ABOLIRE LE LEGGI 34 E 8. LO CHIEDONO 5 CONSIGLIERI REGIONALI

Bari / Puglia / Politica / 05-05-2002 (11:47:39)

E’ diventato da alcuni anni a questa parte l’argomento principale nelle discussioni sullo sviluppo e l’urbanistica ad Altamura, a Santeramo, a Toritto, a Gravina e in altri centri della Regione Puglia. E’ la famigerata legge regionale 34 con successive modificazioni della legge 8. Una norma che, tramite accordi di programma Comuni-Regione, permette insediamenti produttivi in zone agricole in deroga al piano regolatore. I consiglieri regionali del Prc Michele Losappio e Arcangelo Sannicandro la considerano una vera aggressione al territorio specie nella sua versione aggiornata della legge 8, considerata peggiorativa dai rappresentanti comunisti. Un aggiramento dei piani regolatori comunali e di ogni ipotesi programmatoria. “La quantità  degli accordi di programma licenziati dalla giunta regionale conferma questa situazione”, affermano. Insieme al consigliere dei Verdi Mimmo Lomelo, a Carlo Madaro dell’Italia dei Valori, a Giovanni Valente dei Comunisti Italiani terranno una conferenza stampa domani mattina nel palazzo di via Capruzzi per illustrare una proposta di legge abrogativa delle due leggi.

Pasquale Dibenedetto

Legambiente Altamura: CORSO ANTINCENDIO BOSCHIVO 2002

Il corso è articolato, mediante il seguente programma, in lezioni teoriche e pratiche, e comporterà  la disponibilità  (concordata) dei partecipanti alle possibili operazioni di avvistamento ed intervento antincendio per il periodo estivo.

Agli iscritti saranno rilasciati: un attestato di partecipazione, una carta dettagliata dell’Alta Murgia e un manuale A.I.B. contenente alcune regole da seguire in caso di incendio.

E’ obbligatoria l’iscrizione a Legambiente come soci Volontari

(costo _ 25.00) (la quota comprende anche il costo dell’assicurazione).

Le lezioni si terranno presso la sede di Legambiente in via Andrea Doria n° 16

(di fronte al mercato del pesce di piazza Castello).

Sabato 4 maggio ore 17.00

– PRESENTAZIONE E FINALITA’ DEL CORSO

– LA PROTEZIONE CIVILE AD ALTAMURA (Dott. Lobosco

resp. Protezione Civile di Altamura)

Domenica 5 maggio ore 9.00

– IL VOLONTARIATO E LA PROTEZIONE CIVILE (Simone Andreotti

Resp. Nazionale Protezione Civile Legambiente)

– L’A.I.B NEL PARCO DELL’ALTA MURGIA (Antonio Nicoletti

Resp. Nazionale Ufficio Aree Protette)

– L’ANTINCENDIO NEI PARCHI: l’esperienza nel Vesuvio (Pasquale Giugliano Responsabile Circolo “Mimmo Beneventano”? ”“ Ottaviano (NA))

Legambiente “Naumanni”? Altamura: Sede legale: Via Benevento, 13 70022 Altamura (BA) . C.F. 91055050727 Tel: 3357224179 . e-mail: legambiente_altamura@yahoo.it

Le riunioni si tengono presso la sede in Via Andrea Doria, n°16 (di fronte al mercato del pesce di Piazza Castello)

Sabato 11 maggio ore 17.00

– GLI INCENDI BOSCHIVI: cause, effetti, dati statistici, natura del bosco, essenze

boschive, climatologia e meteorologia.

– MISURE DI PREVENZIONE: pulizia del sottobosco, sentieri tagliafuoco, invasi

d’acqua, informazione alla popolazione.

– SISTEMI DI SPEGNIMENTO PIà™ DIFFUSI: strategie di attacco, spegnimento da terra e da cielo, attrezzature ed automezzi.

Domenica 12 maggio ore 9.30

– CONTROLLO DEL TERRITORIO: avvistamento, allarme, pattugliamento e vedette. Sistemi di comunicazione.

– CONOSCENZA DEL TERRITORIO: tipologie e particolarità  delle aree boscate locali e zone a rischio.

– SISTEMI DI COMUNICAZIONE RADIO

– ELEMENTI DI ORIENTAMENTO E DI LETTURA DELLE CARTE TOPOGRAFICHE TEMATICHE

Sabato 18 maggio / domenica 19 maggio

– CARATTERISTICHE DEI MEZZI E DELLE ATTREZZATURE:

alcune regole per operare in sicurezza, e per non essere solo d’intralcio.

Sabato 25 maggio ore 17.00

– LOTTA A.I.B.: tecniche di spegnimento, normative. (ing. Giuseppe Giove

C.F.S. esperto A.I.B.)

Domeniche 2, 16, 30 giugno

– CONOSCERE IL TERRITORIO

– ESERCITAZIONE PRATICA DI ORIENTAMENTO E LETTURA DELLA CARTOGRAFIA

Dotazione personale: stemma identificativo, divise.

Dotazione del gruppo: flabellotti, guanti, manuale, cartografie.

Legambiente “Naumanni”? Altamura.

Sede legale: Via Benevento, 13 70022 Altamura (BA) . C.F. 91055050727 Tel: 3357224179 . e-mail: legambiente_altamura@yahoo.it

Le riunioni si tengono presso la sede in Via Andrea Doria, n°16 (di fronte al mercato del pesce di Piazza Castello)

Tuta blu 2002, ritorno all’inferno

Ignazio Minerva

MALEDETTA fabbrica. Le ire, i ricordi e i sogni di un operaio del Sud negli anni settanta sono nella pagine di Tutablu, il libro che il poeta-tornitore Tommaso Di Ciaula pubblicò per Feltrinelli (1978), in cui – parole di Paolo Volponi – “la natura contadina sfrigge a contatto con la lama rovente della condizione di operaio”. Trent’anni dopo, esterno giorno: operai manifestano davanti alla sede della Regione Puglia con bandiere e striscioni. A lato, poco distante dai difensori della forza-lavoro prestata al padrone in cambio del sudore (“spremuta di operaio caduta a terra”), fuori dal coro di proteste, un piccolo soldato blu si chiede perché non sia con gli altri del gruppone. E’ solo un attimo ma già  Nicola Rubino, il signor-tutti-e-nessuno, vorrebbe essere altrove. “Via da qui” è il titolo del romanzo breve di Francesco Dezio, trentenne di Altamura (zerozerosud, 88 pagine, 5 euro, 0, 0); “TutaBlu2002”, si potrebbe aggiungere, con un’espressione dal retrogusto cinematografico. Dopo la morte in banca, di Giuseppe Pontiggia, una morte in fabbrica: attraverso un linguaggio beffardo e provocatorio (con piccole note che rappresentano una voce sospesa tra fantasia e realtà  e i “sovrappensieri” dei personaggi) viene ritratto un mondo disperato, in cui i “capetti” dominano per imporsi ai sottoposti che tra profferte e vessazioni a volte resistono, sfidando il giogo di un reparto radioattivo alla Homer Simpson.

