attraverso una fase di contratto a
termine. Infatti è proprio questo caso, quello appunto del vantaggio-truffa
costituito dal passaggio dal contratto a termine a quello a tempo
indeterminato, che consuma in danno dei lavoratori l’inganno maggiore perché
apre una vera e propria autostrada alla libertà  di licenziamento con lo
specchietto per le allodole di un contratto nominalmente stabile che
nasconde in realtà  un rapporto più precario di quello precedente.
Diamo allora uno sguardo agli argomenti utilizzati dal Governo e dalla
Confindustria a sostegno della riforma per disvelarne l’infondatezza. Dicono
Berlusconi e D’Amato di non comprendere tanta determinazione nella difesa
dell’articolo 18 assumendo che esso trova applicazione solo in un numero
limitato di casi ma trascurano di considerare la funzione di deterrenza dell
‘istituto della reintegra e, contraddicendosi, ne confermano il valore
civile e l’importanza pratica quando portano avanti con pervicacia la
riforma anche a costo di laceranti conflitti sociali. Affermano poi che la
flessibilità  in uscita favorirebbe l’assunzione dei giovani disoccupati
fingendo di ignorare che i più accreditati economisti escludono un rapporto
di causa-effetto tra tale flessibilità  e l’incremento della occupazione,
come peraltro emerge dal fatto che con l’attuale normativa il fenomeno della
disoccupazione è praticamente assente in vaste zone del Paese.
Ed ancora, sostengono che, in caso di licenziamento illegittimo, verrebbe
previsto un adeguato risarcimento ma non dicono che si tratterebbe pur
sempre di un enorme arretramento perché la disciplina in vigore già  prevede,
oltre alla riammissione in servizio, la corresponsione di tutte le
retribuzioni dal momento dell’illegittimo licenziamento fino a quello della
effettiva reintegra e, soprattutto, non considerano che il rapporto di
lavoro, avendo ad oggetto una prestazione non assimilabile alle merci, si
pone su un piano diverso da quello degli rapporti contrattuali per i quali,
in caso di ingiustificata risoluzione, è prevista solo la sanzione del
risarcimento del danno. Asseriscono inoltre che l’art. 18 sarebbe un vincolo
incompatibile con le esigenze di ristrutturazione delle imprese ma omettono
di precisare che l’attuale normativa prevede la legittimità  del
licenziamento non solo in presenza di una giusta causa e di un notevole
inadempimento del lavoratore ma anche nel caso del cosiddetto “giustificato
motivo oggettivo”, quello cioè determinato da ragioni inerenti all’attività 
produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento.
Assumono infine che nelle altre legislazioni europee non sarebbe rinvenibile
una norma analoga a quella dell’art. 18 senza dire che la Carta europea dei
diritti fondamentali stabilisce all’art. 30 che ogni lavoratore ha diritto
alla tutela (ovviamente piena ed effettiva) contro ogni licenziamento
ingiustificato e che il nostro Paese ha in materia di lavoro dipendente una
storia dolorosamente segnata da sfruttamenti e discriminazioni.
Ma c’è di più e cioè che la progettata riforma dell’articolo 18 si collega
funzionalmente ad un’altra, quella della delega in materia di arbitrato
nelle controversie individuali di lavoro, che punta ad una forte riduzione
del controllo di legalità  da parte del giudice. Il fatto è che la delega per
la riforma dell’art. 18 si inquadra nel piano disegnato dal Libro bianco
pubblicato dal Ministero del Welfare dello scorso ottobre: un piano che va
ben oltre la riforma della disciplina del licenziamento e dell’arbitrato
perché si propone, attraverso una gradualità  di interventi, di operare un
vero e proprio stravolgimento dell’intero impianto dell’ordinamento del
lavoro con l’eliminazione del sistema di garanzie previste a tutela dei
lavoratori e col ritorno ad una concezione servile del lavoro. Un progetto
in aperto contrasto con la Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro
ed impegna le istituzioni a rendere effettivo il diritto al lavoro ed a
tutelare l’attività  lavorativa in tutte le sue forme ed applicazioni in
attuazione della grande scelta democratica volta a rimuovere gli ostacoli
che impediscono di fatto l’eguaglianza dei cittadini e l’effettiva
partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese. L’art. 18 è uno scudo contro le più gravi ingiustizie in
danno dei lavoratori e perciò va esteso anche alle aziende con meno di 15
dipendenti. Esso fa onore alla legislazione sociale del nostro Paese ed ha
una grande importanza simbolica: la sua intransigente difesa assume pertanto
un valore strategico di enorme portata.

