METTERE FINE AL CIRCOLO DI MISERIA DEI PALESTINESI


«Bisogna fare una distinzione tra le manifestazioni contro Israele e gli atti di violenza contro gli ebrei. Non tutte le critiche contro il governo di Israele sono indice di antisemitismo. Se gli ebrei della Diaspora hanno il diritto di appoggiare Israele, anche i cittadini musulmani hanno il diritto di appoggiare i palestinesi. La questione centrale è quella della violenza. Nessuna moschea o scuola musulmana è stata (finora) attaccata da bande di ebrei criminali. Ogni Stato democratico è obbligato a proteggere la sua popolazione ebraica, così come è tenuto a proteggere dal razzismo gli immigrati, i musulmani e gli altri».
(Eliahu Salpeter)



Mettere fine al circolo di miseria dei Palestinesi
(di A.B. Yehoshua)

«Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava una risoluzione per la spartizione della terra d’Israele in due stati, lo Stato Palestinese e lo Stato d’Israele, con un territorio equamente diviso. Alla popolazione ebraica, che allora ammontava a 600.000 unità  – contrapposta a circa 1.300.000 palestinesi- venivano assegnati ampie fasce del brullo deserto come terra di riserva per l’assorbimento dei numerosi rifugiati ebrei che attendevano ai cancelli. Mentre ci si aspettava un incremento naturale della popolazione palestinese, lo Stato degli ebrei, secondo la comunità  internazionale che autorizzava la sua fondazione, doveva dedicarsi alla ricerca di una soluzione al problema ebraico, accogliendo ebrei di tutte le nazionalità , in particolare gli scampati all’Olocausto. Così, nonostante le differenze numeriche, la terra veniva quasi equamente divisa tra i due popoli, con più del 70% della terra fertile assegnata ai palestinesi.
Quando i palestinesi fallirono nella loro guerra d`aggressione volta alla cancellazione dello Stato d’Israele, essi si appellarono alle armate arabe affinché invadessero lo Stato ebraico e lo eliminassero. Eppure anche questa mossa si rivelò fallimentare. Gli ebrei difesero eroicamente il loro territorio, respinsero gli invasori e in alcuni punti conquistarono aree che erano state destinate allo Stato Palestinese. (Lo Stato ebraico acquistò complessivamente circa 6.000 kmq del territorio destinato allo Stato Palestinese).
Nel fervore della battaglia, una minoranza ebraica fu espulsa da quei pochi insediamenti sotto occupazione palestinese, così come molti palestinesi furono espulsi dagli insediamenti degli ebrei. Nello stadio finale della battaglia, zone palestinesi furono intenzionalmente distrutte dall’esercito israeliano e, senza alcuna giustificazione militare, i loro abitanti furono espulsi con la forza al di là  della linea d’armistizio tracciata nel 1949, alla fine della guerra.
Quelli che fuggirono e quelli che furono espulsi, sia ebrei che palestines, non possono essere propriamente chiamati rifugiati, ma piuttosto sfollati (nel testo originale: displaced persons, n.d.t.), poiché vi è una differenza sostanziale tra i due termini. Un rifugiato è una persona che è fuggita o che è stata espulsa dalla sua terra patria (nel testo originale: homeland, n.d.t.), una persona dislocata è chi è fuggito o è stato cacciato dalla sua casa ma rimane entro i confini del territorio della sua terra. Gli ebrei che fuggirono o che furono espulsi dagli arabi dalla Città  Vecchia di Gerusalemme, dal Blocco di Etzion, da Atarot, Kfar Darom o Beit Ha’arava, e ricacciati in territorio israeliano non furono mai rifugiati ma solo sfollati ai quali vennero immediatamente assicurate delle nuove abitazioni nella loro terra patria. Tuttavia i palestinesi non chiamarono questa loro gente sradicata con il termine di sfollati. A quelle persone attribuirono invece il termine di rifugiati, anche se la maggior parte di loro rimase in terra palestinese e andò a vivere solo a 20 o 40 km dai propri villaggi. Per esempio, gli arabi di Lod e Ramle si trasferirono nell’area di Ramallah, che si trova a 30 o 40 km dalle loro case.
Ci sono stati anche palestinesi che sono fuggiti o che sono stati espulsi dalla Palestina e sono andati in paesi arabi: Egitto, Siria, Libano e Giordania. Tutti questi rifugiati sarebbero potuti tornare perlomeno nella loro terra patria, divenendo sfollati piuttosto che rifugiati, e lì avrebbero potuto costruire le loro nuove abitazioni.
Questo è l’inizio della tragedia dei palestinesi, la cui diretta responsabilità  morale appartiene a loro stessi e ai paesi arabi. Persino se, dal loro punto di vista, essi avevano una speranza legittima di vedere il giorno in cui sarebbero stati capaci di eliminare lo Stato ebraico e riprendersi tutta la Palestina –o almeno tornare alle loro case come hanno fatto gli sfollati dal Blocco di Etzion e dalla Città  Vecchia- non c’era ancora nulla che impedisse agli sfollati palestinesi di costruirsi case vere. Avrebbero potuto vivere vite normali e rispettabili nella loro terra patria, invece di umilianti e precarie esistenze in miseri campi.
I palestinesi, che hanno elaborato una loro identità  nazionale verso la fine del XIX secolo, ancora oggi confondono il concetto di terra patria con il concetto di casa. Non sono i soli. Ci sono israeliani a destra e a sinistra, ma particolarmente a destra, che cercano di dipingere il ritorno dei palestinesi come ritorno alle loro case, e non come ritorno nella loro terra –poiché ciò farebbe pendere una spada di Damocle sullo Stato d’Israele, come se il ritorno implicasse l’inondazione dello Paese da parte di 3 milioni di palestinesi. Questi israeliani stanno semplicemente perpetuando la confusione.
Quando, all’inizio della seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica conquistò parti della Finlandia in una ingiusta guerra d’aggressione, i sovietici occuparono territori e insediamenti dai quali espulsero i cittadini finlandesi verso ovest, all’interno dello Stato finlandese. Bene, quei finnici non erano rifugiati ma sfollati. Si costruirono immediatamente nuove case nella loro terra, non importa quali “sogni di ritorno” nutrissero.
Naturalmente il sogno del ritorno che i sfollati e rifugiati palestinesi alimentano nei loro cuori non è legato a soluzioni politiche o al fatto che essi abbiano intrapreso una guerra d’aggressione contro gli ebrei. Per molti anni hanno continuato a rifiutare il principio della soluzione della spartizione della terra, e fino alla decisione dell’OLP del 1988, molti non riconoscevano Israele. Nel frattempo, comunque, volevano andare a casa, letteralmente. Di conseguenza, si sono condannati ad una vita di umiliazione e povertà ; un’esistenza priva di diritti fondamentali. Ai rifugiati palestinesi in Siria, Libano ed Egitto non veniva concessa nemmeno la cittadinanza affinché non diminuisse il loro clamore per il ritorno.
Ma non v’è alcun ritorno a casa per i rifugiati e i sfollati del 1948, e non può esservi un simile ritorno. Può esservi solo un ritorno in terra patria, e in alcuni casi ciò può essere realmente possibile. Quando i miei amici palestinesi chiedono il diritto di ritorno io dico loro che riporterei tutti i rifugiati palestinesi nelle loro case in Israele a condizione che essi riportino in vita i 6000 israeliani che sono morti nella aggressione bellica del 1948, quando Israele si stava battendo per la sua stessa esistenza in seguito al piano di spartizione delle Nazioni Unite ed era alla ricerca di una coesistenza pacifica.
Alla continua confusione dei palestinesi tra casa e terra patria, si oppone una nazione che porta in sé una distorsione quasi di segno opposto. In tutta la loro storia gli ebrei non hanno mai cessato di vagare di casa in casa, e di cambiare patria nel modo in cui le persone si cambiano d’abito. Dal tempo della distruzione del primo tempio, quando molti degli esuli babilonesi non tornarono nella loro terra, gli ebrei cominciarono ad adottare un approccio che vede il mondo come una grande catena di alberghi. Invece di fare ritorno alla loro patria, in terra d’Israele, e rimanervi, gli ebrei, per ragioni talora esistenziali, talora economiche, preferirono cercarsi luoghi nuovi e più confortevoli, dove potessero stabilirsi con facilità . Perciò non sorprende che gli ebrei abbiano deriso il concetto che i palestinesi hanno di vera terra patria (ma non quello di casa), che si sentano estranei ad esso e che abbiano proposto loro di stabilirsi in un Paese arabo, come se fosse realmente facile scambiare la terra patria con un qualsiasi altro luogo.
I confini devono essere disegnati per separare gli stati, come si è sempre fatto. Ciò che è definito come lo Stato Palestinese deve essere riconosciuto, quando sarà  il momento, come la terra nella quale, e solamente nella quale, a tutti quelli definiti palestinesi dalla costituzione palestinese sarà  concesso tornare. Gli stati arabi sono responsabili per il perpetuarsi del problema dei rifugiati quanto lo era lo Stato d’Israele quando esercitava la sua sovranità  sul territorio- dalla Guerra dei Sei Giorni fino agli accordi di Oslo-.
Tutti, compresi i palestinesi, devono cominciare a risolvere la questione. Innanzitutto bisogna rivolgere l’attenzione ai problemi dei palestinesi sradicati che vivono entro i confini del futuro stato palestinese. In secondo luogo, bisogna intraprendere la costruzione di una infrastruttura rivolta alla soluzione dei problemi degli attuali rifugiati negli stati arabi.
Questo è un processo molto lungo e costoso che deve essere affrontato con ponderazione. Comunque, si troverà  di certo un forte sostegno, sia in Israele che all’estero, se tutto ciò diverrà  l’obiettivo di uno sforzo mondiale di raccolta di fondi.
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DANNI ALL’AMBIENTE, DEVASTATA LA ZONA DEL PULO DI ALTAMURA