La rinascita, l’amara rivincita, spiega Michele Trecca, è nel linguaggio avantpop. “Nell’era dei newmedia, Dezio sfida i padroni sul terreno della comunicazione: la sua verità  di carne e sangue contro la demagogia tecnologica e patinata delle tre I di Internet, Inglese e Informatica. Un sabotaggio. Un inno alla rivolta”. Per uomini che sono annientati dalla ripetitività  del lavoro e trasformati in una “pretty hate machine”. Scrive Dezio: “Il pezzo che abbiamo in produzione oggi è il più pesante della serie: dieci chili. Prima su un braccio, poi sull’altro. Ne faccio mille a girnata. Non c’è bisogno della palestra. Devi vedere che mostro di bravura sto diventando. Una spinta energica e scarrello. Tutte queste operazioni le compio in meno di venti secondi. Quando voglio spaccare ce ne metto quindici. Il pezzo vola nelle mie mani. Mi avanzano cinque secondi per rilassarmi. Divento macchina: una delicata macchina d’odio”. Sono tornato uomo – aggiunge – “e ho raccontato questa esperienza in un’azienda metalmeccanica”.

E adesso?

Dopo il contratto di formazione non sono stato riconfermato e quindi non lavoro più in fabbrica. Anzi: non lavoro più. Punto. Il mio ricordo peggiore è un bisogno di ordine smisurato. Una disciplina vicina all’ambiente militare. Per produrre tutti devono restare in postazione. Nella mia versione allucinatoria eravamo una grande macelleria, con l’operaio carne da catena di montaggio; come nelle guerre mondiali il soldato era carne da cannone. E per quel che mi riguarda nessuna solidarietà  tra colleghi.

La classe operaia è andata in pensione?

Non l’ho mai vista: l’operaio deve annientarsi, è sopraffatto dal desiderio di possedere oggetti e perde di vista gli ideali. E’ frenato da un’immensa paura di restare senza il posto di lavoro, riconoscente in eterno al padrone che gliel’ha concesso. Alcuni sindacalisti, inoltre, hanno un ruolo di mediazione a volte ambiguo e non sempre dalla parte dei lavoratori. E poi si tende a indorare la pillola con gli inglesismi del marketing in una realtà  operaia che è sempre quella. Parliamo di “career”, di carriera, anche per i saldatori.

Qual’era il suo compito?

Verniciatore. Anche se verniciavo ben poco: è un mastodonte di macchina che vernicia. Poi dovevo passare il pezzo all’altro compagno.

E se avesse fatto “career”?

Sarei diventato verniciatore ‘team leader’. In quel ruolo non si fa più niente: devi osservare, come un cane da guardia.

Insomma è un girone infernale…

Sì, anche per il caldo che d’estate supera i quaranta gradi. Da svenire.

I suoi numi tutelari?

Vollmann di “Puttane per gloria”, anche se una vena surreale era già  nelle mie corde; Easton Ellis e la sua violenza espressiva; Trecca, a cui ho scroccato i libri di Nanni Balestrini…

E Tommaso Di Ciaula?

L’ho apprezzato molto. L’ordinaria follia delle sue storie è meglio di Bukowski. Ci sono momenti “bucolici” che condivido meno.

La colonna sonora del libro?

Sicuramente la musica industriale degli Einsturzende Neubauten, tipi che suonano martelli pneumatici sul palco. Me ne sono sparato massicce dosi: un modo per cauterizzare le ferite.

25 aprile: tra vuoti di memoria, di idee e non-luoghi.

L`ho vissuto in quella Germania dalle cui truppe di invasione e dal cui nazismo l`Italia si liberò definitivamente il 25 aprile del 1945.
Ma sono andate davvero così le cose? Non è forse una lettura di comodo, autoassolutoria ed autoconsolatoria, pensare che il male sia stato e sia negli altri, sia venuto e venga dagli altri, che lo si subisca e se ne resti vittima o contagiati, che sia un fenomeno di importazione?
Ed il nostro fascismo, i nostri fascisti? Quanti erano? Cosa pensava e faceva la -´maggioranza silenziosa` di quegli anni? Dove affondò le sue radici il fascismo ed il suo regime? In quali sentimenti e pulsioni, pregiudizi ed errori, falsità  e superficialità , errori e sottovalutazioni, frastuoni e frustazioni, retoriche e parole, trovò alimento e forza?
Ne siamo ora immuni? Cosa fa e pensa la -´maggioranza silenziosa` di questi giorni? A sentire il nostro primo ministro il 90% la pensa come lui!
Non voglio però rischiare di scivolare pericolosamente io stesso, antiretorico per costituzione, in una retorica sciatta e quotidiana… non voglio parlare di nuovi regimi o di sospetti tali.
Ma in una giornata (normale, non celebrativa) caduta in un momento in cui intenso, inequivocabile è il lezzo che si leva insolente e prepotente dalle fogne di mezza Europa (e quando penso all`Europa, alludo ai suoi paesi, alle sue città , piccole e grandi, anche alla nostra) formando condense di diversa consistenza e forma (demagogia, razzismo, nazionalismo, populismo, antisemitismo, repulsione ed odio per l`avversario ed il diverso che diventano il nemico da eliminare, intolleranza o fastidio per il dissenso o la critica), nel momento in cui le regole e gli organismi di una democrazia ed il diritto e la legge vengono vissuti dai più con sopportazione e diffidenza, con un senso di fastidio ed inutilità  (Fabio Perinei ha scritto del declino dello -´spazio pubblico` da luogo della partecipazione e decisione a -´non-luogo`; tempo fa, in consiglio comunale ed in questo sito, parlai di -´vuoto in un circolo di ambizioni ed interessi personali`), mi sono venute in mente alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa da esponenti pubblici ed un articolo.
Strana la capacità  associativa della nostra mente… si muove secondo una logica random, mette insieme frammenti di vita, spezzoni di emozioni e di razionalità  raccolti chissà  dove e li fa diventare ragionamento, riflessione, convincimento.
Così come sono li propongo, senza indugiare ad esplicitare le intime connessioni che li tengono insieme e che forse ai più resteranno oscure. I cinque frammenti si legano peraltro anche all`interessante intervista di Chomsky segnalata da Ant.
L`articolo di Amos Luzzatto lo custodisco gelosamente nel mio mail box da un anno, per il suo contenuto e per l`amicizia che mi lega alla persona (un giovane giurista tedesco, Jonas Hees, raffinato amante della nostra lingua, cultura e terra) che me lo ha inviato. Quanto alle dichiarazioni, quella di Pannella è tratta dal Corriere della Sera del 18 aprile 2002 (articolo di Francesco Merlo, 0, 0); quelle di Santoro (intervistato da Curzio Maltese), di Fassino e di Violante (a commento del risultato elettorale del primo turno delle presidenziali francesi) sono state riprese dal sito www.repubblica.it.


enzo colonna

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Il valore della Libertà 
il rispetto della Legge

di AMOS LUZZATTO*

Credo di interpretare i sentimenti di tutti gli ebrei italiani facendo giungere il mio augurio personale e quello della Comunità  che rappresento pro tempore a tutti gli italiani, a tutti i nostri concittadini che condividono con noi ansie e preoccupazioni ma anche intenzioni e speranze. La Pasqua cristiana, che giunge quest’anno a conclusione degli otto giorni delle festività  pasquali ebraiche, ci spinge a fare alcune brevi considerazioni.