SI È RIUNITA LA NUOVA GIUNTA

SI È RIUNITA QUESTA MATTINA LA NUOVA GIUNTA

Da Notizie-Online.it
Altamura / Puglia / Politica / 25-03-2002 (12:46:41)

Si è riunita questa mattina al Palazzo di città  la nuova giunta comunale. Il sindaco Rachele Popolizio su questo punto, infatti, era stata categorica per la contingenza di alcuni provvedimenti in scadenza. Non tutti i partiti comunque erano pronti per le designazioni. Così il sindaco ha varato una formazione di assoluta emergenza ed anche curiosa nella sua composizione. Tre gli assessori designati dai partiti: Cardano (Udeur), Gianfranco Loiudice (Prc), Antonio De Lucia (Sdi; subentra a Striccoli che ha rinunciato). Ds e Margherita non hanno ancora i loro nomi. Li decidono nei prossimi giorni. Così il sindaco ha tirato fuori dal cilindro una soluzione molto particolare, nominando per il brevissimo periodo l’on. Donato Piglionica (l’unico assente questa mattina), il consigliere provinciale Francesco Cornacchia e, addirittura, due mamme della scuola San Giovanni Bosco (Rossella Squicciarini e Maria Simone). Perché? Perché la S. G. Bosco era all’ordine del giorno per l’appalto dei lavori di ristrutturazione del tetto. Presi anche altri due provvedimenti: buoni libro ed un progetto per la devianza minorile.

Comunicato stampa Comitato Pro Murgia Santeramo

Il Comitato per la Tutela della Murgia di Santeramo ha presentato in data 29/04/2000 un ricorso al T.A.R. contro la Regione Puglia e il Comune di Santeramo in Colle in seguito alla sconvolgente approvazione di un accordo di programma per la costruzione di un campo da golf e di un centro residenziale in località  Parata-Morsara, dichiarata Zona a Protezione Speciale in ambito comunitario. La risposta ad un attacco durissimo all’unicità  e alla bellezza del nostro patrimonio storico-ambientale e alla riconoscibilità  e alle prospettive del costituendo Parco dell’Alta Murgia. Il nostro territorio continua ad essere Distrutto, ma è sempre più forte la sensibilità  dei cittadini rispetto ai temi ambientali. Il Comitato ha raccolto più di 1500 firme a sostegno dell’iniziativa. Dopo due anni, il 28 marzo 2002 il T.A.R. emetterà  la propria sentenza. Il Ministro dell’Ambiente sostiene le ragioni del Comitato, unitamente ad altri enti quali il Comune di Cassano, costituitosi parte civile nel procedimento.

In attesa della sentenza, il Comitato ha indetto una conferenza-dibattito sul tema, per il giorno 26 marzo alle ore 19:00 presso la Sala Cenacolo dell’Ex Convento dei Padri Riformati di Santeramo. Interverranno l’Avv. Luigi Paccione, responsabile del procedimento; il Dott. Antonio Sigismondi, Agronomo, esperto naturalista; il Dott. Piero Castoro del Centro Studi Torre di Nebbia e l’Avv. Giuseppe Gentile, sindaco di Cassano.

TORNANO I CONTI NELLA MAGGIORANZA. LA GIUNTA SARÁ A 7 ASSESSORI

Altamura / Puglia / Politica / 21-03-2002 (2:19:41)

Sofferta ma finalmente concludente la riunione della maggioranza di centrosinistra di ieri sera nella sede del Ppi. Il counter della verifica si è fermato a 7. Sarà  infatti di 7 assessori la nuova giunta, allargata all’ingresso del Ppi (ora Margherita, insieme ai Democratici). Ha dovuto accettare le decisioni dei partner la Margherita che aveva chiesto tre poltrone (ma ne spettano due in base agli accordi). E’ passata invece la linea dei Ds, promotori della giunta a 7 in cui la Quercia, peraltro, rinuncia al terzo assessorato (vedi anche la notizia del 18 marzo) pur di non appesantire le casse comunali in un momento delicato come quello attuale in cui si andrà  a chiedere ai cittadini di Altamura un maggiore sforzo fiscale, perché saranno aumentate sia la tassa sui rifiuti che l’Ici, imposta comunale sugli immobili.

