E’ tutto legale?

Dal quotidiano LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì
28 febbraio 2001 abbiamo tratto l’articolo che segue. Ricostruisce la vicenda
sarda della realizzazione di un intervento urbanistico di rilevante impatto
ambientale (alberghi, campo da golf, ecc.) in un territorio ricompreso nella
lista dei S.I.C. (Siti di Importanza Comunitario), soggetto quindi alla disciplina
della direttiva comunitaria 92/43/CE (relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche)
il cui Regolamento di attuazione è stato adottato con il Decreto del
Presidente della Repubblica dell’8 settembre 1997, n. 357. Il mancato rispetto
di tale disciplina da parte della Regione Sardegna ha indotto la Commissione
europea ad attivare una procedura di infrazione contro la Repubblica Italiana
nei termini e con le conseguenze che sono illustrate nel resoconto giornalistico.

Perché vi segnaliamo questa vicenda
che sembrerebbe non interessare Altamura?

Lo facciamo perché il territorio della
Murgia è soggetto alla medesima disciplina (DPR n. 357/97: il testo integrale
lo trovate in queste pagine web) in quanto dichiarato Sito di Importanza Comunitaria
(SIC) e, per giunta, anche individuato come Zona di Protezione Speciale [cosiddetta
ZPS: in proposito v. la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che riportiamo in queste
sito e che introduce le "Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio": per ulteriori dettagli ed estremi
sul regime vincolistico e di tutela del territorio dell’Alta Murgia, consigliamo
di leggere, all’indirizzo http://digilander.iol.it/torredinebbia/news.htm,
il "Documento prodotto dall’assemblea delle associazioni facenti parte
del Comitato Promotore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia – Centro didattico
MUREX 12.12.99" e quello poi inviato a diverse Autorità (tra cui
l’Unione Europea) dal Comitato Promotore con l’invito al rispetto, alla
verifica ed all’attuazione di tali normative nella Z.P.S. “Murgia Alta” ai sensi
dei DPR 357 del 8/9/1997].

Per comprendere cosa comporti tutto questo,
è sufficiente leggere in particolare quanto prevedono gli articoli 4,
5, 6 e 7 del DPR n. 357/97. In altri termini, gli interventi di trasformazione
urbanistica e territoriale di forte impatto (come quelli già realizzati
o in fase di autorizzazione o di realizzazione: spietramento, discariche, zone
industriali e capannoni di ogni genere, impianti di compostaggio ed inceneritori
di rifiuti, lottizzazioni di rilevanti dimensioni, campi da golf e villaggi
turistici, conigliere a schiera, ecc.) devono essere rispettosi di tale normativa
di fonte comunitaria. Altrimenti, come è successo per la Sardegna, anche
per la Puglia (v., in questo sito, pure il "Caso Nardò" sollevato
con un’interrogazione del parlamentare europeo Giorgio Celli) è
possibile e prevedibile che la Commissione europea avvii una procedura di infrazione
con pesanti conseguenze (anche economiche: pensate al destino dei fondi strutturali
europei!) per tutti, imprenditori ed amministrazioni pubbliche compresi.

Altamura2001 — La Città di Tutti

*

COSA PREVEDE LA
LEGGE
(art. 4-7, DPR 357/97):

Articolo 4
Misure di conservazione

1. Le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano adottano per i siti di importanza comunitaria,
entro tre mesi, dall’inclusione nell’elenco definito dalla Commissione europea,
le opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli
habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone
sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere
conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi del presente regolamento.

2. Le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano adottano per le zone speciali di conservazione,
entro sei mesi dalla loro designazione, le misure di conservazione necessarie
che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici od integrati
ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative
o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche
dei tipi di habitat
naturali di cui all’allegato A e delle specie di cui all’allegato B presenti
nei siti.

3. Qualora le zone speciali di conservazione
ricadono all’interno delle aree naturali protette, si applicano le misure di
conservazione per queste previste dalla normativa vigente.

Articolo 5
Valutazione di incidenza

1. Nella pianificazione e programmazione
territoriale si deve tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei
siti di importanza comunitaria
.

2. I proponenti di piani territoriali,
urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistici venatori,
presentano
al Ministero dell’ambiente, nel caso di piani a rilevanza nazionale,
o alle Regioni o alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nel caso di
piani a rilevanza regionale o provinciale, una relazione documentata per
individuare e valutare i principali effetti che il piano può avere sul
sito di importanza comunitaria
, tenuto conto degli obiettivi di conservazione
del medesimo.

3. I proponenti di progetti riferibili
alle tipologie progettuali di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377
, e successive modifiche
ed integrazioni ed agli allegati A e B del decreto del Presidente della Repubblica
12 aprile 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996,
nel caso in cui tali progetti si riferiscono ad interventi ai quali non si
applica la procedura di valutazione di impatto ambientale, presentano all’autorità
competente allo svolgimento di tale procedura una relazione documentata per
individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere
sul sito di importanza comunitaria
, tenuto conto degli obiettivi di conservazione
del medesimo.

4. La relazione di cui ai commi 2 e 3 deve
fare riferimento ai contenuti di cui all’allegato G al presente regolamento.

5. Nel caso in cui i progetti si riferiscono
ad interventi ai quali si applica la procedura di valutazione di impatto ambientale,
si procede ai sensi della vigente normativa in materia
.

6. Le autorità di cui ai commi
2 e 3 effettuano la valutazione di incidenza dei piani o progetti sui siti di
importanza comunitaria, entro novanta giorni dal ricevimento della relazione
di cui ai commi 2 e 3, accertando che non ne pregiudicano l’integrità,
tenendo conto anche delle possibili interazioni con altri piani e progetti,
e qualora ricadenti anche parzialmente in aree naturali protette, sentito l’ente
di gestione dell’area. Le Autorità
di cui ai commi 2 e 3 possono
chiedere una sola volta integrazioni della relazione ovvero possono indicare
prescrizioni alle quali il proponente del piano o progetto deve attenersi
.
Nel caso in cui la predetta autorità chiede integrazioni della relazione,
il termine per la valutazione di incidenza è interrotto e decorre dalla
data in cui le integrazioni pervengono all’autorità medesima.

7. L’autorità competente al rilascio
dell’approvazione definitiva del piano o del progetto acquisisce preventivamente
la valutazione di incidenza eventualmente individuando modalità di consultazione
del pubblico interessato dalla realizzazione del piano o del progetto
.