Esse sono centrate su due parolechiave ebraiche: la prima è la parola cherùt, che vuol dire «libertà ». È certo che la festività  ebraica commemora ed esalta la liberazione di un popolo intero dal giogo della schiavitù. Non si tratta certamente di un evento secondario nella storia dell’umanità , se ancora ai nostri giorni esso si rivela a tal punto attuale da essere in grado di mobilitare le coscienze e di indurre a sacrifici tutti coloro che vogliono ottenere la libertà  quando viene loro negata e difenderla ardentemente quando viene minacciata. Ma la tradizione ebraica non fa della libertà , di qualunque forma di libertà , un valore assoluto. La liberazione dall’Egitto è seguita immediatamente (si potrebbe anche dire che essa ha lo scopo preciso) dalla tappa del Monte Sinai, che rappresenta l’accettazione della legge, di una disciplina, la sottomissione a determinati vincoli, a obblighi sia positivi che negativi. Non vi è contraddizione in tutto questo? La libertà  non parrebbe in contrasto con il concetto stesso di vincoli? Non si tratta forse di una libertà  che nega se stessa nel momento stesso in cui si afferma? Anche questa domanda pare essere di scottante attualità , tanto da farsi spesso, più che un problema di storia, un frammento di cronaca dei nostri tempi.

I Maestri ebrei dell’antichità  citavano il versetto del libro del Levitico (32, 16) che suonava: «E lo scritto era scritto di Dio, inciso sulle Tavole». Si parla evidentemente delle Tavole della Legge e dei Dieci Comandamenti, pilastro e avvio di una legislazione nella quale i «vincoli» non mancano davvero. Ma la parola «inciso» suona in ebraico charùt, termine che si distingue per una sola vocale da cherùt, che abbiamo già  detto significare «libertà ». E in una lingua dalla scrittura solo consonantica come quella ebraica, le due vocali possono essere facilmente interscambiate. «Non si deve leggere -dicono pertanto i Maestri – inciso sulle Tavole, bensì «la libertà  è sulle Tavole». In altre parole: è proprio la legge quella che dà  la libertà . A pensarci bene, sembra una banalità : una società  è libera se tutti i suoi membri godono della stessa libertà ; e a garanzia di questi «tutti» c’è, appunto, la legge (che vale, egualmente per tutti). Ma è tanto poco banale che ne discutiamo ancora, dopo millenni.

La seconda parola chiave ci spiegherà  meglio il concetto. Essa è ger, che significa approssimativamente «un forestiero che risiede per un tempo più o meno lungo nel territorio, che non possiede terre ma che vive del proprio lavoro». In tutta la Bibbia, ger rappresenta (come le vedove e gli orfani cui è parificato) una categoria debole, che sarebbe alla mercé dei più forti, dei «liberi» cittadini, che dovrebbe subire umiliazioni e discriminazioni se non intervenisse la Legge per proteggerlo, vista la sua inferiorità  obiettiva. «Il ger sia per voi come uno dei vostri cittadini. Tu lo amerai come te stesso, poiché anche voi siete stati gerim in Terra d’Egitto» (Levitico 19, 34).

Troppe volte la libertà  non è stata intesa come libertà  per sé e per il proprio prossimo. Troppe volte è stata trattata come se fosse un bene da acquisire per colui che dispone dei mezzi per farlo. Allora la libertà  si trasforma nel diritto di esercitare il potere; e in questo caso è sempre il diritto dei pochi nei confronti dei molti.

Viviamo dunque questa ricorrenza festiva con serena consapevolezza. Dai tempi più antichi, essa ci ricorda che cosa sia o debba essere una società  umana matura; una società  che difende la libertà  nel rispetto e nel sostegno dei più deboli. E che accetta e riconosce dei doveri, che spetta alla legge sancire, delle regole che il nostro senso morale c’impone di accettare.

*Amos Luzzatto è presidente dell’Unione Comunità  Ebraiche Italiane

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“Ci sono troppe splendide cose che potremmo fare con il nemico per pensare di eliminarlo”
(Marco Pannella)

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Uno stralcio dell`intervista a Santoro.
Curzio Maltese: Conosce Berlusconi, ha lavorato a Mediaset. Si aspettava un attacco così violento da parte del suo ex editore? Lei lo ha definito un vigliacco. Un termine forte, quasi alla Mancuso.

Michele Santoro: “Come definire uno che, con il suo potere, da presidente del consiglio e padrone del novanta per cento dell’informazione, attacca personalmente due giornalisti e un comico? E’ una lotta impari”.

C.M.: Creare un nemico assoluto fa parte però della politica berlusconiana.

M.S.: “Lui punta sempre alla personalizzazione esasperata, sulla creazione del nemico. Anche perché sul piano della lotta personale può far pesare tutto il proprio gigantesco potere. Ma qui c’è dell’altro, una strategia”.

C.M.: E quale sarebbe?

M.S.: “Berlusconi si è stufato perfino del finto duopolio Rai-Mediaset, punta direttamente a un monopolio, al controllo totale. Sa che oggi può ottenerlo e quindi stringe i tempi. Vuole un monopolio come l’aveva la vecchia Dc. Ma con la differenza che almeno quello si sposava con un progetto politico, economico e perfino tecnologico di crescita del Paese e del sistema televisivo. Questo sarebbe un monopolio regressivo, un salto all’indietro”.

C.M.: Ma perché tanta rabbiosa fretta?

M.S.: “Già , in fondo Berlusconi ha ottenuto tutto l’immaginabile, di chiudere nel cassetto il conflitto d’interessi, di nominare i suoi alla Rai, perché doveva pretendere anche lo scalpo di un paio di giornalisti, visto che Luttazzi è già  fuori? Ma perché è la sua natura e quella del berlusconismo, un progetto egemone. Il grande errore della sinistra, e non solo, è stato pensare che nel berlusconismo la politica potesse un giorno separarsi dalla proprietà  delle televisioni. Ma non è così. Per Berlusconi tv e politica sono la stessa cosa”.

C.M.: In questo, secondo lei, Berlusconi sarebbe peggio di Haider?

M.S.: “Non ho detto peggio, ho detto che è un fenomeno più importante di Haider, che andrebbe studiato di più. Anche dal resto d’Europa, per il quale rappresenta una minaccia. Separare tv e politica è la vera battaglia democratica del presente e del futuro. Altrimenti questo connubio si estenderà . Berlusconi ha già  provato a sbarcare nel resto d’Europa da imprenditore, anni fa, e ha fallito. Ora prova a sbarcare in Europa da imprenditore della telepolitica. C’è riuscito in Spagna, dove ha una televisione che sponsorizza il governo Aznar e ne è affettuosamente ricambiata. Ci ha appena provato in Germania, col tentativo di rilevare il gruppo Kirch. Tentativo bloccato da Schroeder. Ma se vincesse Stoiber? E vedrà  che in Russia, con l’amico Putin, qualcosa verrà  fuori. Questa saldatura fra potere televisivo e populismo è profondamente, pericolosamente anti europea. Molto più delle sparate di Haider o di Bossi”.