Altamura / Puglia / Cronaca / 10-04-2002 (17:25:50)

Ancora devastazione al Pulo, la dolina carsica di grande pregio naturalistico, storico e archeologico, poco fuori Altamura. Tutta la zona del belvedere è stata assalita dai vandali, o forse sarebbe meglio chiamarli delinquenti. Il muretto di recinzione è stato parzialmente abbattuto con rischi per l’incolumità  degli altamurani e dei turisti che, specie nei giorni festivi, lì si recano per respirare aria pulita e fare escursioni. Il leggio che ne spiegava origine e pregio è sparito. Inoltre il cartello predisposto dalla Provincia di Bari, che indica gli itinerari turistici del territorio, è stato bucherellato da decine di colpi di pistola. “E’ assurdo assistere a questi fenomeni” afferma il consigliere comunale Michele Micunco dei Democratici di sinistra. “Mi sembra solo apparente l’interesse sbandierato in questi anni verso i beni culturali e ambientali, veri e propri musei a cielo aperto, che vanno in primo luogo tutelati e salvaguardati”.
Nei mesi scorsi l’associazione Terra Fertile, la Legambiente e altri gruppi del territorio avevano richiamato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica con una giornata di pulizia straordinaria del Pulo che da sempre viene usato come pattumiera dove scaricare carcasse di automobili, pneumatici e altri rifiuti. Notevole era stata la partecipazione dei cittadini e dei ragazzi ma dopo sono continuati gli scempi.
Un altro episodio di offesa all’ambiente murgiano è stato denunciato dall’assessore comunale all’Ambiente di Andria Ambrogio Lamesta. A Lama Genzana, nel territorio della città  barese sono state abbattute alcune roverelle secolari senza che fosse concessa alcuna autorizzazione. “Di fronte a questo sconcertante episodio è desolante pensare che detto crimine rischia di restare impunito”, afferma Lamesta, “per l’assenza di leggi. Il Parco Nazionale della Murgia è ancora da istituire a 9 anni dalla prima conferenza dei sindaci che ne definì la perimetrazione. La Regione Puglia vuole chiaramente lasciare che le cose continuino così, per consentire uno sviluppo distruttivo e senza regole.
Il mio assessorato sta, quindi, completando un regolamento verde, già  in uso in molti comuni del centro nord sensibili alla salvaguardia dell’ambiente, che prevede apposite norme che disciplinano gli interventi umani su piante e alberi. E’ una proposta unica per una città  del sud ed è stata redatta con la collaborazione a titolo gratuito di esperti della materia, dopo aver studiato le caratteristiche del territorio”. Verranno tutelati i patriarchi verdi, alberi monumentali, un tempo particolarmente diffusi da queste parti, che assolvono alle funzioni di depurazione di aria e acqua, di consolidamento di versanti, di scrigno di biodiversità .

Pasquale Dibenedetto

DURA PRESA DI POSIZIONE DI LEGAMBIENTE. Alta Murgia: territorio di nessuno

Stando alle notizie che ogni giorno vengono diramate dalla stampa, sembra proprio che il Comune di Altamura non voglia proprio far decollare il Parco dell’Alta Murgia e ciò sia per le pressioni dei fautori degli Accordi di Programma sia per quelle di alcune organizzazioni locali degli agricoltori.

“In questo modo si ignorano in modo decisamente irresponsabile gli scempi che sull’intera area del Parco si stanno perpetrando o ipotizzando, come ad esempio gli inutili progetti di campi di golf (grandi consumatori di acqua in una regione che ha sete), i tanti capannoni industriali che come i funghi nascono ogni giorno, le discariche abusive di rifiuti che man mano vengono scoperte, le recenti ipotesi di stoccaggio di scorie radioattive, o ancora i continui spietramenti – ha dichiarato Massimiliano Schiralli, presidente regionale di Legambiente -. Per questo motivo Legambiente, visto l’impegno assunto dalla Provincia di Bari e dagli altri 12 Comuni murgiani, chiede alla Regione e al Ministro dell’Ambiente che non usino l’adesione del Comune di Altamura come alibi per rimandare ancora l’istituzione del Parco nazionale dell’Alta Murgia, non rendendosi così responsabili dei possibili danni ambientali che nel territorio murgiano vanno prefigurandosi giorno dopo giorno”.