8. Qualora, nonostante le conclusioni
negative della valutazione di incidenza sul sito ed in mancanza di soluzioni
alternative possibili, il piano o progetto debba essere realizzato per motivi
imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale
ed economica, le amministrazioni competenti adottano ogni misura compensativa
necessaria per garantire la coerenza globale della rete “Natura 2000”
e
ne danno comunicazione al Ministero dell’ambiente per le finalità di
cui all’articolo 13 del presente regolamento.

9. Qualora nei siti ricadono tipi di habitat
naturali e specie prioritari il piano o il progetto di cui sia stata valutata
l’incidenza negativa sul sito di importanza comunitaria, può essere realizzato
soltanto con riferimento ad esigenze connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza
pubblica o con esigenze di primaria importanza per l’ambiente, ovvero, previo
parere della Commissione europea, per altri motivi imperativi di rilevante interesse
pubblico.

Articolo 6
Zone di protezione speciale

1. Gli obblighi derivanti dall’articolo
4, commi 2 e 3, e dall’articolo 5 del presente regolamento si applicano anche
alle zone
di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 11 febbraio 1992,
n. 157.

Articolo 7
Monitoraggio

1. Le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano adottano le idonee misure per garantire il monitoraggio
dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse
comunitario
, con particolare attenzione a quelli prioritari, dandone comunicazione
al Ministero dell’ambiente.
2. Il Ministero dell’ambiente definisce con proprio decreto, sentiti
per quanto di competenza il Ministero per le politiche agricole e l’Istituto
nazionale per la fauna selvatica, le linee guida per il monitoraggio.

 

* * *

L’ARTICOLO DELLA NUOVA SARDEGNA

"Ecco perché
Is Arenas va bocciata".

Il parere motivato di Bruxelles sulla condanna
al governo italiano
Ma le responsabilità politiche sono della Regione Sardegna.

di Piero Mannironi

 

CAGLIARI. – La condanna è formalmente
per l’Italia, ma, politicamente, la censura è tutta per la Regione Sardegna.
In quello che tecnicamente si chiama “parere motivato”, cioè le ragioni
giuridiche sulle quali si fonda la sentenza, l’Ue non ha dubbi: "L’Italia
è venuta meno agli obblighi derivanti dall’articolo 10 del trattato,
in combinazione con l’articolo 6 della direttiva 92/43/Cee". E sulla base
di questa responsabilità oggettiva riconosciuta, il nostro Paese viene
sottoposto all’articolo 226, secondo comma, del trattato sul quale si fonda
la comunità europea: "La Commissione invita la Repubblica italiana
ad adottare le misure necessarie per conformarsi al presente parere motivato
entro e non oltre il termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica".
Firmato: Margot Wallström, membro della Commissione.

Il caso in questione è ovviamente quello
di Is Arenas, la pineta sulle dune boscate costa di Narbolia, dove una società
controllata da una holding svizzero-olandese ha costruito un campo da golf.
Ma soprattutto dove intende realizzare un investimento immobiliare da oltre
220 mila metri cubi di cemento. Un caso che ha finora scatenato una tempesta
di polemiche e che ha provocato un conflitto istituzionale senza precedenti
in Sardegna. Nell’aprile dello scorso anno, infatti, l’ex ministro dell’Ambiente
Edo Ronchi aveva spedito i carabinieri del Noe a Villa Devoto per notificare
al presidente della giunta Mario Floris un atto di diffida. Sicuramente un modo
molto ruvido per costringere la Regione a uniformarsi alla normativa europea
e nazionale in materia ambientale. Ma sarebbe ingiusto dimenticare che quel
blitz, politicamente infelice, era stato preceduto da una bordata di attacchi,
perfino insultanti, partiti da alcuni ambienti politici sardi all’indirizzo
del ministro. Questo per dovere di verità. Un momento delicatissimo di
una polemica incandescente, ma sicuramente anche la prova che le inadempienze,
o comunque i comportamenti e le scelte non conformi alle norme comunitarie,
sono soprattutto della Regione.

La "sentenza" della Commissione è
articolata in 16 cartelle. Sedici pagine nelle quali vengono affrontati i problemi
legati al "caso Is Arenas" con pedante pignoleria giuridica. Il punto
centrale, cioè il nodo di tutta la questione, è comunque nella
premessa della "sentenza". In quegli otto punti nei quali vengono
riassunti i capisaldi del diritto comunitario in materia ambientale. Ed è
proprio qui la chiave di una vicenda che è apparsa spesso un conflitto
ideologico e politico, uno scontro tra ambientalisti e imprenditori, una guerra
tra chi combatte per la salvaguardia della natura e chi invece persegue obiettivi
economici. Magari utilizzando parole come "lavoro e sviluppo" come
specchietto per le allodole. E invece no. Prima di tutto c’è un problema
di natura giuridica, un problema di regole che devono essere rispettate.

Insomma, una cornice di garanzie che i paesi dell’Unione
europea si sono dati per trovare un punto di equilibrio nella loro convivenza.
Citando l’articolo 4, comma 5 della direttiva 92/43/Cee, il commissario Wallström
stabilisce un punto di chiarezza: "Non appena un sito è iscritto
nell’elenco dei Siti di importanza comunitaria (Sic) adottato dalla Commissione,
esso è soggetto alle disposizioni dell’articolo 6". Su questa affermazione,
i favorevoli al progetto di Is Arenas hanno recentemente sostenuto che la lista
comunitaria non è stata adottata. Come dire: un Sic è soggetto
o meno a una serie di tutele solo dopo un procedimento burocratico di riconoscimento.
Ma la Commissione spiega che gli Stati membri "avrebbero dovuto trasmettere
l’elenco dei Sic proposti entro il 10 giugno 1995 e la Commissione avrebbe dovuto
adottare la lista comunitaria entro il 10 giugno 1998. Questa lista comunitaria
non ha potuto essere adottata a causa dei ritardi nella presentazione degli
elenchi nazionali completi dei siti proposti". Ma una serie di sentenze
della Corte di giustizia europea ha stabilito un orientamento chiarissimo che
non conosce deroghe o eccezioni: "Dal 10 giugno 1998, anche in mancanza
di un elenco comunitario dei Sic, gli obblighi di protezione e di conservazione
dei siti sensibili dal punto di vista dell’ambiente esistono già in capo
agli Stati membri". E qui è necessario un piccolo inciso, dando
una risposta a una semplicissima domanda: chi ha segnalato i Siti di interesse
comunitario della Sardegna, e quindi anche quello di Is Arenas all’Unione europea?
La risposta è semplice: è stata proprio la Regione. Quindi, la
massima istituzione autonomistica, a prescindere da chi la governa. Ma se si
volesse approfondire il discorso, allora si scoprirebbe che chi ha partecipato
a certi processi nella giunta Palomba, si trova oggi nella nuova maggioranza
di centrodestra e non nasconde il proprio fastidio allo stop all’investimento
immobiliare di Is Arenas.