C.M.: E’ la teoria del partito azienda su scala continentale.

M.S.: “E sarebbe doppiamente grave perché c’è l`esperienza italiana. Almeno qui abbiamo l’alibi di esserci trovati di fronte a un problema nuovo. Come disse Giuliano Amato, era la prima volta che un gruppo industriale usciva da una crisi riconvertendosi in gruppo politico, trasformando la politica nel nuovo core business”.

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“Quello che più inquieta è la diffusione del fascino di parole d’ordine populiste che tengono assieme la vecchia tradizione di destra con strati popolari che di fronte alle mille paure e angosce trovano così rassicurazione. Se un tempo il populismo era arginato dalla sinistra, oggi proprio il populismo sfonda nell’elettorato della sinistra e ne raccoglie i consensi”.
(Piero Fassino)

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“Un partito di sinistra non può andare alle elezioni con un programma sfocato e anodino. Non mi è sembrato che quella campagna fosse caratterizzata da un valore forte e invece c’è bisogno di mettere in campo opinioni forti, perché opinioni deboli non convincono”.
(Luciano Violante)

Il Municipio come “non luogo”?.

Da molto tempo sono convinto che il Municipio sia diventato una sorta di “non luogo”?. Mi sforzo di spiegarmi: un Municipio, un’Amministrazione Comunale -a mio avviso- altro non devono essere che ambiti in cui Soggetti motivati politicamente si attivano per realizzare cose di interesse collettivo. Faccio qualche piccolo esempio: riparare un marciapiede e realizzare un parco urbano, valorizzare a fini turistici i propri Beni culturali e ambientali e costruire una villetta, una piazzetta, recuperare un verde di città  quasi inesistente e attivare una zona pubblica omogenea per l’edilizia produttiva, rispettando e assecondando un Piano Regolatore. Insomma: avere un disegno in testa, avere una propria idea di città . Da anni, almeno dieci, tutto questo, ad Altamura (ma non solo qui), non c’è più. Il Municipio, centro d’organizzazione e direzione sociale, economica e culturale, è diventato -lo ripeto- una sorta di “non luogo”?. In questo “non luogo”? può accadere di tutto: c’è il coltivatore che in pieno Consiglio comunale si mette a urlare, inveire, perché vuole che una parte dei suoi campi, da terreno agricolo sia trasformata in area edificabile; c’è l’imprenditore che in un altro Consiglio comunale alza la voce, perché vorrebbe realizzare il suo capannone non dove lo prevede il Piano Regolatore, “perché lì non gli piace”?, ma in un angolo del territorio che trova più conveniente; c’è il cittadino proprietario che in pieno Centro Storico vuole costruire una “bella casa a quattro piani”?; c’è l’automobilista che vuole attraversare Corso Federico, anzi vorrebbe sostare con la sua auto vicino alla Cattedrale. E si potrebbe continuare; ho voluto solo dare un esempio tangibile di come -penso io- il Municipio, una Giunta comunale ormai sono diventati solo “non luoghi”?. E ciò -a mio avviso- è potuto accadere perché negli ultimi anni, anche ad Altamura, il “berlusconismo”? ha rivoluzionato il modo di pensare quasi di tutti. E il “berlusconismo”? vuole la fine di ogni regola, ogni ordine, ogni vincolo, la fine di ogni interesse pubblico: chi vuole, chi sa, chi può faccia, intraprenda, realizzi e non si fermi al cospetto di una qualche regola. Anche per questo il Municipio è diventato il massimo del “non luogo”?. In Municipio, ormai, quasi sempre va un potere economico e dice agli amministratori: voglio fare questo, voglio aggiudicarmi quel lavoro, voglio costruire questo servizio ecc. Gli abitanti del Municipio, Sindaco, Assessori, Consiglieri, un po’ quasi tutti, si arrendono anche perché essi non hanno più motivazioni ideologiche e sono ossessionati dalla categoria del “consenso”?. E il Municipio diventa ancor più “non luogo”?. Tanto “non luogo”? che può accadere che un potere finanziario pensi: “quell’assessore va bene, quell’altro è meglio non ci sia”?. Tutto questo e altro ancora, mi era nitido nella mente quando ho accettato di fare il segretario cittadino dei DS. Ce l’ho messa tutta per far ritornare un pochino il Municipio “luogo”? di interesse generale. Ma -lo confesso- ho perso, non ce l’ho fatta. Ho conquistato un ulteriore fallimento, checchè ne dicano i radio-predicatori di paese. E’ vero, ne prendo atto: i tempi sono cambiati. In peggio.

Fabio Perinei

La democrazia italiana vista da Chomsky

Chomsky: Non so in Italia, ma negli Usa la popolazione è “sondata”

estensivamente, in modo massiccio, cosicché noi abbiamo una conoscenza

abbastanza buona degli atteggiamenti pubblici. C’è, infatti, ad Harvard un

progetto chiamato “L’Elettore che Svanisce”, che mi sembra molto

significativo. Si occupa di analizzare nei dettagli i risultati elettorali

per tentare di determinare perché gli elettori stanno perdendo interesse

nelle elezioni da venti anni a questa parte. Una delle cose che viene

misurata è il senso di “helplessness”, di impotenza cioè, ovvero si

percepisce sempre di più che non è possibile fare niente che agisca sul

processo politico.

Il senso di impotenza ha colpito pesantemente quest’anno, ben oltre ogni

precedente.

Di fronte all’elezione approssimativamente il 75% della popolazione ha

percepito che non c’era alcuna competizione, che era solo una sorta di gioco

tra sottoscrittori ricchi, “boss” di partito ed i media.

L’industria delle relazioni pubbliche, della pubblicità , ha creato i

candidati, addestrandoli ad usare certi gesti e determinate parole che i

ricercatori di marketing indicavano come utili ai fini elettorali.

Alla fine nessuno diceva ciò che pensava, nessuno capiva e molti pensavano

che si trattasse di qualcosa privo di senso, solo una specie di gioco di

marketing, di pubbliche relazioni.

Pacitti : Pensa che ciò che sta accadendo in Italia sia simile?

Chomsky: Posso dire che è molto simile, ma io non conosco l’Italia come gli

Stati Uniti. Questa è una tendenza che partì dagli Stati Uniti e dalla Gran

Bretagna e che risale alla prima parte del secolo. Era naturale che dovesse

nascere nei paesi più democratici. Negli anni ’20 qui si capì subito – negli

altri paesi più tardi – che non era più possibile controllare la gente con

la forza. I paesi stavano diventando più democratici. Il diritto di voto si

stava estendendo.

Il Partito Conservatore britannico – abbiamo i loro verbali interni –

all’epoca della Prima Guerra Mondiale comprese che non c’era più alcun modo

di tenere la generalità  della popolazione fuori del sistema elettorale.

Compresero che si andava verso il suffragio universale e che dovevano perciò

rivolgersi a quello che chiamarono “guerra politica”.