La procedura di istituzione del Parco, ai sensi dell’art. 34 della Legge 394, è inequivocabile e vede nel Ministro dell’Ambiente il soggetto che deve provvedere (con o senza il Comune di Altamura) alla delimitazione provvisoria, alle misure di salvaguardia e all’istituzione del Comitato di Gestione.

“A tal proposito, Legambiente non può che essere preoccupata per il futuro del Parco – ha aggiunto Giacinto Giglio, responsabile regionale del settore Territorio di Legambiente – e chiede al Ministro dell’Ambiente di conoscere quale destinazione abbiano avuto i 6,5 miliardi di lire previsti dall’art. 2 della Legge 426/1999 per l’istituzione ed il funzionamento del Parco dell’Alta Murgia. Chiediamo, inoltre che la Regione Puglia convochi immediatamente la conferenza di servizi e si adoperi presso il Ministero dell’Ambiente affinché continui l’iter istitutivo del Parco”.

Dopo aver promosso nel maggio 1999 insieme ad altre associazioni ambientaliste, ai sindacati e alle associazioni agricole un protocollo d’intesa sul Parco, Legambiente lancerà  una campagna contro gli scempi derivanti dai numerosi progetti presentati nelle aree SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e ZPS (Zone di Protezione Speciale) dell’Alta Murgia e questo avverrà  in contemporanea con la manifestazione “Green Days” (13-21 aprile) promossa dalla Commissione Europea (Direzione Generale Ambiente).

In questa occasione Legambiente denuncerà  le inadempienze degli Enti Statali preposti al rispetto delle norme paesaggistiche e del D.P.R. n. 357/1997 sulla conservazione degli habitat e delle specie.

“La nostra Associazione chiede a tutti i sindaci dei Comuni dell’area Parco e, in particolare, al sindaco di Altamura di avviare una immediata discussione, serena e realistica, sulle misure di salvaguardia e sulla perimetrazione provvisoria – ha concluso Angela Lebefaro, segretaria regionale di Legambiente -, affinché nessuna speculazione possa bloccare il parco. L’invito che possiamo fare al sindaco di Altamura è di non indugiare ancora e di farsi parte attiva nella promozione del parco, al fine di consentire alle comunità  locali di beneficiare delle ricadute economiche e turistiche che sicuramente partiranno con l’istituzione dello stesso, a partire dalla valorizzazione e dalla conservazione delle proprie risorse naturali e culturali”.

UFFICIO STAMPA – LEGAMBIENTE PUGLIA

DEPOSITO SCORIE RADIOATTIVE: l-´interrogazione parlamentare dell`on. Piglionica

Legislatura: XIV Ramo: Camera

Tipo Atto: INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE

Numero atto: 5/00797

Data presentazione: 27-03-2002

Seduta di presentazione: 124

Presentatore

PIGLIONICA Donato DEMOCRATICI DI SIN.-L’ULIVO (DS-U)

Cofirmatari

VIGNI Fabrizio DEMOCRATICI DI SIN.-L’ULIVO (DS-U)

Stato Iter

Iter in corso

Destinatari

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE

Testo dell’Atto:

Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle attività  produttive.

Per sapere –

premesso che:

la definitiva rinuncia all’utilizzo dell’energia nucleare da fissione ha posto per il nostro Paese la questione della definitiva messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi insieme a quello dello smantellamento delle centrali;

nel luglio 1998 fu istituito il “Tavolo Nazionale per la gestione degli esiti del nucleare” con la partecipazione di Governo, Regioni, UPI, ANCI, OOSS, ENEL, ANPA ed ENEA;

a marzo 1999 il decreto legislativo 79 di attuazione della direttiva 96/92/CE all’articolo 13 prevedeva che l’Enel costituisse una società  per lo smaltimento delle centrali elettronucleari dismesse, la chiusura del ciclo combustibile e le attività  connesse e conseguenti;

tale società  denominata SoGIN fu costituita nel luglio 1999 e ad essa furono conferite le quattro centrali elettronucleari dismesse e le risorse destinate ai futuri costi della disattivazione e della chiusura del ciclo del combustibile;

il 4 novembre 1999 è stato approvato un accordo di programma per la definizione di misure volte a promuovere la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia, attraverso un percorso

partecipativo volto ad individuare e a selezionare un sito per la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi;

il 16 dicembre presso la conferenza Stato-regioni è stato costituito un gruppo di lavoro con il compito si sottoporre alla conferenza stessa un documento contenente lo stato dell’arte degli studi e delle

ricerche in ordine alla localizzazione e alla realizzazione del deposito, le procedure per la scelta del sito, le soluzioni e gli strumenti volti a promuovere e realizzare le condizioni per l’armonico inserimento del deposito nel contesto territoriale

circostante;

tale gruppo di lavoro avrebbe dovuto concludere le proprie attività  entro luglio 2000 ma essendo risultata l’istruttoria richiesta più complessa ed impegnativa in sede di conferenza Stato-regioni si

decise di prorogare tale incarico fino a marzo 2001;

già  all’inizio degli anni ’90 presso l’allora ENEA-DISP un gruppo di esperti ha svolto una indagine preliminare su siti del demanio militare allo scopo di individuare siti potenzialmente idonei alla

localizzazione del deposito centralizzato nazionale di smaltimento definitivo dei rifiuti a bassa e media attività  e a media-breve vita media;

nella seduta del 23 maggio 2000 in risposta ad una interrogazione del senatore professor Ferdinando Pappalardo il sottosegretario di Stato per l’industria senatore Passigli riferì che l’Enea aveva preso in

considerazione due siti del demanio militare, uno in provincia di Piacenza e uno in provincia di Bari nel territorio della Murgia, precisando però che detti siti non sono stati presi in considerazione in quanto il primo è di estensione troppo limitata mentre nel secondo è in uso un deposito militare;

nel corso del 1996 l’Enea ha costituito una task force per individuare il sito nazionale dei rifiuti radioattivi, attraverso una caratterizzazione del sito o dei siti e una definizione concettuale del sistema ingegneristico;

il 29 aprile del ’99 la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività  illecite ad esso connesse approvò il “Documento su una strategia d’intervento per la disattivazione degli impianti nucleari e per la sistemazione dei rifiuti radioattivi di media e bassa radioattività , inclusi quelli derivanti dallo smantellamento degli impianti nucleari” con tutte le attività  fino a quell’epoca svolte dalla task force;

il 14 dicembre 1999 è stato diffuso il documento di “indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare” redatto dal ministero dell’industria con le caratteristiche richieste del deposito;