Ma ritorniamo all’articolo 6 della direttiva 92/43/Cee,
che indica le misure di salvaguardia per i Sic. Al secondo comma si legge: "Gli
Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di
conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché
la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura
in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto
riguarda gli obiettivi della presente direttiva". Nel comma successivo,
si arriva a un’ulteriore specificazione sul come si deve procedere nella tutela
delle aree considerate naturalisticamente pregiate: "Qualsiasi piano o
progetto che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente
o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di un’opportuna valutazione
dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione
del medesimo".

Una premessa, quella della commissaria Wallström,
che sgombera il campo da molte ombre o dubbi interpretativi su quelle che sono
le indicazioni normative dell’Unione Europea. Il parere motivato spiega poi
come si è arrivati all’apertura della procedura di infrazione. Prima
di tutto è stata fatta una valutazione sulle risposte trasmesse dalle
autorità italiane, dopo le richieste d’informazione fatte dall’Ue sul
progetto immobiliare di Is Arenas. E qui, per la Commissione, si sono verificate
tre omissioni. La prima, e più importante, è che non si è
proceduto alla valutazione di impatto ambientale o almeno, non si è correttamente
considerato "se le caratteristiche del progetto, che è un progetto
di cui all’allegato II della direttiva 85/337/Cee, richiedessero una tale valutazione".
A quel punto l’Ue ha messo in mora il governo italiano, in base all’articolo
226 del trattato CE, chiedendo le sue osservazioni entro sessanta giorni. Le
risposte del governo italiano sono arrivate il 30 maggio, l’8 e il 26 giugno
e il 14 luglio 2000. Alla lettera del 30 maggio è stato allegato il provvedimento
inviato dal ministero dell’Ambiente alla Regione Sardegna, con il quale veniva
diffidata la giunta Floris di sospendere o revocare tutti i provvedimenti autorizzativi
già rilasciati, bloccare la prosecuzione dei lavori e di effettuare un
procedimento di valutazione di impatto ambientale. Alla lettera dell’8 giugno,
il governo italiano ha allegato un nota nella quale riferisce che la Regione
Sardegna "non ha inviato le informazioni richieste". Solo il 26 giugno
è arrivata a Bruxelles una comunicazione nota della Regione, nella quale
viene comunicata la "determinazione" (approvazione) di una parte del
progetto della Is Arenas. Cioè il complesso alberghiero da 16.691 metri
cubi, più il campo da golf da 18 buche. Per la Regione questo progetto
non sarebbe da sottoporre alla Via, in quanto non arrecherebbe danni ambientali.

Su questo punto, la Commissione europea prima
osserva che non sono previsti interventi compensativi nel progetto dell’albergo
da 16 mila metri cubi. Non si è pensato, cioè, di attenuare l’impatto
sul sito provocato dall’intervento edilizio. Ma è successivamente, nel
capitolo dedicato alla valutazione giuridico-tecnica, che si osserva: "Un
progetto non può essere preso in considerazione per singoli lotti, per
poi concludere che nessuno dei lotti singolarmente considerati arreca pregiudizio
al sito". A questo punto viene rievocato l’articolo 6, terzo comma, della
direttiva 92/43/Cee dove viene stabilito che "l’impatto di progetti anche
diversi, ma correlati ai fini del possibile impatto cumulativo su un sito, devono
essere considerati congiuntamente". "A maggior ragione – commenta
la Commissione – le autorità di uno Stato membro non possono valutare
isolatamente i differenti impatti che fanno capo a un solo progetto, come nel
caso del progetto di lottizzazione di Is Arenas, che riguarda complessi alberghieri
per ben 220-240 mila metri cubi e un percorso golfistico". C’è poi
il lungo capitolo dedicato al campo da golf. Per la commissaria Wallström,
la ratio della normativa europea è quella di esprimere una valutazione
ex ante, cioè prima della realizzazione del progetto, mentre nel caso
del campo da golf, la valutazione è stata fatta successivamente. Dopo
un attento esame, corredato da riferimenti normativi e da pareri tecnici, l’Ue
arriva alla conclusione che anche il campo da golf non è compatibile
con le direttive europee. E infatti nel parere si legge: "La Commissione
ritiene che il campo da golf abbia un impatto significativo sul sito. Questo
impatto è idoneo a mettere in pericolo il mantenimento del sito in uno
stato favorevole di conservazione e, pertanto, dato che il sito in questione
contiene habitat prioritari (che risultano alterati in modo sostanziale) e possiede
i requisiti per meritare di essere iscritto nell’elenco comunitario dei Sic,
è anche idoneo a mettere in pericolo il raggiungimento degli obiettivi
della direttiva".

Giurisprudenza comunitaria alla mano, la Commissione
affronta poi il problema della tutela dei siti sensibili, anche in mancanza
di un elenco comunitario dei Sic. "Dal 10 giugno 1998 – dice infatti –
gli obblighi di protezione e di conservazione dei siti sensibili dal punto di
vista dell’ambiente esistono già in capo agli Stati membri, anche in
mancanza di un elenco comunitario dei Sic". E questo perché gli
obblighi della direttiva non devono essere compromessi e "gli Stati membri
devono astenersi da tutte quelle attività che possono essere fonte di
degrado degli habitat naturali". Per concludere, il giudizio sulla determinazione
899 della Regione, che autorizza la costruzione dell’albergo da 16 mila metri
cubi e ratifica la costruzione del campo da golf: "Si basa su valutazioni
errate; considera il progetto solo parzialmente; ha approvato la costruzione
di un progetto che è stato, in realtà, già costruito; non
contiene la previsione di misure compensative. Pertanto è un provvedimento
che compromette il mantenimento in buono stato di conservazione del sito e,
di conseguenza, poiché il sito contiene habitat prioritari (che sono
alterati in modo sostanziale) e merita di apparire sull’elenco comunitario dei
Sic, mette in pericolo il raggiungimento del risultato prescritto dalla direttiva".