Sono chiamate pubbliche relazioni, ma significa propaganda, cioè il

tentativo di controllare gli atteggiamenti delle persone ed i loro pensieri

dirigendoli verso altre preoccupazioni. Non potendo controllare il popolo

con la mera forza, lo si tiene comunque fuori dall'”arena politica”. Lo

stesso veniva fatto negli Stati Uniti. Infatti, si registrava una crescita

enorme dell’industria delle pubbliche relazioni. Nelle società  più avanzate,

più democratiche, c’è da credere che appena una società  ottiene più libertà ,

la propaganda sostituisce la violenza come mezzo di controllo del popolo.

Berlusconi è stato imputato in una serie di processi penali in cui è stato

condannato. Ma a causa della legge italiana sulla caduta in prescrizione dei

reati, in effetti nessuna di queste sentenze è stata applicata. Un recente

libro elenca quattordici imputazioni contro Berlusconi. Nell’ultimo decennio

ha collezionato pene detentive per un totale di sei anni e cinque mesi per

corruzione, finanziamento illegale e falso in bilancio.

Chomsky: Per gli standard Usa si tratta di banalità .

Pacitti: Nel 1990, Berlusconi fu condannato per spergiuro dopo aver negato

la sua appartenenza alla loggia Massonica P2, una organizzazione

anti-comunista che ha usato i servizi segreti per fini politici. La condanna

di Berlusconi fu annullata da un’amnistia generale. Il sostegno degli Stati

Uniti alla P2 sembrerebbe confermare quello che lei sta dicendo.

Chomsky: Precisamente. L’Italia, come sappiamo, è stata il principale

obiettivo degli Stati Uniti fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo

scopo era quello di minare la democrazia in Italia. Negli anni ’40, c’era la

grande paura che la Sinistra vincesse un’elezione democratica. In

particolare, nel 1948 la Sinistra aveva un grande prestigio. Voglio dire che

aver sostenuto la resistenza contro il Fascismo era un fatto molto

importante in quel periodo, così come supportare i sindacati. Proprio mentre

la Sinistra si apprestava a vincere le elezioni, gli Usa iniziarono a

cospirare. Non so se a lei è noto, ma il primo piano del Consiglio di

Sicurezza Nazionale [NSC1, si veda in proposito il memorandum in “Storia del

Consiglio di Sicurezza Nazionale 1947-1997″:

www.fas.org/irp/offdocs/NSChistory.htm] riguarda l’obiettivo di minare la

democrazia in Italia. Questo era il problema dell’epoca. E conclusero che

potevano minare il processo democratico ricorrendo

– all’arma degli aiuti alimentari – e non credo che ci sia bisogno di

ricordarle che in quel periodo c’era molta gente letteralmente affamata

– alla reintegrazione della polizia fascista (cosa che fu effettivamente

fatta) e ad altre cose del genere tra le quali il – sabotaggio dei sindacati

Se tutto questo non fosse stato sufficiente e la Sinistra nonostante tutto

avesse vinto, gli Stati Uniti avrebbero tentato la carta di una

“mobilitazione nazionale”, appoggiando nel contempo una serie di attività 

paramilitari contro il governo. La politica del Consiglio di Sicurezza

Nazionale prevalse, e continuò fino agli anni settanta e forse oltre. Voglio

dire che le nostre conoscenze arrivano solamente fino agli anni settanta

perché lì i documenti si fermano.

Il sostegno alla P2 va inserito in questo contesto. In altre parole, lo

sforzo di minare la democrazia italiana ha radici antiche. A confronto,

Berlusconi non sta organizzando attività  militari per rovesciare il governo.

Ciò che accade oggi non è corretto, ma non è grave quanto quello che è

accaduto in passato Ed è lo stesso qui. A Clinton non è accaduto di avere

molti processi per corruzione. Ma guardiamo il “curriculum” di Reagan e di

alcuni esponenti della sua amministrazione [1981-89].

Pacitti: Quindi, lei ha esaminato nei dettagli la vicenda italiana?

Chomsky: Non ho fatto ricerche originali ma ho valutato la vicenda

comparando diverse fonti. Quindi, per esempio, nel mio libro Deterring

Democracy uno dei capitoli [capitolo 11: la Democrazia nelle Società 

Industriali], contiene dei riferimenti al principale progetto statunitense e

britannico dopo la Seconda Guerra Mondiale: minare la resistenza contro il

Fascismo e ripristinare il tradizionale sistema politico. C’è un riferimento

all’Italia, che viene approfondito in un altro libro successivo, che si

avvale di rivelazioni ulteriori. E sull’argomento c’è un libro molto buono

che ho recensito da qualche parte [World Orders, Old and New, Londra, 1997].

Uno storico italiano [Federico Romero, The United States and the

EuropeanTrade Union Movement 1944-1951, Nord Carolina, 1989-1992] giudica

addirittura positivamente il fatto che gli alleati abbiano disarmato la

resistenza e riportato il “Comitato di Liberazione Nazionale” all’ordine,

perché i “liberi movimenti politici e sociali da sempre ispiravano

diffidenza agli Alleati” in quanto “difficili da controllare”. Romero

descrive gli sforzi degli inglesi e degli americani finalizzati a minare i

gruppi operai e la resistenza contro Fascismo in Italia settentrionale.

Nonostante il giudizio positivo, la descrizione è di grande interesse in

quanto molto accurata.

Pacitti: Dunque, i casi italiani di corruzione risultano assai meno gravi

della casistica americana?

Chomsky: Menzionerò solo un altro esempio per convincerla. In Francia,

proprio accanto l’Italia, ci fu una grande resistenza anti-fascista e forti

movimenti operai. Il sud della Francia fu colpito con intensità  seconda

solamente al caso italiano. L’obiettivo era sempre il sabotaggio della

Sinistra e dei sindacati. Così fu restaurata la Mafia corsa in Francia

meridionale e quella è stata la fonte del traffico di eroina nel mondo. Per

ripagarli dei “servizi politici” gli americani consegnarono ai corsi il

monopolio della produzione di eroina. E con questo siamo alla “French

connection”, giusto? Così nacque il problema della droga nel dopoguerra.

Queste sono cose importanti. Basta dare un’occhiata al “NSC1” che ho citato

prima, il primo memorandum del “Consiglio di Sicurezza Nazionale”, così

cruciale nel contesto, richiedeva se necessario, come dicevo, la coercizione

Diciamo in prima istanza il ricatto del cibo e – se non bastasse – il

sabotaggio delle elezioni. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto sobillare una

“mobilitazione nazionale”, e quindi preparare la guerra e sostenere le

attività  paramilitari interne italiane.

Pacitti: Quindi in Italia stiamo vedendo solo “metà  della storia”. Posso

chiederle qualcosa di più sul caso Berlusconi? So che non le piace dare

consigli e senza dubbio non me ne darà  alcuno. Ma molta gente radicale in

Italia sta chiedendosi cosa fare. C’è chi ha iniziato a scrivere libri che

raccolgono i casi di corruzione e di ingiustizia, dalla Mafia a Berlusconi

fino ai casi socialmente accettati di corruzione accademica.So che lei ha

posto il problema all’interno di un contesto più largo, globale, ma c’è

qualche cos’altro che noi potremmo e dovremmo fare stando qui e che non

stiamo facendo e che va oltre un contesto italiano?