La verifica è stata di fatto chiusa ieri in un incontro di maggioranza, concluso oltre la mezzanotte, al quale hanno partecipato sindaco, segretari, capigruppo e i due consiglieri regionali. A lasciare per ultimi la sede del Ppi sono stati proprio i padroni di casa popolari ed il sindaco Rachele Popolizio (chissà  se avranno messo una pezza ai disguidi insorti dall’inizio del mandato…).

La crisi è stata evitata. Il centrosinistra esce dallo stallo ed ora accelera. Domani il programma, con le linee e gli indirizzi amministrativi su varie questioni (tra le altre, a quanto pare, anche l’appalto per la pubblica illuminazione a cui ieri alcuni partiti hanno chiesto la revoca), sarà  concluso e pronto per la sottoscrizione di tutti gli alleati. Inoltre, per sabato il sindaco vuole i nominativi. C’è un provvedimento in scadenza per un finanziamento.

Ed ora, chiusa la verifica, tornano sulla scena i nomi dei papabili assessori.

Seguono ulteriori dettagli

Onofrio Bruno

Una ragione di pià¹

C’è qualcosa di nuovo, nella vile uccisione del professore Marco Biagi. Il copione è sempre lo stesso, anche se ogni volta ci coglie di sorpresa e ci fa inorridire. E questa volta è addirittura una calcografia del delitto D’Antona, se si può usare questo termine per un evento sanguinoso. Ma c’è qualcosa di più, che non è un dettaglio ma un mistero che bisognerebbe capire.

Si legge su tutti i giornali che si è trattato di una “morte annunciata”. Non è il titolo di un romanzo sudamericano. Significa che questo agguato mortale era stato autorevolmente previsto cinque giorni prima, non in una palla di vetro ma negli uffici ministeriali e dai servizi di sicurezza. E non in termini generici ma specifici, con l’identificazione della vittima designata.

La dietrologia è un brutto esercizio e neppure voglio chiedere, da comune cittadino, perché le autorità  di governo non abbiano provveduto, in quei cinque giorni, a tutelare la vita della persona in pericolo. Dovrebbero bastare una telefonata e due ore di tempo per ripristinare una scorta. Ma il vero interrogativo è: com’è possibile che le autorità  e i servizi competenti conoscano tutto di un imminente delitto e ignorino tutto, prima e dopo, dei suoi autori? Così come ignorano tutto, a tre anni di distanza, dei killer del professor D’Antona che sono presumibilmente gli stessi?

Non voglio arrivare alla conclusione che le autorità  e i servizi preposti alla sicurezza pubblica siano degli incapaci oltre misura, anche se il sospetto è lecito. E tanto meno che siano in qualche modo conniventi, magari per omissione, anche se in molte occasioni del passato questo sospetto si è dimostrato fondato. Dico che c’è del marcio in danimarca e che nasconderlo con grida manzoniane contro un terrorismo senza volto è una disonestà  troppo facile.

Certo basta un singolo delitto come questo, che non è una bomba di carta, per resuscitare allarme nell’animo di tutti. E’ una provocazione sanguinosa che raggiunge un massimo effetto con un minimo sforzo. Ma quale che sia la sua matrice e quali che siano gli esecutori (sicari, estremisti, sigle occasionali, manovalanza malavitosa) non basta per evocare gli anni di piombo per sempre sepolti. E l’oscurità  che avvolge questa e altre vicende non ci impedisce di vedere chiaramente che il bersaglio politico siamo noi, è il sindacato, sono i movimenti di lotta, è tutta la sinistra italiana.

Non è una difficoltà  in più ma una ragione di più per alzare il livello della mobilitazione contro le politiche dissennate della destra di governo. La manifestazione romana di sabato sarà  contro il terrorismo, anzi i terrorismi, ogni terrorismo, in quanto e perché sarà  per la democrazia e per il primato del lavoro: umiliando il quale i fondamenti stessi della repubblica e della convivenza civile vengono meno. Sarà  un solare primo maggio anticipato, così come il raduno milanese di otto anni or sono fu un eccellente venticinque aprile sotto il diluvio. Poi lo sciopero generale ci ricorderà  che a far girare il mondo non è la prepotenza dei potenti ma la fatica materiale e immateriale delle persone in carne e ossa.