la task force operante presso l’Enea nel novembre 2000 ha presentato un primo rapporto di illustrazione del sistema informativo geografico (GIS) per l’individuazione di aree potenzialmente idonee alla

localizzazione del deposito nazionale dei materiali radioattivi. Nell’occasione è stata altresì presentata la carta delle aree potenzialmente idonee con i relativi criteri di inclusione ed esclusione;

dalla carta sopra citata nonché da numerose notizie diffuse da organi di stampa, si evince che la Murgia insieme alla Maremma sia una della aree verso cui con maggiore convinzione si starebbe indirizzando la scelta tecnica di individuazione del sito;

nella recente audizione alla Commissione ambiente della Camera il commissario pro tempore dell’Enea professor Carlo Rubbia ha riferito che il ruolo dell’ente appare al momento essere esaurito e che la competenza alle ulteriori iniziative è in capo alla già  citata SoGIN che deve agire di intesa con il ministero delle attività  produttive e con l’Enea in funzione di eventuale partner scientifico;

l’Alta Murgia fu dapprima individuata come area di reperimento per nuovi parchi nazionali (legge n. 394 del 1991, articolo 34) e poi come parco nazionale (legge n. 426 del 1998, articolo 2 comma 5, 0, 0);

in realtà  tale istituzione risulta essere la presa d’atto di una serie di vincoli già  esistenti sul territorio (regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267; legge 10 maggio 1976 n. 319 e sue modifiche; piano regionale delle acque del consiglio regionale n. 455 del 10 maggio 1984, 0, 0);

l’Alta Murgia è stata individuata come zona di protezione speciale (ZPS) come da direttiva 79/409/CEE con nota del 24 dicembre 1998 del

ministero dell’ambiente SCN/DG/98/20775;

sono attualmente in corso numerose riunioni operative che vedono coinvolti il ministero dell’ambiente, la regione Puglia, la provincia

di Bari, i comuni dell’area interessata, le associazioni di categoria ed ambientaliste, tutti impegnati ad elaborare la normativa provvisoria per il costituendo parco, prodromica alla perimetrazione

da stabilire di concerto tra ministero e regione;

la task force dell’Enea nella sua metodologia selettiva tra i criteri di esclusione adottati aveva inserito le aree protette, le riserve e i parchi naturali-:

Come si intenda procedere nel percorso volto alla definizione delle norme di tutela e alla perimetrazione definitiva del parco nazionale

dell’Alta Murgia;

quali iniziative si intendano intraprendere in collegamento al ministero delle attività  produttive per evitare le interferenze che le due progettualità  inevitabilmente comportano;

se non condividano infine l’ipotesi di stralciare per le motivazioni sopra esposte l’area dell’Alta Murgia dalle aree potenzialmente individuabili quale sede per il deposito unico nazionale di materiali radioattivi.

(5-00797)

LANCIO DI MONETINE IN AULA CONSILIARE

Altamura / Puglia / Società  / 04-04-2002 (18:01:18)

Il mancato consiglio comunale di ieri sera ha deluso anche alcune rappresentanze di agricoltori, imprenditori ed operai che avevano organizzato delle proteste nei confronti dell’amministrazione comunale per le note questioni riguardanti aree industriali e Parco dell’Alta Murgia. Non cenna a placarsi, infatti, il malcontento di alcune categorie produttive, ora supportate anche da un comitato di operai e dipendenti di aziende in procinto di trasferirsi altrove per mancanza di aree ad Altamura.
L’assenza dei gruppi di maggioranza ha provocato una singolare protesta. Decine di cittadini hanno lasciato sui banchi del centrosinistra numerose monetine di centesimi di euro a rappresentare, in forma polemica, una “colletta” per le casse comunali per cui sono anche state aumentate le tariffe e le aliquote dell’Ici sulle seconde case e della tassa sui rifiuti. Il lancio delle monetine è stato accompagnato dagli inviti all’amministrazione a tornare a casa. I più irriducibili hanno anche inscenato per pochi minuti una simbolica occupazione dell’aula consiliare.
Oltre al documento congiunto di tutta la minoranza, il capogruppo del Ccd, Michele Colonna ha anche scritto un altro j’accuse al sindaco in cui ribadisce la necessità  che “si torni al giudizio degli elettori”.
Onofrio Bruno

DEPOSITO SCORIE RADIOATTIVE E PARCO DELL’ALTA MURGIA

DEPOSITO SCORIE RADIOATTIVE, MENO PROBABILE SE CI FOSSE IL PARCO

Altamura / Puglia / Politica / 03-04-2002 (19:52:06)

Il rischio di un deposito di scorie radioattive sull’Alta Murgia sarebbe stato meno concreto se ci fosse stato il Parco? Tutto lo fa pensare, visto che tra i criteri di esclusione l’Enea (Ente Nazionale Energie Alternative) aveva previsto le aree inserite in riserve e parchi naturali.
Il Parco, già  istituito con una legge del 1998, è ancora sulla carta, soprattutto per l’opposizione di alcune categorie produttive (cavatori e una parte degli agricoltori) e il niet storico del Comune di Altamura, che nell’estate scorsa ha infine aderito. Ora occorre fare presto con la perimetrazione, il nodo di fronte al quale si sono fermate le trattative tra Regione, Ministero e Comuni. E in particolare un Comune, quello di Altamura, dilaniato anche da una lunga verifica nella maggioranza segnata da un azzeramento della giunta, aveva chiesto nel corso di una riunione lo scorso 8 marzo una pausa di riflessione, oggetto di velate critiche anche da parte dell’assessore all’Ambiente della Regione Puglia Michele Saccomanno. “Il Parco è in dirittura d’arrivo”, dice quest’ultimo in un’intervista a Notizie on line. “Tutti gli Enti locali sono d’accordo per la sua istituzione e condividono le norme di salvaguardia. Altamura ha bisogno di tempo. Non posso evitare di acquisire questo dato. Una volta giunti a una proposta sulla perimetrazione condivisa da Regione e tutti i Comuni si potranno affrontare le eventuali osservazioni delle categorie produttive”. E’ chiaro che dall’ampiezza della perimetrazione dipende anche l’atteggiamento più o meno ostile di chi si oppone all’istituendo Parco.
Dal canto suo il sindaco di Altamura Rachele Popolizio risponde alle sollecitazioni dell’assessore Saccomanno. “Altamura ha recuperato, con la mia amministrazione, un ritardo di dieci anni aderendo al Parco. Dobbiamo concordare la perimetrazione in consiglio comunale tra tutte le forze politiche e concertarla anche con le categorie produttive. Allorquando si registreranno posizioni non disponibili alla mediazione, il Comune presenterà  una sua proposta”.
Pasquale Dibenedetto

LETTERA APERTA AL CONSIGLIERE ENZO COLONNA

Caro Consigliere,


colgo l’occasione di questa breve pausa pasquale per
rispondere alla tua lettera aperta diffusa via internet.