Ora l’orologio si è messo in moto. "In
applicazione dell’articolo 226, secondo comma del trattato CE – si legge nel
parere motivato – la Commissione invita la Repubblica italiana ad adottare le
misure necessarie per conformarsi al presente parere motivato entro e non oltre
il termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica". Questo significa
che sono scattati i sessanta giorni entro i quali il governo italiano dovrà
ottemperare. E’ facile immaginare che ogni iniziativa, dopo le polemiche e i
veleni di quest’ultimo anno, è destinata a innescare reazioni molto forti.
Anche politicamente. Ma se l’Italia non rispondesse all’invito della Commissione
europera cosa potrebbe accadere? la risposta è obbligata: si aprirà
un vero e proprio processo davanti alla Corte di giustizia europea. E, viste
le premesse, per il nostro Paese (ma anche per la Regione) l’assoluzione
è probabilmente la conclusione meno probabile.

Accordi di programma e piano territoriale paesistico.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI,
sentenza 5 gennaio 2001 n. 25.

La generalizzazione dell’utilizzo
dello strumento dell’accordo di programma tra diverse amministrazioni,
al fine del coordinamento dei diversi pubblici interessi di cui
le medesime sono portatrici, appare in linea con la più generale
tendenza del legislatore a favorire l’esercizio consensuale della
potestà amministrativa.

L’art. 27, comma 5, della
legge n. 142/90 introduce una disciplina specifica per il caso di
variazione degli strumenti urbanistici, senza peraltro limitare
a tale ambito l’utilizzo dello strumento dell’accordo. Non esula
dunque dall’ambito oggettivo di operatività di un accordo
di programma, individuato dal legislatore in modo ampio e generico,
la realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica
di un piano territoriale paesistico.

Il piano paesistico è
finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più
precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone
dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico,
al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesitico-ambientali
con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità,
inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori.

L’effetto giuridico di un
accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti
ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo, nel rispetto,
e non in deroga, delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione.
Laddove la competenza sia attribuita ad un organo collegiale, la
partecipazione all’accordo di diverso organo dello stesso ente non
può sostituire decisioni riservate al primo, a meno che lo
stesso non si sia espresso in via preventiva o salvo espressa disposizione
legislativa in tal senso. In caso contrario, detta partecipazione
comporta l’impegno da parte dell’organo non competente a sottoporre
la questione all’organo cui la competenza è attribuita.

*

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.1648/2000
R.g. proposto dalla Regione Campania, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo
Baroni, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso (ufficio di
rappresentanza della ragione Campania), in Roma, via del Tritone,
n.61;

contro

Associazione "Italia Nostra",
non costituitasi in giudizio,

e nei confronti di

– SPI — Promozione e Sviluppo
Imprenditoriale s.p.a., in persona del presidente del Consiglio
di amministrazione, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso
dagli avv.ti Filippo Satta e Filippo Lattanzi, ed elettivamente
domiciliato presso gli stessi, in Roma, via G.P. da Palestrina,
n.47;

– Ministero per i beni e le
attività culturali, in persona del Ministro pro tempore,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliato presso la stessa,
in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

– Ministero del bilancio e della
programmazione economica, Comitato di coordinamento delle iniziative
per l’occupazione, Provincia di Napoli, Comune di Torre Annunziata,
Consorzio area sviluppo industriale, Ilva in liquidazione s.p.a.,
Società consortile Genesi, non costituitisi in giudizio;

e sul ricorso in appello n.3573/2000
R.g. proposto da IRITECNA s.p.a. in liquidazione, in persona dei
Direttori Generali, rappresentati e difesi dagli avv.ti Lorenzo
Acquarone, Giovanni Gerbi, Gherardo Marone e Ludovico Villani, ed
elettivamente domiciliati presso quest’ultimo, in Roma, Piazzale
Clodio, n.12;

contro

Associazione "Italia Nostra",
non costituitasi in giudizio;

e nei confronti

– Ministero del bilancio e della
programmazione economica e del Ministero per i beni e le attività
culturali, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, costituitisi
in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliati presso la stessa,
in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

– Regione Campania, Comune di
Torre Annunziata, s.p.a. SPI promozioni e sviluppo imprenditoriale,
Consorzio area di sviluppo industriale di Napoli; S.c.a r.l. Genesi,
non costituitisi in giudizio;

per l’annullamento

della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania,
Sezione I, n.2911/99 pubblicata il 10-11-99;

Visti i ricorsi con i relativi
allegati;

Visti gli atti di costituzione
in giudizio delle amministrazioni suindicate e della SPI s.p.a.;

Viste le memorie prodotte dalle
parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 14
luglio 2000 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi, l’Avv. Acquarone
per l’Iritecna s.p.a., l’Avv. Ciotti per delega dell’Avv. Baroni
per la Regione Campania el’Avv. Lattanzi per la S.P.I. s.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto
e in diritto quanto segue:

FATTO

L’associazione Italia Nostra
proponeva ricorso davanti al TAR per la Campania chiedendo l’annullamento
del decreto n.15295 del 12.10.1996, con cui il Presidente della
regione Campania aveva approvato e reso esecutivo l’accordo
di programma stipulato in data 4.7.1996 tra la Regione Campania,
il Comitato di coordinamento delle iniziative per l’occupazione,
il Ministero del bilancio e della programmazione economica, il Ministero
dei beni culturali ed ambientali, l’amministrazione provinciale
di Napoli, il Comune di Torre Annunziata, il Consorzio ASI di Napoli,
con l’adesione dell’Ilva in liquidazione s.p.a. e della
S.P.I. s.p.a.

L’accordo prevedeva la
realizzazione di un programma per la reidustrializzazione, il riassetto
territoriale e lo sviluppo economico dell’area Torrese-Stabiese.

Con l’impugnata sentenza
il TAR per la Campania accoglieva il ricorso sotto il profilo dell’inidoneità
dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre modifiche
alle previsioni contenute in un Piano Territoriale Paesistico.

Con il ricorso in appello in
epigrafe la Regione Campania ha chiesto l’annullamento della
menzionata sentenza, deducendo i seguenti motivi:

a) errata applicazione dell’art.27
della legge n.142/90, che non impedisce di utilizzare lo strumento
dell’accordo di programma anche per variare le previsioni contenute
in P.T.P.;

b) erroneità della sentenza
del TAR, che non ha tenuto conto del fatto che il P.T.P. era stato
approvato con atto del Ministro, il quale aveva partecipato alla
stipula dell’accordo.