Chomsky: La risposta a queste domande è la stessa, al di là  di quale sia il

caso specifico. Non ci sono segreti che non siano stati scoperti negli

ultimi duemila anni.

Nello specifico italiano, tra “Mafia connections”, criminalità  e così via i

fatti dovrebbero essere sufficientemente conosciuti. Ma la domanda è

un’altra: a chi importa realmente? Per quanto posso capire, il vero problema

è che in Italia la gente grosso modo sa, magari non i dettagli, ma

effettivamente non gliene importa.

Pacitti: E perché pensa che non ci sia interesse e coinvolgimento?

Chomsky: Il popolo subisce una pressione tremenda, non solo in Italia ma in

tutto il mondo. Il tentativo è quello di rimuovere la popolazione dall’arena

politica.

Questo viene chiamato neo-liberismo, un modello che ha il suo zoccolo duro

in Gran Bretagna e negli Stati Uniti – di nuovo i paesi più avanzati – ma

che si espande ovunque, col risultato di invertire quello che accadde negli

anni sessanta. Quello che accadde negli anni sessanta aveva terrorizzato le

élites internazionali. Questo emerge in modo netto, e forse nel modo più

netto, in The Crisis of Democracy, il più sorprendente documento sull’

argomento.

Pacitti: Fu pubblicato nel 1975 ed era il primo studio della Commissione

Trilaterale fondata da David Rockefeller. Giusto?

Chomsky: Sì. La Commissione era una élite, una élite internazionale

liberista, da Europa, Stati Uniti e Giappone. Ed era formata prevalentemente

da persone dell’amministrazione Carter, che erano quasi interamente

“liberal” nel senso americano del termine, cioè socialdemocratici ed

internazionalisti. Tutta questa gente era profondamente turbata da quanto

accadeva in tutto il mondo negli anni sessanta. Ciò che li turbava

maggiormente era la crescita della democrazia, cioè la parte della

popolazione – le donne, i lavoratori, le minoranze, gli anziani –

solitamente apatica e passiva che entrava nell’ arena politica e tentava di

imporre le proprie richieste. Stavano entrando in un territorio proibito.

Iniziavano a pensare che il sistema politico fosse nelle mani delle tirannie

private, di poteri privati, e stavano cominciando a erodere proprio questi

poteri. Quella è la crisi della democrazia secondo la “Trilateral”.

Affermarono dunque che troppa democrazia non va bene: occorreva più

moderazione, era necessario riportare la gente all’apatia ed alla passività .

Affermarono di essere turbati e richiamarono le istituzioni responsabili

dell’indottrinamento -termine loro, non mio – dei giovani. Si riferivano

alle scuole, ai funzionari, ai media, alle chiese che anziché indottrinare

stavano diventando troppo indipendenti e “pensanti”, troppo attivi.

Avrebbero dovuto agire per invertire appunto “la crisi della democrazia”. Ci

sono stati da allora sforzi notevoli per riportare le persone alla

marginalità , e questo tentativo assume molte forme.

Una forma è la “minimizzazione” dello Stato in chiave neoliberista.

Sottrarre le decisioni all’arena pubblica per portarle in mani private è

un’altra forma di privatizzazione. Un’altra forma è la centralizzazione

delle autorità  finanziarie. La Banca Centrale Europea ha autorità  enorme e

non è responsabile di fronte al parlamento. Ancora più importante è la

liberalizzazione della finanza a partire dagli anni ’70, smantellando il

sistema Bretton Woods. Questo crea ciò che gli economisti chiamano un

parlamento virtuale, che deve dare retta agli investitori, altrimenti loro

possono distruggere l’economia. Ciò restringe enormemente il raggio d’azione

dei governi.

Ma ci sono anche dei gruppi di potere estremamente importanti che hanno in

comune un accordo sostanziale sulla necessità  della commercializzazione dei

servizi. L’idea dominante è quella di privatizzare i servizi, cioè tutto

quello che lo Stato può garantire – istruzione, sanità , ecc.- Liberalizzando

si aprono i servizi alla competizione privata, e questo significa

trasferirne il controllo ai privati.

Pacitti: È precisamente quello che Berlusconi ha in mente.

Chomsky: Precisamente. Ma è solo una componente di un processo mondiale,

dovuta ai problemi che comporta la crescita del processo democratico. Si sta

concretizzando ovunque come un tentativo di erodere la Sinistra. Non è più

possibile in Occidente controllare il popolo con la violenza. Non lo puoi

semplicemente sbattere in una stanza delle torture. Occorrono altri mezzi.

Uno di questi è la propaganda. Un altro è un consumismo parossistico, che

cerca di condurre la gente verso consumi sempre più massicci. Negli Stati

Uniti l’economia ha sofferto a causa delle politiche neoliberiste, come è

stato il caso in tutto il mondo, tale economia essendo sostenuta in notevole

misura dallo spendere dei consumatori, il debito delle famiglie supera il

reddito. E questo viene giudicato positivamente, perché intrappola la gente

nel debito. Così hai solo da lavorare duramente e non pensare. Così fin

dall’infanzia i bambini sono inondati di messaggi che dicono: compra,

compra, compra e così via.

Lo stesso avviene a livello internazionale. Il Terzo Mondo è intrappolato

nel debito imposto dall’immensa propaganda del Fondo Monetario

Internazionale e della Banca Mondiale.

Sono congegni finalizzati a controllare le popolazioni e ad assicurare il

potere alle tirannie locali. Questo è quello che avviene nell’era della

libertà .

Il demone del premier

Che lo abbia fatto nella convinzione assoluta di essere nel giusto, e anzi di riparare a un torto “criminoso” (avere la Rai dato voce, fin qui, anche ai suoi oppositori), è l’ennesima dimostrazione di una visione del mondo faziosa e quasi paranoide.

Sia o non sia un regime quello che l’uomo di Arcore presiede, è comunque un potere ingordo e al tempo stesso insicuro: perché solo l’insicurezza e la paura possono spingere un capo di governo, per giunta forte di un solido consenso elettorale e parlamentare, a sbocchi di prepotenza così maldestri e trafelati.

Profittare di un microfono bulgaro per purgare i palinsesti non è una delle tante gaffes o volgarità  alle quali questo viaggiatore ciarliero ci ha abituati (quando va all’estero perde le inibizioni, come gli impiegati in viaggio-premio). E’ uno sfregio che lo stesso Berlusconi infligge a se stesso e al proprio ruolo istituzionale, un’autoumiliazione così stupida e grave da far trasalire anche i suoi osteggiatori più acerrimi, che non hanno nemmeno la tentazione di divertirsi per l’inciampo, tanto pesante e allarmante, questa volta, è l’impressione di debolezza e arroganza (l’una conseguenza dell’altra).

Berlusconi vuole essere amato da tutti, senza eccezione alcuna. Questo demone mina alle radici il suo aplomb psicologico e semplicemente cancella la grande finzione che è l’anima della sua avventura politica, e cioè quella di essere un “moderato”. Di moderato il nostro premier non ha nulla, a partire dalla smodatezza delle sue proprietà  e del suo potere e dalla incapacità  congenita di tollerare le critiche altrui e, con esse, i limiti del proprio ruolo. Il senso del limite è l’essenza stessa del moderatismo. E un presidente del Consiglio che usa il proprio mandato per regolare i suoi conticini privati con due giornalisti e un comico, oltre a dimostrarsi un poveruomo, dimostra di non avere idea neppure vaga del concetto di limite.