Ti scrivo per salutarti, seguendoti col pensiero nei tuoi
percorsi di studio e di ricerca che ti portano lontano. Ma anche per aiutarti
a capire.


Dal tenore del tuo scritto devo ritenere che tu non abbia
avuto contezza di quanto è avvenuto dall’ultima riunione di Consiglio
Comunale del 15 febbraio in cui abbiamo chiuso, irreversibilmente, la vicenda
della "Legge 34" con le difficoltà e le lacerazioni che questa
ha comportato per tutti noi.


Né quelle difficoltà dovevano sorprenderci.


Ci sono Sindaci che non hanno retto alla responsabilità
di una decisione nemmeno paragonabile a quella, la storia di Altamura ne è
memore. Ci sono stati Sindaci che hanno preferito lasciare ad un Commissario
la decisione delle sorti urbanistiche della propria città. Altre amministrazioni,
specie giovani come la nostra, non avrebbero retto ad un dibattito così
articolato e sofferto come quello che noi abbiamo affrontato e superato.


Ma torniamo al 15 febbraio. In quella seduta tutti i gruppi
di maggioranza annunciarono l’apertura di una verifica. Per fare il punto
della situazione, per riaffermare le nostre priorità, per verificare,
diciamolo pure, ad una più attenta disamina programmatica, la reale tenuta
della maggioranza ed il convincimento di tutti a proseguire il cammino insieme.


Si convenne, da parte della coalizione, che la verifica
sarebbe stata più rapida ed agevole se gli assessori avessero, per senso
di responsabilità, rimesso le loro deleghe.


La verifica, terminata dopo cinque settimane, si è
tradotta in un documento conclusivo che la coalizione, riprendendo i temi dei
miei indirizzi di governo che avevo già depositato agli atti del Consiglio,
ha sottoscritto formalizzando così un’ intesa programmatica più
stringente su alcune questioni controverse. I partiti hanno trovato, inoltre,
un’intesa sulla composizione numerica della Giunta, la cui eco sarà
arrivata anche a te dalle cronache dei giornali.


Nel frattempo l’Amministrazione è andata avanti
tra le determinazioni dei Dirigenti e gli atti monocratici del Sindaco.


Per l’intera coalizione la soluzione della Giunta Tecnica
da te propugnata è stata considerata delegittimante, e quindi rifiutata
da quasi tutti i partiti, compreso il tuo.


Nella scorsa settimana tuttavia si sono presentate delle
urgenze. La necessità di approvare un progetto sulla devianza minorile
(i cui finanziamenti sarebbero scaduti se l’approvazione non fosse avvenuta
entro il 25 marzo) e quella che tu chiami "storia del tetto".


Non hai seguito, forse, la vicenda della Scuola "Don
Bosco". Si era staccata una pignatta dal tetto della scuola. Occorreva
deliberare l’approvazione del progetto esecutivo e definitivo per appaltare
i lavori di rifacimento. Ho dovuto ordinare la chiusura di metà plesso.
Ci sono duecentocinquanta bambini che fanno il doppio turno, con altrettante
famiglie che si sono mobilitate.


La Giunta Politica non era completa. Così ho provveduto
a nominare due genitori. Anzi due genitrici. Avevo fatto approntare tutti gli
atti, reperire le fonti finanziarie per 600 milioni: abbiamo fatto la giunta
per risolvere in primis quel problema ed assumere altri provvedimenti sulla
cui opportunità tutti hanno convenuto.


Che cos’è che ti ha scandalizzato tanto?


E "la politica che viene dal basso"?


E i nostri discorsi sul coinvolgimento della "società
civile"?


Proprio tu, Consigliere, che sin dall’inizio del tuo
mandato hai inteso dar voce ad organismi non riconosciuti, ad associazioni che
raccolgono istanze di cittadini, di gente comune, quelle stesse istanze che
abbiamo ascoltato a cui, tutti insieme, abbiamo dato risposte.


Il comitato dei genitori di una scuola non è forse
un organismo che si impegna per un diritto alla sicurezza dei propri figli a
cui occorre dare tutela?


Ho utilizzato i poteri che la legge mi riconosce per risolvere
un problema molto avvertito dalla città con efficacia e rapidità.


Oggi la città discute. Ma nella bacheca c’è
il bando di gara già pubblicato e i lavori inizieranno prima della chiusura
della Scuola.


Nel pieno rispetto e nella massima considerazione delle
tue ragioni, spero di averti chiarito le mie.


Cordialmente.



Altamura, 2 aprile 2002



Rachele Popolizio


Sindaco di Altamura

DEPOSITO SCORIE RADIOATTIVE, SEMPRE PIà™ VICINO ALL’ALTA MURGIA

Altamura / Puglia / Politica / 02-04-2002 (12:22:38)

La notizia non è nuova ma le possibilità  che un deposito di scorie radioattive venga localizzato nell’Alta Murgia si fanno più concrete. Il compito dell’Enea (Ente Nazionale Energie Alternative) di studiare le varie opzioni è terminato. Scartata l’ipotesi Piacenza (troppo vicina al Po e all’ex centrale di Caorso) restano due aree considerati ideali per lo stoccaggio: la Murgia barese e la Maremma grossetana-viterbese. Le caratteristiche in comune tra le due aree sono la presenza di servitù militari (indiziata per la Murgia la Polveriera di Poggiorsini), il basso rischio sismico, la limitata densità  abitativa. Ora tocca alla Sogin, una società  costituita appositamente dall’Enel per la dismissione delle vecchie centrali nucleari, e al Ministero delle Attività  produttive, decidere. Lo ha confermato anche il premio Nobel Carlo Rubbia in una recente audizione alla Camera. La quantità  di materiale radioattivo, proveniente da tutta Italia, ammonta a circa 150.000 metri cubi. Altre caratteristiche ritenute importanti sono: “l’uso del suolo, le vie di comunicazione, la quota, la pendenza, la precipitazione”.
Una scelta che interferisce chiaramente con il Parco dell’Alta Murgia. Lo fa notare il parlamentare altamurano dell’Ulivo e dei Ds, Donato Piglionica, membro della commissione ambiente che ha presentato un’interrogazione insieme al suo collega e capogruppo della Quercia in commissione, il senese Fabrizio Vigni. Per il territorio sarebbe una beffa, proprio nel momento in cui si stava accelerando l’istituzione effettiva del Parco con una serie di incontri tra Regione, Comuni, Ministero, associazioni ambientaliste e categorie produttive al fine di definire le norme di salvaguardia e la perimetrazione. E infatti “la task force dell’Enea”, si dice nell’interrogazione, “nella sua metodologia selettiva aveva adottato tra i criteri di esclusione le aree protette, le riserve e i parchi naturali”. Piglionica chiede al Ministero dell’Ambiente “come si intende procedere per la perimetrazione definitiva del Parco e di stralciare l’Alta Murgia dalle aree individuate come potenzialmente individuabili come deposito di scorie radioattive”.
Occorre fare presto, dunque, con la perimetrazione. L’assessore all’Ambiente della Regione Puglia Michele Saccomanno nella conferenza stato-regioni ha espresso chiaramente la posizione del governo regionale. “La Puglia, al di là  delle indicazioni dell’Enea che agisce su mandato del governo”, afferma, “è contraria a una localizzazione di quel tipo”.
Sul sito Altamura 2001, nelle pagine Murgia e territorio, l’ordine del giorno contrario al deposito di scorie radioattive approvato dal consiglio comunale di Altamura l’estate scorsa.
Pasquale Dibenedetto

Grottammare, la Porto Alegre italiana.