Con separato ricorso anche l’IRITECNA
s.p.a. chiedeva l’annullamento della sentenza deducendo la
violazione e falsa applicazione dell’art.27 della legge n.142/90,
potendo l’accordo di programma essere utilizzato per modificare
sia la disciplina paesistica, sia piani territoriali ultra comunali.

Si costituivano in giudizio
la SPI — Promozione e Sviluppo Imprenditoriale s.p.a., il Ministero
del bilancio e della programmazione economica e il Ministero per
i beni e le attività culturali chiedendo l’accoglimento
dell’appello, mentre, benché regolarmente intimata,
non si costituiva l’associazione Italia Nostra.

All’odierna udienza le
due cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere
disposta la riunione del ricorso n.3573/2000 al ricorso n.1648/2000,
in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Oggetto del presente giudizio
di appello è un’unica questione di diritto: l’idoneità,
o meno, dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre
modifiche delle previsioni contenute in un Piano Territoriale Paesistico.

L’Avvocatura Generale dello
Stato ha chiesto un’autorevole pronuncia su tale punto ed anche
sulla diversa questione della partecipazione di terzi nelle fattispecie
in cui le amministrazioni si determinano a perseguire la propria
attività con moduli convenzionali, quali l’accordo di
programma, in luogo di procedure amministrative "aperte".

Tale ulteriore censura, mossa
in primo grado e relativa all’omessa partecipazione all’accordo
delle associazioni ambientalistiche, è stata assorbita dal
TAR e non è stata riproposta in appello; non deve pertanto
essere esaminata, in quanto rinunciata a seguito della mancata costituzione
in giudizio dell’associazione appellata, vittoriosa in primo
grado

La giurisprudenza ha, infatti,
chiarito che i motivi del ricorso proposti al TAR, se assorbiti
e non esaminati, sono soggetti al principio espresso dall’art.346
c.p.c. e che la preclusione sussiste anche quando l’appellato
vittorioso non si è costituito nel giudizio di appello (cfr.,
Cons. Stato, Ad. Plen., n.1/1999 e Cons. Stato, VI, n.1274/99).

3.1. Il giudice di primo grado,
dopo aver respinto alcune eccezioni preliminari (non oggetto di
appello), ha accolto il ricorso rilevando che l’art.27 della
legge n.142/90 limita l’utilizzo di accordi di programma, consentendo
solo la modifica degli strumenti urbanistici di competenza comunale.

Tale interpretazione ha condotto
il TAR a ritenere l’illegittimità dell’accordo
in esame sotto un duplice profilo: la natura paesistica, e non urbanistica,
del P.T.P. modificato e l’ambito ultra comunale del piano.

3.2. Prima di procedere all’esame
della prospettata questione di diritto, appare opportuno precisare
il contenuto delle modifiche al P.T.P., apportate dall’accordo
di programma.

Con l’accordo, nel prevedere
la realizzazione di un progetto di reindustrializzazione, di riassetto
territoriale e di sviluppo economico dell’area costiera di
Torre Annunziata e, in particolare, dell’ex tubificio Dalmine
Ilva, è stato stabilito che "la variante al piano territoriale
paesistico sarà approvata con decreto del Presidente della
Giunta Regionale ai sensi dell’art.27 della legge n.142/90".

Attraverso tali modifiche la
realizzazione del descritto programma di intervento è stata
inserita tra le opere da eseguire in deroga alle norme di zona (con
specifici indice e parametri) ai sensi dell’art.22, comma 5
delle norme di attuazione del piano territoriale paesistico dei
Paesi Vesuviani.

3.3. Il giudice di primo grado
ha affermato la natura paesistica, e non (solo) urbanistica del
P.T.P. in questione e da ciò ha tratto la conseguenza della
non modificabilità attraverso l’accordo di programma.

La Sezione ritiene di condividere
il primo punto, ma non anche le conseguenze tratte circa l’inidoneità
dello strumento utilizzato.

E’ nota la differenza tra
piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo è
finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più
precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone
dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico,
al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico —
ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità,
inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori
(cfr., Cons. Stato, VI, n.29/1993). Il piano paesistico costituisce
pertanto uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto
precettivo del vincolo paesaggistico, mediante l’individuazione
delle incompatibilità assolute e dei criteri e parametri
di valutazione delle incompatibilità relative, condizionando,
prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione
del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr.,
Corte Cost. n.417/95; Cons. Stato, II, n.548/98).

Al contrario, il piano urbanistico
territoriale, pur avendo anche valenza paesistico — ambientale,
non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e può
anche riguardare ambiti non vincolati.

Sicuramente possono sorgere
problemi interpretativi, connessi al fatto che le due tipologie
si presentano a volte variamente combinate ed intrecciate.

La Corte Costituzionale ha indicato,
quali indici di riconoscimento della categoria dei piani urbanistici
territoriali: l’estensione della loro efficacia all’intero
territorio regionale con l’assenza di un limite territoriale
riferito alle sole zone vincolate, l’utilizzo di tecniche ed
effetti propri degli strumenti di pianificazione urbanistica ancorché
teologicamente orientati verso l’obiettivo preminente della
protezione di valori estetico — culturali e la formulazione
di generali criteri di orientamento per la successiva attività
di pianificazione ovvero di vincoli per l’attività di
utilizzazione e trasformazione del suolo (Corte Cost., n.327/90
e n.378/2000).

Applicando detti criteri al
caso in esame, deve ritenersi la natura paesistica del P.T.P. dei
Paesi Vesuviani, modificato con l’accordo di programma impugnato,
attenendo questo alla fase attuativa della tutela di una particolare
zona sottoposta a vincolo e rientrando nell’attuazione del
vincolo anche una funzione non di mero contenimento e conservazione
dei pregi ambientali, ma anche di valorizzazione e recupero dei
beni protetti.

Come si vedrà oltre,
è comunque irrilevante la questione circa la natura prevalentemente
urbanistica delle prescrizioni contenute nella variante al P.T.P.,
in quanto anche la natura paesistica del piano non è di ostacolo
all’utilizzo dello strumento dell’accordo di programma.

3.4. La Sezione ritiene, infatti,
che la modifica di un piano territoriale paesistico possa rientrare
nel contenuto di un accordo di programma nei sensi di cui si dirà
oltre.