Il dovere di dimettersi

Una verità  concreta, fra i tanti deliri di una campagna elettorale permanente. Nessuno in Italia aveva più bisogno e diritto a una scorta dell’uomo ucciso l’altra sera a Bologna. Nessun assassinio è stato altrettanto annunciato. Marco Biagi era il nome e il cognome mancanti al perfetto identikit del “prossimo obiettivo del terrorismo”, disegnato dai servizi segreti e pubblicato pochi giorni fa da Panorama.

“Personalità  impegnate nelle riforme economico-sociali e del mercato del lavoro e, segnatamente, quelle con ruoli chiave in veste di tecnici e consulenti”. Le conclusioni, rilette, suonano agghiaccianti: “In cima alla lista dei potenziali obiettivi delle Br ci sono il ministro Maroni e i suoi collaboratori più stretti che lavorano nell’ombra”.

Marco Biagi aveva letto quell’articolo con la notizia della propria morte. Si era riconosciuto, aveva confessato le sue paure alla famiglia, agli amici. Al ministro Maroni, due giorni prima di essere ucciso, aveva detto: “Non vorrei che foste costretti a intitolarmi una sala, come a Massimo D’Antona…[bb]. Ma la scorta non era arrivata. I suoi assassini, indisturbati dallo Stato, avevano ripreso a braccarlo. E’ una storia che parte da lontano, dall’omicidio D’Antona, e prosegue nel 2000.

Dopo la firma del patto del lavoro di Milano. Marco Biagi figura come obiettivo in un volantino delle Br. Gli danno una scorta che gli viene tolta lo scorso novembre. I killer, bene informati, tornano all’attacco: “Adesso che ti hanno tolto gli angeli…”. gli dicono al telefono. Lui ne parla con l’ex ministro Treu, suo amico, chiede aiuto al ministro Maroni, il quale gira la richiesta al collega Scajola. Ma la lettera, dicono al ministero degli Interni, non arriva.

Strano, Maroni dovrebbe conoscere bene l’indirizzo. Di colpo, lo Stato e il governo spariscono intorno a quest’uomo, “leale servitore delle istituzioni”, come dicono oggi le autorità . Come, tanto tempo fa, intorno all”eroe borghese Ambrosoli. All”appuntamento con un omicidio annunciato Marco Biagi arriva da solo, in bicicletta, con due borse.

In un paese normale a questo punto il ministro degli Interni si dimette a furor di popolo. Ma il ministro Scajola non ha alcuna intenzione di dimettersi. Anzi, si lancia fra i primi nel gioco delle speculazioni, nella caccia alle streghe, nelle dietrologie sui presunti mandanti morali e responsabili politici. Quanto alle sue concrete responsabilità  di ministro, Scajola se la cava con una frase di un cinismo nuovo perfino per la politica italiana: “Non è con le scorte che si combatte il terrorismo”. Certo, si sarebbe la vita di un uomo, di quell’uomo ucciso sulla strada di casa.

Ma che può contare una vittima nei grandi orizzonti della strategia politica? Provi però il ministro a spiegarlo alla vedova. Non bastasse, il ministro inaugura il solito scaricabarile sui sottoposti, nella circostanza prefetti e questori. Colpevoli di che cosa, signor ministro? Di aver obbedito alle sue circolari sul taglio delle scorte. In cambio, fra l’altro, di “incentivi economici”. Nella perfetta logica dello Stato azienda: più tagli, più ti premio.

E’ lo spettacolo più indecente di queste ore, fra i tanti offerti da una classe politica che ci fa rimpiangere la fermezza, la civiltà  e l’alto senso dello Stato con cui i partiti usciti dalla Resistenza seppero affrontare e vincere il tremendo assalto degli anni Settanta, portato da migliaia di brigatisti e non dalla piccola banda di disperati (e impuniti) di oggi. Ed è tanto indecente da scandalizzare perfino questa maggioranza. La partita è stata aperta nel consiglio dei ministri, con la richiesta di dimissioni di Scajola e dei vertici dei servizi, il cui compito è proteggere la vita dei cittadini e non fornire lugubri “scoop” ai giornali. Che si risolva o meno in un regolamento di conti interno al governo, non importa.