Ha poi provveduto la reggenza Rai, il giorno dopo, a speziare ulteriormente la frittata sconsigliando vivamente allo staff di Fiorello di invitare Fabio Fazio, ospite indesiderato. Neppure la scaletta dei varietà  può sfuggire al regolamento di conti in corso. Il particolare sarebbe solo grottesco se non mettesse a nudo l’accanimento mediatico sul quale il berlusconismo ha fondato il suo verbo.

Se non si è mai visto al mondo un premier che comunica urbi et orbi chi può esibirsi in prima serata e chi no, è perché non si è mai visto al mondo un premier partorito direttamente dal televisore. Viene il sospetto che la politica e il potere, per Berlusconi, siano solo un incidente per coronare il suo sogno televisivo: fare l’autore di sei palinsesti completi, cantare finalmente a reti unificate le canzoni di Trenet (povero Trenet), essere circondato e consolato da quegli applausi a comando che solo certi varietà  garantiscono. Potersi esibire a rischio zero, al riparo dai fischi, per un pubblico di soli amici e sodali, è cosa che, tra l’altro, non accende la fantasia degli artisti, ma dei guitti in cerca di rassicurazione.

Al di là  di ogni considerazione politica, nel fondo di questa patologia della personalità  non si riesce a vedere nulla ma proprio nulla di buono e di rassicurante. Un capo che perde le staffe al primo sberleffo di palcoscenico, al primo editoriale ostile, è comunque un pessimo capo, qualunque sia il suo programma politico. E’ un capo debole, vulnerabile, facile preda dei suoi malumori e della sua ansia di vendetta.

Resterebbe da sperare che il suo staff sia sufficientemente munito da metterlo in guardia, supplicandolo di non occuparsi più, almeno in pubblico, delle scalette televisive. Ma c’è da temere che il suo staff sia stato allestito con gli stessi criteri che ispirano il Berlusconi padrone della Rai: fuori dalle scatole chiunque non mi onori e non mi ami.

(20 aprile 2002)

Lo sciopero dei consumatori della pasta Cunegonda

IN LINEA di principio non è anticostituzionale che lo schieramento che ha ottenuto la maggioranza in parlamento proceda all’occupazione di enti e agenzie varie, Rai compresa. E’ quello che si chiama “spoils system”, usato anche in altri paesi. E’ vero che i vincitori potrebbero dare prova di fair play tenendo conto di una minoranza che conta quasi la metà  degli elettori, ma non si può chiedere buona educazione e sensibilità  democratica a chi ha deciso di usare in modo spregiudicato una forza elettorale ottenuta legalmente. D’altra parte abbiamo avuto per anni una radiotelevisione interamente controllata dalla Democrazia cristiana, dove si misuravano addirittura i centimetri di pelle femminile esposti e non si assumevano redattori comunisti o socialisti, e il paese se l’è cavata benissimo, anzi, una televisione cosiddetta di regime ha prodotto la generazione più contestataria del secolo.

L’unico inconveniente è che il capo del governo possiede le altre televisioni private, e lo “spoils system” conduce a un monopolio quasi totale dell’informazione (mentre se Bush mette dei repubblicani in tutti i gangli del potere, rimane una fetta consistente di giornali, televisioni, radio indipendenti a controllare il suo operato).

Un incoveniente aggiunto è che il padrone di tutte queste reti ha una nozione (come dire?) abbastanza autoritaria del proprio ruolo padronale, come è stato dimostrato dall’invito che ha appena rivolto ai suoi direttori designati affinché liquidassero alcuni giornalisti che non gli vanno a genio. Questo è il fatto nuovo, nuovo rispetto agli usi degli altri paesi democratici e delle costituzioni scritte quando fenomeni del genere erano imprevedibili.

Questo fatto nuovo, certamente scandaloso, richiede una risposta nuova da parte dell’elettorato non consenziente. Si è visto che i girotondi e le manifestazioni di piazza per questo servono poco: ovvero, servono a rinsaldare il senso d’identità  di una opposizione smarrita, ma dopo (se questa identità  è reale) si deve andare oltre anche perché, detto in termini tecnici, il governo dei girotondi se ne sbatte, ed essi non convincono l’elettorato governativo a cambiare idea. Quale mezzo di protesta efficace rimane dunque a quella metà  degli italiani che non si sentono rappresentati dal nuovo sistema televisivo?

Questi italiani sono tanti, alcuni milioni hanno già  manifestato il loro dissenso, ma altri ancora sarebbero pronti a manifestarlo, se vedessero un modo veramente efficace. Rifiutarsi di guardare la televisione e di ascoltare la radio? Sacrificio troppo forte, anche perché, anzitutto, è legittimo che voglia guardarmi alla sera un bel film, e di solito non mi chiedo quali siano le idee del padrone di una sala cinematografica, e in secondo luogo è utile conoscere le opinioni e il modo di dare le notizie del partito al governo (se pure ci fosse una trasmissione sulla Resistenza gestita solo da Feltri, Er Pecora e Gasparri, ho diritto e desiderio di sapere cosa pensano e dicono queste persone). Infine, anche se fosse possibile, rifiutarsi di guardare tutte le televisioni sarebbe un poco come castrarsi per far dispetto alla consorte, perché si sceglierebbe, per opporsi alla maggioranza, di entrare a far parte di una minoranza totalmente all’oscuro di tutto.

Di quale forza effettiva può disporre l’Italia che non accetta il monopolio televisivo? Di una potente forza economica. Basterebbe che tutti coloro che non accettano il monopolio decidessero di penalizzare Mediaset rifiutandosi di comperare tutte le merci pubblicizzate su quelle reti.

E’ difficile? No, basta tenere un foglietto vicino al telecomando e annotarsi le merci pubblicizzate. Si raccomandano i filetti di pesce Aldebaran? Ebbene al supermercato si compreranno solo i filetti di pesce Andromeda. Si pubblicizza la medicina Bub all’acido acetilsalicilico? Dal farmacista si compera un preparato generico che contiene egualmente acido acetilsalicilico e che costa meno. Le merci a disposizione sono tante e non costerebbe nessun sacrificio, solo un poco di attenzione, per acquistare il detersivo Meraviglioso e la pasta Radegonda (non pubblicizzati su Mediaset) invece del detersivo Stupefacente e della pasta Cunegonda.

Credo che se la decisione fosse mantenuta anche solo da alcuni milioni di italiani, nel giro di pochi mesi le ditte produttrici si accorgerebbero di un calo nelle vendite, e si comporterebbero di conseguenza. Non si può avere niente per niente, un poco di sforzo è necessario, se non siete d’accordo col monopolio dell’informazione dimostratelo attivamente.