Non appare, infatti, condivisibile
l’interpretazione del TAR, secondo cui l’art.27, commi
4 e 5, della legge n.142/90 limita l’oggetto dell’accordo
di programma alla variazione dei solo strumenti urbanistici.

Con le suddette disposizioni
è stata dettata una disciplina specifica in caso di variazione
degli strumenti urbanistici di competenza comunale, ma non si è
limitato l’utilizzo dello strumento dell’accordo.

Del resto, l’istituto dell’accordo
di programma, già previsto nel nostro ordinamento da alcune
leggi speciali, è stato reso di generale applicazione dall’art.15
della legge n.241/90 e dall’art.27 della legge n.142/90.

Il rapporto tra le due norme
è un rapporto di genere a specie, assumendo gli accordi organizzativi
di cui al citato art.15 una valenza generale e gli accordi di programma
di cui all’art.27 una sotto-categoria relativa ad un’individuata
fattispecie ("definizione ed attuazione di opere, di interventi
o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa
realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di
province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti
pubblici").

In tale definizione devono essere
ricercati i limiti oggettivi dell’accordo, riferendosi le successive
disposizioni dell’art.27 alle modalità e agli effetti
dell’utilizzo dello strumento o alla disciplina di alcune particolari
ipotesi (come appunto quella prevista dai commi 4 e 5).

Non può negarsi che la
generalizzazione dell’utilizzo di tale strumento appare in
linea con l’ancora più generale tendenza del legislatore
a favorire l’esercizio consensuale della potestà amministrativa
(art.11 della legge n.241/90).

Nelle ipotesi di accordi tra
privati ed amministrazione è evidente che l’accordo
con i soggetti interessati garantisce l’esigenza del contemperamento
tra interesse generale ed interessi particolari dei privati e del
rispetto del principio di proporzionalità che impone di perseguire
l’interesse generale con il minor sacrificio possibile per
i privati.

A favore degli accordi tra diverse
amministrazioni pubbliche vi è una ragione aggiuntiva: il
pubblico interesse si presenta, sotto il profilo delle amministrazioni
che devono provvedere alla sua tutela, non come un’entità
unitaria, ma come una realtà frazionata (ciascuna organizzazione
amministrativa se ne occupa sotto uno specifico profilo).

In molti casi solo il positivo
esercizio di più poteri amministrativi autonomi consente
il raggiungimento dei risultati prefissati e l’accordo tra
le amministrazioni interessate costituisce il migliore strumento
per garantire una forma di coordinamento idonea al soddisfacimento
del pubblico interesse (o meglio dei diversi interessi pubblici,
di cui sono portatrici le differenti amministrazioni interessate).

Sulla base di tali considerazioni
di ordine generale risulta ancor più evidente la portata
generale dello strumento dell’accordo di programma, i cui limiti
oggettivi devono essere individuati con il solo riferimento all’ampia
definizione, contenuta nel primo comma dell’art.27 della legge
n.142/90.

L’individuazione dell’ambito
oggettivo in modo ampio, ed anche generico, evidenzia l’intenzione
del legislatore di rendere il più possibile generale lo strumento
dell’accordo di programma.

In tale ambito rientra senz’altro
il progetto per la reindustrializzazione ed il riassetto territoriale
dell’area costiera di Torre Annunziata, attuato con l’accordo
di programma in esame, trattandosi di un programma di intervento
che richiede l’azione integrata di comuni, province e regioni,
amministrazioni statali ed altri soggetti.

Infatti, il termine "interventi
o programmi di intervento", inserito nell’art.27, comma
1, in aggiunta alla "definizione e attuazione di opere"
deve essere interpretato come possibilità di utilizzo dello
strumento non solo per qualsiasi tipo di opera pubblica, ma anche
per la programmazione di attività ulteriori e complementari
rispetto alla realizzazione delle opere (come, nel caso di specie,
i previsti interventi a sostegno dell’occupazione).

3.5. Sulla base delle considerazioni
svolte risulta agevole risolvere la seconda questione prospettata
dagli appellanti: l’assenza di un limite territoriale, che
impedirebbe, secondo quanto affermato dal TAR, di modificare strumenti
(anche urbanistici) ultra comunali.

Anche in questo caso, tale limitazione
non trova fondamento nel dato normativo, in quanto, come già
detto, la previsione dell’art.27, comma 5, della legge n.142/90
introduce una disciplina specifica in caso di variazione degli strumenti
urbanistici di competenza comunale, senza limitare a tale ambito
l’utilizzo dello strumento dell’accordo.

Il riferimento, contenuto nel
primo comma della norma e relativo alla competenza a promuovere
la conclusione dell’accordo, conferma la possibilità
di utilizzare detto strumento anche in caso di opere ed interventi
di ambito provinciale o regionale.

3.6. Accertato, quindi, che
non esula dall’ambito oggettivo di un accordo di programma
la realizzazione di opere ed interventi che comportino la modifica
di un piano territoriale paesistico, deve essere affrontata l’ulteriore
questione relativa agli effetti dell’accordo con particolare
riguardo alla efficacia sostitutiva che tale accordo può
avere in relazione ai provvedimenti amministrativi necessaria in
via ordinaria per raggiungere l’effetto.

Con riguardo al caso in esame
la questione può essere così riportata: può
l’accordo di programma, che prevede anche la variante di un
P.T.P., derogare agli ordinari criteri di competenza, fissati dal
legislatore per l’approvazione di una variante ad un P.T.P.?

La Sezione ritiene di dare riposta
negativa al quesito.

Innanzi tutto, gli effetti discendono
direttamente dall’accordo, in quanto la fonte dell’accordo
è costituita dall’atto convenzionale, su cui è
intervenuto il consenso delle amministrazioni, svolgendo il decreto
di approvazione solo una funzione di esternazione.

L’effetto giuridico di
un accordo di programma è quello di obbligare le parti stipulanti
ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo, nel rispetto
delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione.

In mancanza di espressa disposizione
legislativa non appare, infatti, legittimo alcuno spostamento di
competenze e dal fatto che l’accordo venga approvato dal Presidente
della Regione non può certo derivare che con tale atto, avente
peraltro funzione di mera esternazione, si possano determinare modifiche
agli ordinari criteri di competenza.

In una precedente decisione
della Sezione era già stato rilevato che le funzioni di propulsione
e di approvazione dell’accordo riconosciute (in quel caso)
al sindaco, non implicano, in carenza di espressa previsione normativa,
il trasferimento di funzioni sostanziali che fanno capo al consiglio
comunale (cfr. Cons. Stato, VI, n.182/96)

Ciò comporta che, anche
in sede di conclusione dell’accordo, gli impegni assunti possono
riguardare soltanto ciò che era nella disponibilità
dei soggetti che hanno partecipato all’accordo.