…da un’amministrazione della sinistra alternativa che guida da alcuni anni una città  adriatica marchigiana a prevalente economia turistica, di oltre 14.000 abitanti.
Non vi è decisione importante, non vi è bilancio o scelta urbanistica rilevante che non sia sottoposta ad un originale percorso democratico che si impernia essenzialmente su di una serie di assemblee di quartiere.
Assemblee sistematicamente organizzate da comitati spontanei di cittadini, sorti particolarmente nelle zone periferiche della città , ai quali il Comune attraverso un apposito Assessorato alla partecipazione, ha solo fornito uno statuto tipo, adattato ogni volta sulla base delle specifiche esigenze.
Questo è “il segreto” del un forte consenso che ha consentito di compiere scelte coraggiose in ogni campo della vita amministrativa (dal taglio dei volumi del PRG, al forte incremento della spesa sociale, alla netta divaricazione tra le aliquote minime e massime del prelievo tributario, ”¦).
Questa la ragione per cui nel novembre ’98, in piena rottura tra Rifondazione e il Governo Prodi, la lista di “Solidarietà  e Partecipazione”, guidata dal sindaco uscente del PRC, vinse con un clamoroso 62%, lasciando il magro resto dei voti alle due liste rivali del Polo e dell’Ulivo.
Furono in molti dall’esterno a non capire come fosse possibile che una città  liberatasi da un lunghissimo dominio della DC e della destra solo quattro anni prima, con la vittoria di misura di una coalizione di sinistra, potesse eleggere tredici consiglieri comunali (su venti) comunisti, ambientalisti e indipendenti, spazzando via forti compagini di potenti e rappresentativi uomini politici di governo del passato, di ogni altra estrazione politica.
In realtà  è successo che i cittadini di Grottammare, in quei quattro anni di governo locale vivace ed appassionato, hanno semplicemente provato il gusto della democrazia e della partecipazione.
Si sono accorti di aver conquistato potere reale e pertanto l’hanno difeso con il voto, impedendo un ritorno al passato.
Dopo decenni in cui si era fatto credere loro che il voto fosse una delega in bianco e che il governo della città , i bilanci annuali, i piani regolatori, l’organizzazione dei servizi, fossero, ineluttabilmente, un “affare” per pochi (depositari delle “indispensabili competenze”), sono stati chiamati a pronunciarsi, a decidere sulle principali scelte di governo.
La stragrande maggioranza dei protagonisti di questi processi non sono stati cittadini e lavoratori già  dotati di una coscienza politica ma persone senza alcuna esperienza del genere alle spalle, ovviamente libere da pregiudizi nei confronti dell’amministrazione comunale, che si sono impegnate ad organizzare una sempre più larga partecipazione alle decisioni, via via che hanno avuto la possibilità  di sperimentare (non senza stupore!) la piena attuazione delle decisioni piccole e grandi adottate collettivamente.
Certo, non poco è stato lo sforzo iniziale volto a superare la sfiducia nelle istituzioni cresciuta nei decenni precedenti a causa della grande distanza tra la politica e i problemi reali della gente. Così come non è stato agevole demistificare la presunta complessità  delle scelte di bilancio e di pianificazione da sempre riservate agli “addetti ai lavori” per farne cogliere la loro reale semplicità  e stretta relazione con i bisogni dei cittadini.
Questi processi di formazione delle decisioni innescano dibattiti e conflitti nella città , che risentono ovviamente del clima politico-culturale generale, il cui esito, pertanto, non è mai scontato. Conflitti che fanno emergere in ogni caso, con chiarezza, il segno degli interessi in gioco e contribuiscono a farne crescere la consapevolezza e la coscienza.
Una coscienza sicuramente preziosa oltre che per costruire una città  più giusta, anche per opporsi localmente alla globalizzazione, tentando di delineare da basso un modello alternativo di democrazia e di società .
(Massimo Rossi, sindaco di Grottammare, AP)

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Solidarietà  e Partecipazione a Grottammare:
un progetto di governo locale “in controtendenza”

Governare il territorio ponendo al centro i bisogni reali della gente e la sostenibilità  dello sviluppo è possibile.
L’esperienza della mia cittadina, Grottammare, sulla costa adriatica marchigiana, poco più di 14.000 abitanti, lo dimostra. Questa esperienza, avviata quasi sette anni fa con l’avvento di un’amministrazione della sinistra alternativa alla guida della città , dimostra altresì che la gente può ritrovare il gusto della partecipazione se si aprono le porte del Palazzo per consentirne l’accesso, ma anche le finestre, per guardare fuori dai propri confini municipali.
Quattro progetti di cooperazione allo sviluppo verso il Sud del mondo, un centro polivalente degli immigrati, una consulta per la fratellanza tra i popoli, vari centri di aggregazione giovanile e per anziani, una discreta rete di associazioni, una efficiente gestione diretta e democratica di servizi strategici o meno (quali ad esempio la depurazione delle acque o la farmacia comunale), una grande attenzione per il recupero del patrimonio storico e per la prevenzione di ogni forma di inquinamento”¦