Importa che la vita di un uomo minacciato da tempo si poteva salvare e chi sapeva e poteva non si è mosso. Altre vite di servitori dello Stato, tecnici, consulenti e magistrati, come il caso clamoroso di Ilda Boccassini, sono in pericolo, qui e oggi, e non vorremmo che domani venissero intitolate altre sale. Si deve provvedere subito, per oggi e per domani: e per ieri chi ha responsabilità , se la assuma.

Anche in questo caso, se vogliamo uscire dai deliri e tornare alla realtà , non sono state le parole ad armare gli assassini. Sono stati gli atti, compiuti o mancati.

(21 marzo 2002)

La risposta dei No Global al volantino BR

L’ e-mail di rivendicazione delle Brigate Rosse è arrivata anche all’indirizzo di posta del movimento dei new global napoletano. Il loro portavoce, Francesco Caruso, non ha letto il voluminoso contenuto. Ha risposto direttamente. Ha risposto così: «Non leggerò mai i vostri deliri e le vostre elucubrazioni mentali. Per questo vi rispedisco indietro il documento, senza averlo neppure aperto». Di più: «Non perderei mai il tempo -continua Caruso – per cercare di comprendere le vostre paranoie e se credete di costringermi o attirare l’attenzione in quanto le avete impregnate di sangue, vi sbagliate di grosso. L’effetto è esattamente il contrario: mi viene lo schifo, un senso di nausea solo se penso che voi avete ucciso un uomo per fare in modo che io e tanti altri leggessimo le vostre allucinazioni». Perchè, continua ancora il portavoce dei No global, «solo le allucinazioni vi possono portare a rincorrere la morte, solo una visione distorta, paranoica e psicopatica della realtà  vi può consegnare l’assurdo diritto di annientare una vita umana. Io non so se siete convinti o pagati: so solo che voi uccidete insieme a un uomo, uccidete indirettamente anche gli sforzi, le speranze e le utopie di una generazione in lotta per un futuro migliore, per un altro mondo possibile». «Se il vostro obiettivo è anche levarci dai piedi – conclude Caruso – o perchè troppo antagonisti o perchè poco antagonisti, in ogni caso non ci riuscirete: continueremo con forza, con passione e con gioia a mobilitarci, a lottare per un altro mondo possibile, un mondo dove non ci sia spazio per i carri armati israeliani nè per i bombardieri americani … e nemmeno per le vostre pistole».