Allestite banchetti per le strade per raccogliere le firme di chi s’impegna, non a scendere in piazza una volta sola ma a non mangiare più pasta Cunegonda. E chissà  che sforzo! Si può fare benissimo, basta avere voglia di dimostrare in modo assolutamente legale il proprio dissenso, e penalizzare chi altrimenti non ci darebbe ascolto. A un governo-azienda non si risponde con le bandiere e con le idee, ma puntando sul suo punto debole, i soldi. Che se poi il governo-azienda si mostrasse sensibile a questa protesta, anche i suoi elettori si accorgerebbero che è appunto un governo-azienda, che sopravvive solo se il suo capo continua a far soldi.

Questa forma di protesta sarebbe assolutamente legale. E’ illegale incendiare un McDonald, ma in una rubrica di arte culinaria si può benissimo invitare i lettori a non mangiare i Big Mac e a preferire, che so, i Burger’s King, così come li si avverte che il tale ristorante non è all’altezza dei suoi prezzi. Un critico cinematografico ha il diritto di raccomandare ai propri lettori di non andare a vedere un film che egli giudica orribile.

Qualcuno a cui ho parlato di questa idea mi ha detto: “Ti accuseranno di luddismo, di minare il mercato, di danneggiare aziende.” Per nulla. Io non consiglio di non comperare più filetti di pesce, bensì di non comperare quelli che fanno pubblicità  sulle reti Mediaset. Il mercato della pasta continuerebbe a fiorire come prima, salvo che invece che cinque chili di pasta Radegonda e cinque chili di pasta Cunegonda si venderebbero sette chili di pasta Radegonda e tre di pasta Cunegonda. Se la pasta Cunegonda non avverte un calo di vendite, può continuare a fare pubblicità  sulle reti Mediaset, altrimenti può farla sulle reti Rai (e spero che Baldassarre mi ringrazi).

E’ luddismo distruggere le macchine, non incitare a usare, tanto per dire, auto diesel invece che auto a benzina. Da più di vent’anni io non uso più l’automobile in città  e invito tutti a fare altrettanto per non incrementare l’inquinamento e contribuisco però all’incremento dei mezzi pubblici. Ricordo che negli anni sessanta si era diffusa la voce che una certa marca di benzina finanziava un movimento politico da cui alcuni di noi dissentivano, e in autostrada semplicemente evitavamo di fermarci ai punti di rifornimento di quella marca e facevamo il pieno dieci chilometri prima o venti chilometri dopo. Non per questo (e neanche se lo avessero fatto tutti) è diminuita la libera circolazione automobilistica.

Era forse luddismo e attentato alle industrie e ai commerci avvertire che non bisognava più acquistare prodotti spray che potevano contribuire al buco nell’ozono? La gente ha cominciato a manifestare sensibilità  in proposito e le aziende produttrici si sono adeguate. Tutti continueremmo a essere ottimi consumatori, tranne che saremmo consumatori selettivi; il che è indice di maturità  e motore di sviluppo economico.

A nuove forme di governo, nuove forme di risposta politica. Questa sì che sarebbe opposizione.

Vediamo quanti italiani si sentono di farla. Altrimenti la smettano di lamentarsi, e si tengano il monopolio dell’informazione.

(20 aprile 2002)

Abuso di potere

Gli errori politici sono peggio di un crimine, ma con le dichiarazioni selvagge del premier contro le star della tv dell’Ulivo c’è l’abbinata: l’errore e l’abuso di potere. Che Enzo Biagi non ci sia simpatico, si sa: dalle uova a Benigni a una quantità  di sberleffi e di critiche (leggetevi l’Andrea’s Version di oggi), abbiamo la coscienza a posto e vantiamo anche una bella e pluridecennale primogenitura nell’opposizione alla sua faziosità . Non parliamo di Luttazzi o di Santoro, prediletti bersagli di cento nostri articoli contro l’arroganza manipolatoria del potere mediatico. Ma nessuna “attenuante della provocazione”? può valere di fronte alla caccia al giornalista ordinata con tono autoritario dal proprietario di Mediaset e presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il quale secondo noi, e anche su questo abbiamo dato battaglie esplicite, può e deve governare in piena legittimità  nonostante il conflitto di interessi, ma non può usare per nessuna ragione toni intimidatori, dal suo posto di capo del governo, contro il servizio pubblico radiotelevisivo. Con le dichiarazioni di ieri Berlusconi ha mostrato un tratto di insofferenza e di intolleranza che non corrisponde alla sua storia di editore e al suo profilo personale, e che rischia seriamente di compromettere la sua carriera politica. Si può avere ragione degli altri, e cancellare una postazione nemica dalla quale arrivano colpi bassi fra gli applausi prevedibili delle tifoserie, ma per nessun motivo si possono travolgere le regole del gioco. Un premier ha diritto di criticare i giornalisti, ma non di comportarsi nei loro confronti come un padrone o di adottare toni correzionali. Non è questione di ipocrisia ma di forma e di sostanza. Chi ha un’influenza potenziale su ben sei reti televisive, e molto potere politico e finanziario concentrato nelle sue mani, deve sapersi controllare, deve saper garantire il paese, anche la parte che lo combatte in modi spesso grotteschi, sulla sua freddezza razionale, sul suo rispetto per la libertà  di stampa e di opinione. In Italia esiste una società  civile matura, non siamo in una giungla dove la vittoria spetta a chi fa uso e abuso della forza. Le sparate manipolatorie di un Michele Santoro possono essere rintuzzate con successo: ci sono autorità  che hanno già  giudicato i suoi eccessi, comminando multe; c’è un Consiglio d’amministrazione della Rai, appena nominato, che deve fare il suo mestiere di editore di un servizio pubblico; c’è una Vigilanza parlamentare presieduta da un deputato dell’opposizione che proprio ieri, sulle nostre colonne, invitava a mettere in discussione pubblicamente il ruolo demiurgico e demagogico del conduttore unico. L’alternativa non è e non deve essere tra manipolazione populista e intolleranza governativa. Fosse così, Berlusconi lascerebbe un segno nella storia del paese, sì, ma un segno devastante di divisione e di caduta dei principi fondamentali di una società  democratica.

Mostra e scambio giovanile.

Dal 6 al 17 aprile si è tenuto- ad Altamura uno scambio giovanile nell’ambito del programma europeo Gioventù per l’Europa. Allo scambio, organizzato dalla cooperativa Sinergie, hanno partecipato 25 giovani provenienti da Spagna, Grecia, Lituania e Slovacchia oltre ad un gruppo di giovani italiani. Lo scambio- intitolato- “Tecla Flash” e ispirato ad una delle città  invisibili di Italo Calvino ha ha avuto come- obiettivo confrontare le diverse esperienze dei Paesi partecipanti sul tema della città , per fare questo ci si è avvalsi di due forme di rappresentazione:la letteratura e la fotografia. Lo scambio è stato anche un’occasione per i giovani che vi hanno partecipato per conoscere le culture degli altri Paesi europei e per l’Italia che- ha ospitato una possibilità  di mostrare la nostra regione e le nostre bellezze artistiche e ambientali.

Alla fine dello scambio, con i materiali prodotti durante i dodici giorni di attività ,- è stata- allestita,- presso la Masseria San Giovanni “I LUOGHI DI PITTI” (via Ruvo) una mostra collettiva sul tema della città . La mostra resterà  aperta fino al 1 maggio, vi invitiamo tutti a visitarla.