Il tutto si inquadra in un progetto alternativo rispetto alle regole dell’attuale sviluppo. Un progetto che non intende subordinare alla rincorsa del massimo profitto e della più esasperata “competitività “, il diritto di tutti i cittadini di decidere sull’uso delle risorse collettive al fine perseguire, ora e nel futuro, l’universalità  dei diritti sociali.
Può apparire impossibile tagliare un milione di metri cubi dalle previsioni edificatorie dal precedente piano regolatore, riportando ad uso agricolo la metà  delle aree che si potevano urbanizzare, se non si inquadrano queste scelte in un vivace e coinvolgente processo democratico di elaborazione di un progetto di sviluppo basato sulle principali risorse, vocazioni e tradizioni locali (nel nostro caso: il turismo e la coltivazione della flora arbustiva mediterranea).
Può sembrare assurdo proporre di limitare la sosta ed il transito delle auto sul lungomare, ricco di hotel e pubblici esercizi, al fine di recuperare spazi per lo svago, le relazioni, la qualità  della vita, se non si inseriscono queste scelte in una coerente ed ininterrotta iniziativa tesa a delineare una diversa idea di città ; un’idea che vuole coniugare le esigenze di spazi e relazioni a misura d’uomo espresse dalla parte più debole e sensibile della popolazione, con un’offerta turistica centrata sull’ambiente, la cultura, la pulizia, la tranquillità  e la possibilità  di socializzazione.
Può sembrare strano, per una piccola cittadina, destinare impegno e risorse locali a progetti per realizzare pozzi d’acqua potabile contro la sete e la desertificazione nel sud del mondo o regole democratiche di gestione del territorio in Albania, se non si inquadrano tali azioni in una costante e coinvolgente iniziativa sui temi della pace, della mondialità  e dell’immigrazione; un’azione tesa a far cogliere ai cittadini l’interdipendenza del futuro dei popoli della terra, valorizzando a tal fine la presenza degli immigrati, con una consulta, un consigliere aggiunto, un centro servizi e una fitta serie di iniziative: come l’annuale festa antirazzista (ogni 25 Aprile) e il capodanno multietnico che cresce ad ogni nuova edizione.
Può apparire anacronistico, in un quadro di forte spinta ideologica alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, ottenere, con gestioni dirette o controllate da parte del Comune, risultati di efficienza, qualità  ed economicità  in importanti servizi di interesse pubblico se non si collocano questi risultati in una prassi di controllo democratico degli stessi servizi, esercitata in un quadro di grande trasparenza, che vede i quartieri e le forze sociali coinvolte nei momenti salienti della programmazione a partire dal bilancio comunale.
E’ importante rilevare come tutto ciò non venga calato dall’alto in termini “ideologici” ma proposto i stretta relazione con i bisogni dei cittadini; bisogni, in qualche caso mistificati e deformati dalle sirene consumistiche, che però, spesso si “depurano” nel confronto e nella riflessione collettiva.
Certo tutte queste scelte innescano accesi dibattiti e conflitti nella città , il cui esito non è stato e non è mai scontato; conflitti, però, in cui via via, emerge con chiarezza il segno delle posizioni e degli interessi in gioco.
Sul Piano regolatore, ad esempio, forte è stata l’azione della speculazione fondiaria e dei settori che da sempre intendono il territorio come risorsa da consumare per ottenerne il massimo profitto. Sulla riqualificazione urbana ci si scontra con i soggetti portatori di modelli consumistici secondo i quali le strade, le piazze e i lungomare debbono essere spazi ove spostarsi velocemente in auto per acchiappare affari, spendere denaro e consumare rapidamente persino la bellezza dei luoghi.
Ma sono proprio questi conflitti a far crescere la coscienza tra i cittadini e, se si opera con passione ed intelligenza, a portare la maggioranza di essi a schierasi dalla parte di chi prospetta una città  più giusta, vivibile e solidale.
Solo così può spiegarsi il ripetuto e schiacciante successo di una lista della sinistra antagonista ed ambientalista, “da sola” contro i Poli, in una realtà  locale non certo molto diversa dal 90% delle nostre città  (con popolazione inferiore ai 15.000), ove vive quasi la metà  della popolazione del nostro Paese.
Se poi gli abitanti di queste città , come avviene a Grottammare, perdono motivazioni, fiducia ed orientamento quando sono chiamati ad esprimersi per determinare il governo di questo Paese, allora bisogna riflettere.
”¦ Sarà  forse che l’unico modo per vincere e trasformare la realtà  sia quello di “osare ” invece che annacquare il proprio progetto e piangersi addosso?
(Massimo Rossi – Sindaco di Grottammare, AP)

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Riprogettare la città  “partecipativamente”
L’esperienza di Grottammare: metodi e contenuti.


La formazione del Piano Regolatore Generale è stata senza dubbio una delle esperienze più interessanti della stagione di rinnovamento amministrativo che Grottammare sta vivendo dal novembre 1994 , da quando cioè al governo della città  si insediò la prima amministrazione di sinistra, guidata dal sindaco del PRC, Massimo Rossi.
Nella consapevolezza che le scelte riguardanti il governo del territorio sono quelle in cui si manifesta in maniera più evidente la contrapposizione tra gli interessi dei ceti più forti e quelli più deboli nell’ambito della città , l’Amministrazione comunale si è innanzitutto preoccupata di coinvolgere in questo processo di pianificazione l’intera cittadinanza…
Innanzitutto, con una vera e propria campagna informativa, si è voluto far capire ai cittadini che il piano regolatore non è un’insieme di estruse elaborazioni per addetti ai lavori o, ancora peggio, un atto esclusivamente finalizzato a definire l’edificabilità  o meno di terreni di proprietà  privata.
Una volta percepito che si tratta invece di riprogettare la città , usando linguaggi ed elaborazioni comprensibili per tutti, per decidere insieme cose estremamente importanti, quali: la consistenza e la dislocazione degli spazi pubblici, delle attrezzature sportive, dell’edilizia residenziale pubblica e degli altri servizi di interesse collettivo, l’organizzazione della mobilità  urbana, ecc., non è stato difficile ottenere l’attenzione e la partecipazione dei cittadini negli incontri con i comitati di quartiere , nelle assemblee pubbliche , nella fruizione di uno speciale “ufficio di piano” , appositamente aperto durante l’elaborazione del progetto, ecc.
Queste premesse anno consentito di impostare una progettazione limpida e rigorosa, basata in primo luogo su un quadro di conoscenze indispensabili, costruito attraverso un’interesse ed approfondita analisi del territorio sotto i profili, ambientale, geologico, botanico vegetazionale, socio economico, storico, demografico, ”¦.
Da questo quadro si è potuto dimostrare che il piano precedente era di gran lunga sovradimensionato (al solo scopo di favorire la speculazione fondiaria, 0, 0); si sono potuti individuare ambiti da salvaguardare in quanto interessati ad emergenze ambientali; si è dimostrato che vi è un notevole patrimonio edilizio da recuperare senza ricorrere all’ulteriore occupazione del territorio vocato ad altri usi, si sono potute evidenziare e valorizzare attraverso scelte specifiche le vocazioni economiche e produttive del territorio (turismo, vivaismo, artigianato, servizi, 0, 0);”¦
In sostanza, puntando solo sulla trasparenza, la partecipazione e la forza dei dati scientifici si sono create le premesse per le scelte coraggiose e “sostenibili” dal punto di vista ambientale, come il “taglio” rispetto al Piano precedente, di circa un milione di metri cubi in termini di potenzialità  edificatorie e la sottrazione da processi di trasformazione già  previsti oltre 3 km quadrati di territorio attualmente destinati ad uso agricolo.
Altro elemento che ha a caratterizzato e rafforzato il progetto, è quello dell’equità .
In sostanza pur assumendo come riferimento i bisogni della collettività  per una città  più vivibile e non le esigenze della proprietà  immobiliare, tuttavia nei confronti di quest’ultima si è cercato di evitare al massimo differenti opportunità  economiche in conseguenza alle scelte del piano. Infatti, pur essendo impossibile estendere un quadro di equità , a tutta la proprietà  immobiliare (mancando una legislazione sul regime dei suoli che, nella netta separazione della proprietà  dal diritto di edificazione, realizzi una sostanziale indifferenza economica delle previsioni urbanistiche), si è riusciti di attribuire, almeno alle proprietà  coinvolte nelle scelte del piano, indici e regole identiche in situazioni analoghe, eliminando le situazioni di disparità  normalmente presenti nei Piani regolatori.
Infine, per fare in modo che le previsioni di spazi verdi, di servizi ed altre attrezzature collettive (le cui dotazioni sono state notevolmente potenziate) non rimanessero solo una carta per la mancanza delle risorse pubbliche necessarie ad acquisirle ed approntarle, attraverso una specifica normativa (“progetti norma” su comparti omogenei), si è legata in maniera indissolubile l’edificabilità  dei suoli alla cessione e spesso all’effettiva fruibilità  di tali spazi e servizi.
In pratica: rovesciando la vecchia logica in base alla quale le dotazioni di servizi pubblici si reperivano (sulla carta) solo dopo aver stabilito arbitrariamente (spesso a casa degli amministratori) l’edificabilità  dei suoli, si sono prima individuate le carenze in termini di servizi, di spazi pubblici, viabilità , per poi determinare in relazione alla soluzione di queste, la possibile edificabilità  degli spazi adiacenti.