Diario di una giornata di delirii

Giovedì
21 marzo 2002
I
fatti del giorno

– 

Come tutte le rivendicazioni
delle Brigate rosse quella
pubblicata oggi su Internet
dal sito Caserta24ore,
e giudicata attendibile dagli inquirenti, è di una noia mortale.
La prosa è al solito farraginosa, infarcita di subordinate e prolissa,
pachidermica, priva di qualsiasi raffinatezza di analisi. Verrebbe da
definirla bulgara e ottusa. Leggendola non puoi fare a meno di immaginare
le sinapsi di chi l’ha redatta e ne senti quasi il rumore, meccanico,
industriale, ottocentesco. Da questo punto di vista, niente di nuovo quindi.
Eccone alcuni brani:
"Con
questa azione combattente le Brigate Rosse attaccano la progettualità 
politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana
per la quale l’accentramento dei poteri nell’Esecutivo, il neocorporativismo,
l’alternanza tra coalizioni di governo incentrate sugli interessi della
borghesia imperialista e il “federalismo” costituiscono le condizioni
per governare la crisi e il conflitto di classe in questa fase storica
segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista. (…)
Compito di una forza rivoluzionaria come le Brigate Rosse è attaccare
questa progettualità  e così incidere nello scontro politico tra le classi,
in funzione di una linea di combattimento che in questa fase della guerra
di classe deve riferirsi a obiettivi rivolti a produrre disarticolazione
politica dello Stato e in cui si sostanzia l’agire da partito per costruire
il Partito. Con questo attacco le Brigate Rosse operano per spostare in
avanti lo scontro tra le classi e collocano su un punto di forza la posizione
degli interessi politici autonomi del proletariato, facendo così avanzare
la linea politica sulla quale indirizzare lo scontro prolungato con lo
Stato e l’imperialismo, che propongono alle avanguardie e al proletariato
rivoluzionario e a tutta la classe. (…) L’azione riformatrice di Marco
Biagi, esperto giuslavorista e delle relazioni industriali, rappresentante
delle istanze e persino dei sogni della Confindustria, si è espressa nell’Esecutivo
Berlusconi nelle responsabilità  primarie ricoperte nell’elaborazione del
“Libro Bianco”, nell’aver sostenuto le misure di abrogazione dell’articolo
18 dello Statuto dei lavoratori, e nell’essere promotore e conseguentemente
incaricato del compito di guidare l’ apposita commissione governativa,
che ne dovrà  realizzare il definitivo superamento con lo “Statuto dei
lavori” che adeguerebbe la regolazione dei rapporti di lavoro alle nuove
condizioni di mercato, e cioè costituirebbe uno strumento normativo che,
alludendo alla tutela dei nuovi lavoratori precarizzati, in realtà  definisce
le garanzie per i padroni nelle diverse forme di sfruttamento del lavoro
salariato. (…) Non meno degna di nota è la sua responsabilità  nel Patto
di Milano, anticipazione del modello di mercato del lavoro e sociale che
avrebbe voluto oggi generalizzare e con cui si è tentato di ritagliare
il prezzo e le condizioni di impiego della forza-lavoro sulla base nuda
e cruda della ricattibilità  di condizioni sociali di dipendenza particolarmente
svantaggiate, a prescindere e persino in contrasto con le condizioni di
mercato locali della forza-lavoro, con cui veniva dimostrato in modo inequivoco
come gli intenti odierni della borghesia non siano affatto riferibili
alla ideologia liberista che segnò lo sviluppo del capitalismo, non sono
rivolti a lasciare al “libero mercato” il rapporto tra capitale e lavoro,
sciogliendolo da vincoli politici, ma sono tesi a disporne altri a proprio
favore e a garanzia della subordinazione politica del proletariato. (…)
In relazione a questo quadro l’attacco portato dalle Br, nella figura
di Marco Biagi, alla progettualità  politica della borghesia imperialista,
si colloca nella contraddizione dominante tra classe e Stato e sull’asse
programmatico dell’attacco allo Stato e si dialettizza con le istanze
di potere espresse dalla lotta di classe per l’affermazione dei suoi interessi
generali contro quelli della borghesia imperialista, sancendo nella pratica
la necessità  e realizzabilità  di una prospettiva rivoluzionaria politica
e sociale. Il proletariato e la classe operaia in questa fase politica
non sono disposti nello scontro perseguendo autonome finalità  rivoluzionarie,
né sono quindi organizzati in strutture adeguate a praticare e sostenere
la guerra necessaria. Il proletariato si misura con le forzature della
classe dominante, con l’obiettivo di resistervi e con l’aspirazione a
conquistare posizioni sociali e politiche più avanzate e utilizza per
mobilitarsi gli strumenti organizzativi che trova a disposizione, essenzialmente
gli apparati sindacali. Fa i conti quindi con la capacità  che ha lo Stato
di sostenere la sua lotta, e di assumere le decisioni volute pur a fronte
di ampie e determinate mobilitazioni; in questo misura i rapporti di potere
e di forza che ci sono tra sé e lo Stato, tra gli strumenti che usa lo
Stato e quelli che trova a disposizione per sè, misura la mancanza di
potere e la realtà  del potere contro i suoi interessi generali, oggi rivolta
a erodere gli ultimi baluardi di un rapporto politico e di forza ottenuto
in un secolo di dura e sanguinosa lotta e a rimodellare le relazioni sociali
e politiche per consolidare un rapporto di subalternità ".
Bla
bla bla