In ipotesi di competenze attribuite
ad organi collegiali, la partecipazione all’accordo di diverso
organo dello stesso ente non può sostituire decisioni riservate
ad altro organo, a meno che tale organo non si sia già espresso
in via preventiva o non vi sia un’espressa previsione normativa.

Ad eccezione di tali ultime
ipotesi, la partecipazione di un organo non competente comporta
l’impegno da parte di questi a sottoporre la questione all’organo
competente, la cui decisione dovrà essere istruita e motivata
anche con specifico riferimento all’accordo di programma (nel
senso che un eventuale decisione in senso diverso da quanto previsto
nell’accordo dovrà essere supportata da adeguata istruttoria
e motivazione).

Del resto, gli appellanti e
la stessa avvocatura dello stato hanno richiamato, a fondamento
della tesi della possibilità di utilizzare lo strumento dell’accordo
di programma per variare piani paesistici, numerose leggi regionali
che prevedono e disciplinano tale ipotesi, argomentando che, qualora
l’art.27 della legge n.142/90 dovesse essere interpretato come
ha fatto il TAR, tali leggi regionali sarebbero tutte costituzionalmente
illegittime per contrasto con l’art.117 della Costituzione.

Si deve, invece, rilevare che
tali leggi, nel disciplinare in modo specifico le modalità
di utilizzo dell’accordo di programma in caso di variazione
di atti di pianificazione territoriale, non si pongono in contrasto
con l’art.27 della legge n.142/90 ed anzi espressamente prevedono
l’utilizzo di detto strumento anche in caso dei c.d. "procedimenti
aperti" alla partecipazioni di terzi, nei quali è prevista
la possibilità di proporre osservazioni e proposte da parte
dei soggetti interessati, di enti o associazioni di categoria.

Al riguardo, come già
detto in precedenza, la questione posta dall’Avvocatura dello
stato circa l’ammissibilità della partecipazione di
terzi in caso di "procedimenti aperti" assorbiti nell’accordo
di programma, è estranea all’oggetto del presente giudizio
di appello, non essendo stato riproposto il motivo assorbito in
primo grado.

Si rileva incidentalmente che
alcune leggi regionali prevedono l’anticipazione alla fase
istruttoria dell’accordo di programma della fase di presentazione
delle osservazioni (v. art.11, commi 4 e 5, della L.R. Toscana n.76/96)
e che, in mancanza di previsione legislativa, devono comunque essere
trovate in via interpretativa analoghe modalità idonee a
consentire la partecipazione al procedimento dei soggetti interessati,
prevista nei procedimenti ordinari (si ribadisce comunque che in
relazione all’accordo in esame tale questione non può
essere fatta valere, non essendo stato riproposto il relativo motivo
di ricorso).

3.7. Non può non rilevarsi,
però, che le stesse leggi regionali prevedono che "qualora
l’accordo di programma comporti modifiche a piani regionali
aventi valenza territoriale queste devono essere approvate dal Consiglio
regionale" (v. art.6 L.R. Lombardia n.14/93; art.6 L.R. Puglia
n.4/95; art.27 L.R. Valle d’Aosta n.11/98; art.7 L.R. Molise
n.17/99) o ratificate dal competente orano consiliare (v. art.11,
comma 7, L.R. Toscana n.76/96).

In nessuna legislazione regionale
è previsto che l’accordo di programma possa derogare
agli ordinari criteri di competenza, previsti per gli atti di programmazione
e pianificazione territoriale.

3.8. Nel caso di specie, quindi,
non essendosi mai pronunciato (né preventivamente, né
successivamente), il Consiglio regionale della Campania, competente
in via ordinaria ad approvare una variante al P.T.P., dall’accordo
di programma poteva derivare solamente l’impegno a sottoporre
per l’approvazione al competente organo consiliare le varianti
al P.T.P..

Secondo l’Avvocatura dello
Stato, anche ammettendo la necessità di una pronuncia del
Consiglio regionale, l’accordo di programma resta validamente
firmato con la conseguenza che solo al momento della effettiva modifica
del vigente P.T.P. sorgerebbe l’interesse al ricorso. Il motivo
addotto in primo grado dalla associazione ricorrente sarebbe, quindi,
inammissibile.

L’eccezione è infondata.

Come detto in precedenza, con
l’accordo di programma le parti stipulanti non si sono limitate
a prevedere la successiva modifica al P.T.P., ma hanno espressamente
convenuto che "la variante al P.T.P. sarà approvata
con decreto del Presidente della Giunta Regionale ai sensi dell’art.27
della legge n.142/90" (art.4, comma 2, dell’accordo).

Ferma restando la validità
dell’accordo per il resto, sussiste certamente l’interesse
al ricorso da parte dell’associazione Italia Nostra quanto
meno in relazione a detta disposizione dell’accordo, con cui
si è voluto espressamente modificare l’ordinario criterio
di competenza per l’approvazione di una variante al P.T.P..

Al riguardo, si osserva che,
come riconosciuto dal giudice di primo grado, l’originario
ricorso è nella sostanza diretto a contestare l’accordo
di programma e non solo il decreto di approvazione, avente funzione
di esternazione.

Infatti, pur potendosi ricavare
dalla stessa epigrafe del ricorso che l’impugnazione era diretta
anche contro l’accordo di programma, comunque, anche argomentando
diversamente, l’oggetto del giudizio deve essere individuato
in base a criteri sostanziali e non formali, verificando, anche
in base ai motivi, gli atti (pur non espressamente indicati tra
quelli impugnati) contro i quali il ricorrente ha mosso specifiche
doglianze (cfr., Cons. Stato, IV, n.465/1981). E non vi è
dubbio che i motivi di ricorso fossero diretti avverso l’accordo
in questione.

3.9. Premesso che l’accordo
di programma non può modificare gli ordinari criteri di competenza,
stabiliti per l’approvazione di un P.T.P., deve essere affrontata
un’ulteriore questione sollevata dagli appellanti: la rilevanza
a tal fine della partecipazione all’accordo del Ministro per
i beni e le attività culturali in considerazione del fatto
che il P.T.P. variato era stato approvato, in via sostitutiva, dallo
stesso Ministro.