Partecipazione, comprensibilità , sostenibilità  ambientale, equità , attuabilità ,”¦ con queste “parole d’ordine” si è quindi portato avanti, in tempi relativamente brevi (poco più di due anni), un processo politico-amministrativo che ha visto molti cittadini riappropriarsi delle scelte di governo del territorio.
Un processo che oltre a produrre un “progetto di città  più giusta e vivibile”, ha anche consentito a molti soggetti di prendere conoscenza della necessità  di lottare anche sul territorio contro le sempre più spietate leggi del mercato, del profitto e della rendita che portano inevitabilmente al deterioramento dell’ambiente urbano, per difendere così la propria qualità  della vita.

(Massimo Rossi, Sindaco di Grottammare)

A Roma

Sono andato a Roma sabato scorso, a manifestare. Era da un po’che non lo facevo ma da qualche tempo mi era tornata una gran voglia di farlo. Diciamo da Genova. Non vi sto a rompere con cose scontate: una massa enorme di gente quale non vedrò mai più nella mia vita, la gioia, i canti, i colori (specie il rosso), le facce pulite, gli slogan in tutti i dialetti italiani, una marea di ragazzi e ragazze. Il sorridersi per le strade con gli sconosciuti, perché tutti riempissero il serbatoio della propria fiducia, benzina che tornerà  utile nei momenti di maggiore e solitario sconforto. Tutto questo era il contorno, bellissimo. La sostanza ci stava davanti, sul palco. Si chiamava Cofferati. Premetto che sono un gran rompicoglioni e anche un po’snob. Non ce la faccio a non ridere e a ironizzare sulle parole, spesso inutili, dei leader politici della sinistra, che pure voto.
Sabato non ho riso. Per una volta avevo deciso di seguire il comizio con attenzione. Cofferati ha fatto un discorso eccezionale, secondo me. Solo mezz’ora, ma niente chiacchiere, niente retorica; subito al cuore dei problemi, centrati in pieno. Tutto all’attacco, senza insulti, toni esagerati, urla. C’era da considerare la grande diversità  delle persone presenti: studenti, operai, pensionati; diessini, rifondaroli, verdi; girotondisti, no-global, riformisti moderati; reduci del palavobis, “ceto medio riflessivo”?, professori di Firenze; sindacalisti, amministratori, politici; lettori del Diario e dell’Espresso; associazioni nazionali e internazionali di ogni tipo; eccetera eccetera. Chiunque altro avesse parlato, mezza piazza si sarebbe voltata dall’altra parte. Perché siamo a questo ormai, a sinistra. Le ovazioni invece sono state innumerevoli e generali. Oggi in Italia Cofferati è l’unico in grado di farsi ascoltare e risultare credibile agli occhi di tutti: dialoga coi movimenti di critica della globalizzazione, la novità  più importante e interessante degli ultimi anni, che lo rispettano e dicono di voler collaborare con lui; ha avuto parole importanti per tutti: per gli immigrati, il mondo della scuola, del lavoro, l’ambientalismo ecc”¦ E’ credibile, non si pavoneggia nei salotti ignobili della dittatura tv, sai che quando parla puoi contare sulla sua parola, che non cambierà  idea in 5 minuti per convenienza. È serio pacato deciso. Soprattutto, è temuto da morire dalle macchiette del centrodestra. Al suo cospetto, i vari Rutelli e D’alema, Bertinotti e Fassino appaiono semplicemente ridicoli. Si facciano da parte, please.
I veri leader purtroppo sono fondamentali; non ne nascono tanti; la sinistra non ne ha avuto più uno da 20 anni, da Berlinguer. Questo può essere finalmente quello buono. Cosa ci vuole a capirlo? Nessuno in Italia oggi è in grado di portare 3 milioni di persone diverse in piazza a sostenere degli obiettivi comuni. C’è stato un passaggio, durante il discorso, in piazza, in cui tutto questo è stato palese in un attimo. Quando Cofferati ha respinto le accuse vergognose di aver armato la mano dei terroristi dicendo più o meno “quelli che sono qui oggi hanno sempre difeso la democrazia italiana; non so se fra quelli che sono ora al governo tutti possono dire lo stesso”?: la terra sotto i piedi ha letteralmente tremato, è salito una specie di ululato selvaggio collettivo, a denti stretti, le schiene curve per la fatica e per gli zaini si sono raddrizzate di colpo e con rabbia, un applauso lunghissimo. È stato come essersi liberati in un colpo solo di mesi e mesi di insulti e sghignazzi televisivi, offese volgari e derisioni; delle facce da culo di silvio-fini-bossi-gasparri-tremonti ecc”¦ delle leggi truffa su rogatorie-falso in bilancio-successioni-conflitto d’interessi-art.18. Chi ha una certa frequentazione di manifestazioni e di piazze, sa di cosa parlo e di quanto sia importante per un leader la capacità  di suscitare l’orgoglio, di far drizzare le schiene. L’impressione precisa era che se il povero Silvio continua così la prossima volta saremo 5-6 milioni. Il mare s’ingrossa. Insomma basta, non volevo fare il panegirico di qualcuno, odio i panegirici, ma mi rendo conto che questo ho fatto e nient’altro.
Chiedo veramente scusa a tutti per il lunghissimo pallosissimo pippone. Volevo solo dire che oggi la miriade di diversità  della sinistra italiana, che fanno la sua ricchezza e la sua generosità , può finalmente trovare una sintesi, smetterla di litigare come bambinetti, unirsi intorno a un progetto e riprendersi il futuro, acchiapparlo per i capelli. Sta anche a noi, adesso.