Sono giorni di fatti indecenti.
E di parole inaccettabili. L’oscar va alla imbecille dichiarazione del
sindacato autoorganizzato dello Slai Cobas
di Pomigliano d’Arco, che dichiara in una nota ufficiale:
“Non verseremo una sola lacrima per i loro morti, perché
loro non versano lacrime per i nostri morti (…). Marco Biagi consulente
del lavoro del Ministro Maroni, come D’Antona, faceva parte di quella
schiera di consulenti del lavoro pronti ad assecondare le aspettative
dei padroni di qualunque colore politico. Padre del libro bianco di Maroni,
quell’insieme di provvedimenti che puntano alla totale distruzione dei
diritti dei lavoratori, dall’articolo 18 alle pensioni, già  consulente
del governo Prodi e dell’ex ministro Bassolino è comunque da ritenersi
tra gli strateghi responsabili delle drammatiche condizioni di lavoro
e di vita dei lavoratori, quelli che contribuiscono a determinare ogni
anno i circa 1500 omicidi bianchi sul lavoro di cui poco si parla, per
cui nessuno versa lacrime e niente si fa per evitarli”.

Ecco s’avanza l’avvocato Carlo
Taormina
che in una nota non mostra dubbi: "Gli
assassini di Biagi si propongono come braccio armato di Cofferati e dei
comunisti”. Cofferati lo querela e Taormina cerca di smentire,
ma non ci riesce proprio: "Cofferati
e i comunisti hanno creato le condizioni perché i terroristi si mettessero
a disposizione”. La nota di Taormina argomentava: ”Gli
italiani vogliono il cambiamento, il governo vuole il cambiamento. La
riforma dell’ art 18 dello statuto dei lavoratori è elemento essenziale
del cambiamento. Biagi era uomo-chiave del cambiamento. Cofferati e i
comunisti sono contro il cambiamento. Biagi è stato assassinato contro
il cambiamento. Gli assassini si propongono come braccio armato di Cofferati
e dei comunisti. Cofferati e i comunisti hanno creato le condizioni perchè
i terroristi si mettessero a disposizione. Gli assassini di Biagi sono
gli stessi che hanno assassinato D’Antona. Gli assassini di D’Antona non
sono stati arrestati dalla magistratura. Chi non ha arrestato gli assassini
di D’Antona ha creato oggettivamente, pur se involontariamente, le condizioni
perchè gli assassini di D’Antona trucidassero Biagi.Chi non ha arrestato
gli assassini di D’Antona è oggettivamente, pur se non involontariamente,
responsabile dell’ azione terroristica ed altrettanto oggettivamente ed
involontariamente allineato a quei Cofferati e a quei comunisti contrari
al cambiamento”. C’è da augurarsi che la signora Biagi non segua le orme
della signora D’Antona, la quale, oggi siede sui banchi della Camera dei
deputati insieme a quei comunisti storicamente padri dei terroristi che
hanno ucciso il marito”
.
Davvero inaccettabili anche
le parole di Massimo D’Alema che seguono,
quasi alla lettera, toni usati da Berlusconi, Castelli e Cossiga. Stamattina
parlando a Montecitorio, D’Alema ha detto: “Eccoli
gli effetti di chi va a parlare in giro di regime, di pericolo della democrazia.
Ecco i risultati dei girotondi, dei salotti buoni dell’intellighenzia.
Gridano al regime e ora hanno fornito un alibi a quei mascalzoni del Polo.
E’ successa la stessa cosa negli anni Settanta. Io il ’77 me lo ricordo
bene. L’effetto della tensione sociale fu quello di condannarci a vent’anni
di opposizione”. Tutti buoni e zitti, state a casa. La democrazia
è, prima di tutto, silenzio e obbedienza.
Il Paese sembra impazzito.
Il segno più chiaro è l’orgia di parole senza senso, di
argomentazioni monche e rozze che si sentono e si leggono. Ieri sera,
l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga,
parlando a Porta a Porta, ha dato vita a uno show manicomiale.
Dopo avere invitato il governo a rinunciare all’articolo 18, avere ricordato
che negli anni Settanta il terrorismo fu sconfitto grazie al Pci e ai
sindacati, ha argomentato in modo non diverso da Massimo D’Alema: la logica
conseguenza delle critiche di illegittimità al governo Berlusconi
è il tirannicidio (concetti espressi parlatro anche dall’ex leader
di Potere operaio, Oreste Scazone). Cossiga ha poi rimpianto Lama e Pecchioli
e ha concluso dando della "signorina" a Piero Fassino.
In questo festival di parole
irresponsabili, brilla per lucidità e misura, l’editoriale
di Sergio Cofferati, oggi in prima
pagina sull’Unità:
"E’ importante però
non sottovalutare quella che si presenta comne una diversità profonda
rispetto agli altri omicidi (D’antona e Tarantelli,
ndr)
: il professor Marco Biagi viene ucciso mentre sta svolgendo
attivamente il suo ruolo di negoziatore in una situazione di dialettica
aspra, caratterizzata da forti tensioni sociali. Dunque, l’obbiettivo
dei suoi assassini non può ssere interpretato soltanto come l’ennesimo
tentativo di produrre lesioni alla democrazia uccidendo persone che lavorano
per consolidare il tessuto sociale e quello delle relazioni. C’è
di più e di peggio in questa circostanza. Per la prima volta il
terrorismo interviene per alterare esplicitamente, insieme alla pratica
democratica, il carattere più intimo delle relazioni tra le parti,
produce dunque una lesione ancora più profonda di quelle precedenti.
E ancora una volta distruggendo una vita umana. Il tentativo è
quello di condizionare un confronto già difficile come mai si era
visto in precedenza. (…) Per questa ragione è indispensabile
che il sindacato riconfermi, come hanno fatto le confederazioni, le sue
valutazioni di merito, anche quelle negative, sulle politiche sociali
indicate dal governo e sostenga con ferma assunzione di responsabilità
la sua posizione con la lotta e con la mobilitazione".
Da segnalare anche le constatazioni
di Umberto Eco, sentito da Repubblica:
"Mi limito ad osservare che è
un assassinio più misterioso di altri. In genere questi fatti sono
tutti avvenuti per impedire un accordo. Voglio dire che di solito, da
Aldo Moro in avanti, hanno ammazzato per evitare un accordo. Questa volta
invece sembra che lo si sia fatto per impedire un disaccordo. Suona strano.
Questo omicidio rimane strano, tanto da chiedersi chi sono gli autori.
Ma la mia rimane un’osservazione".
NEL
WEB

La
rivendicazione BR
(testo integrale)
 

Accordi di programma e dintorni

Il territorio altamurano è tra i piu vasti della provincia e dovrebbe esserci spazio per tutti, per una moderna zona industriale, per un parco rurale per il turismo culturale etc etc. Ciò che manca è una vera concertazione tra le parti interessate . Ovviamente non sono così ingenuo da non vedere l’esistenza di conflitti, forzature e speculazioni, ma la politica ha proprio il compito di negoziare e gestire tali conflittualità  riconoscendo l’importanza degli interessi particolari per l’interesse generale. Per esemplificare: gli interessi di Agnelli, Benetton, Confindustria in certi casi sono gli interessi dell’intero Paese così come gli interessi di 100 imprenditori altamurani coincidono o dovrebbero coincidere con gli interessi dell’intera comunità  a maggior ragione trattandosi di piccole imprese come E. Berlinguer ci insegna.

Si tratta inoltre di un settore con un impatto ambientale minimo se paragonato a settori come il chimico, il conciario etc. Qualcuno potrebbe obiettare che l’industria del salotto si sta sempre più delocalizzando e dunque bisogna investire in altri settori ma si tratta di processi di mercato che non possono esseri indotti assolutamente dall’amministrazione comunale. L’errore che si sta compiendo oggi ad Altamura mi ricorda un altro caso che ho affrontato nella mia tesi di laurea, ovvero il caso di Castelfranco di Sotto in provincia di Pisa dove esisteva fino a qualche anno fa’ uno dei distretti calzaturieri più importanti d’Italia. Parliamo di un settore (il calzaturiero) che vive una situazione di crisi sia strutturale che congiunturale come ci insegnano i casi a noi più vicini di Barletta e Casarano. Ebbene quel po’ di comparto calzaturiero che rimane in Toscana non gravita più a Castelfranco bensì a S.Maria a Monte (PI) e a Fucecchio (FI) proprio a causa di scelte amministrative scellerate che hanno costretto le imprese a cercare fortuna altrove. Dopo le emigrazioni dei ns imprenditori verso Jesce, La Martella etc etc non è giunto il momento di riflettere un attimo sulle conseguenze di determinate scelte per il futuro della ns città  compatibilmente con la tutela del patrimonio naturale, culturale, archeologico così come avviene nelle regioni del Centro-Nord ???

Michele Crapuzzo