A prescindere dal fatto che
l’accordo ha previsto l’approvazione della variante con
decreto del Presidente della Giunta Regionale e non con atto del
Ministro, si osserva che è del tutto irrilevante che il P.T.P.
in questione sia stato approvato dal Ministro.

Il P.T.P. è stato approvato
dal Ministro, che ha esercitato i poteri sostitutivi spettanti ai
sensi dell’art.1 bis, comma 2, della legge n. 431/85 in caso
di inerzia della Regione ad approvare i piani paesistici o i piani
urbanistico territoriali nel termine previsto.

La scadenza del termine per
l’approvazione dei piani da parte delle Regioni non determina
la decadenza dal potere di provvedere (cfr., Cons. Stato, VI, n.1560/98)
ed anche l’esercizio dei poteri sostitutivi statali (avvenuto
nel caso in esame) non determina l’esaurimento dei poteri regionali.

Al contrario, il potere sostitutivo,
comprensivo dell’adozione dei suddetti piani, ha come presupposto
l’inerzia della regione e l’assenza del piano paesistico
o del piano urbanistico territoriale.

Una volta esercitato il potere
sostitutivo da parte dello Stato, viene meno l’esigenza di
dare attuazione al primario interesse, costituito dal valore estetico
— culturale del paesaggio e di conseguenza cessa il presupposto
per l’esercizio del potere sostitutivo, rientrando nell’ordinaria
competenza della regione l’approvazione di varianti al piano
od anche la sostituzione del piano con altro successivo.

In sostanza, in relazione all’approvazione
dei piani ai sensi dell’art.1 bis della legge n.431/85, il
potere sostitutivo è esercitabile una tantum e non
attribuisce all’amministrazione statale anche il potere di
procedere alle varianti del piano.

Del resto, nella fase istruttoria
dell’accordo di programma, era stato lo stesso Ministero a
precisare che la variante al P.T.P. era di competenza della regione.

Infatti, nella nota del 22.2.2000,
prodotta dall’Avvocatura dello Stato, viene riepilogato l’iter
procedimentale preliminare alla conclusione dell’accordo e
viene evidenziato che durante la riunione tecnica del 14.5.1996
"il Ministero si dichiarava disponibile ad un approfondito
riesame della normativa del P.T.P., precisando comunque che la variante
di tale normativa era di competenza della Regione".

Ciò dimostra che il Ministero
non ha partecipato all’accordo nella veste di soggetto competente
ad approvare la variante al P.T.P..

Non può, quindi, dubitarsi
che la competenza ordinaria in ondine all’approvazione della
variante al P.T.P. spetta al Consiglio regionale della Campania,
che non si è, invece, mai pronunciato in merito.

4. Le considerazioni svolte
conducono a ritenere solo parzialmente fondati i ricorsi in appello
proposti, nel senso che l’accoglimento del motivo proposto
in primo grado non travolge l’intero accordo di programma ed
il suo decreto di approvazione, ma sola parte dell’accordo
(esternata con il decreto) in cui è specificato che la variante
al P.T.P. sarà approvata con decreto del Presidente della
Giunta Regionale (art.4, comma 2 dell’accordo).

Ne consegue che l’accordo
di programma resta valido e che dall’accordo deriva l’impegno
degli organi regionali intervenuti a sottoporre la variante al P.T.P.
al competente Consiglio regionale per l’approvazione.

In conclusione, gli appelli
riuniti devono essere accolti in parte ed, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, deve essere disposto l’annullamento
della sola parte degli atti impugnati, in cui è prevista
l’approvazione della variante al P.T.P. con decreto del Presidente
della Giunta Regionale (art.4, comma 2 dell’accordo, approvato
con il decreto del Presidente della Giunta regionale), anziché
da parte del competente Consiglio regionale.

5. Ricorrono giusti motivi per
compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in appello
indicati in epigrafe, li accoglie in parte e per l’effetto,
in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti
impugnati nei limiti e nei sensi di cui in parte motiva.

Compensa tra le parti le spese.

Ordina che la presente decisione
sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma,
il 14-7-2000 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI
-, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI Presidente

Sergio SANTORO Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere

Paolo D’ANGELO Consigliere

Roberto CHIEPPA Consigliere
Est.

CARMEN MUCIO

Modificabilità
di un piano territoriale paesistico mediante accordi di programma
(*)

 

Con la sentenza n. 25/2001 il
Consiglio di Stato si pronuncia sulla questione dell’idoneità
dello strumento dell’accordo di programma ad introdurre modifiche
al contenuto di un piano territoriale paesistico.

La decisione offre significativi
spunti di riflessione, sui quali ci si soffermerà dopo una
breve analisi del contesto normativo, volta ad approfondire le due
seguenti questioni:

1) la portata e l’ambito di
applicazione dello strumento dell’accordo di programma concluso
tra diverse pubbliche amministrazioni, anche in relazione alla complessa
ed articolata procedura prevista dall’articolo 27 della legge n.
142/1990, come modificato dall’articolo 17 della legge n. 127/1997
(1, 0, 0);

2) la natura e le caratteristiche
di un piano territoriale paesistico ed i rapporti tra pianificazione
paesistica e territoriale.

La vicenda

L’associazione Italia Nostra
propone ricorso al TAR per l’annullamento del decreto con cui il
Presidente della regione Campania ha approvato e reso esecutivo
l’accordo di programma stipulato nel luglio 1996 tra la Regione,
il Comitato di coordinamento per l’occupazione, il Ministero del
tesoro, il Ministero dei beni culturali ed ambientali, l’amministrazione
provinciale di Napoli, il Comune di Torre Annunziata, il Consorzio
ASI di Napoli, con l’adesione dell’Ilva in liquidazione e della
SPI s.p.a., il quale prevedeva la realizzazione di un programma
per la reindustrializzazione, il riassetto territoriale e lo sviluppo
economico dell’area Torrese-Stabiese.

Il TAR accoglie il ricorso ritenendo
lo strumento dell’accordo di programma non idoneo alla modifica
delle previsioni di un piano territoriale paesistico.

Ricorre in appello la Regione,
chiedendo l’annullamento della decisione per errata applicazione
dell’articolo 27 della legge n. 142/90 e per non avere il TAR tenuto
conto del fatto che il piano paesistico è stato approvato
con atto del Ministro. Anche la IRITECNA s.p.a. chiede l’annullamento
della sentenza per violazione e falsa applicazione del citato articolo
27. Si costituiscono in giudizio la SPI, il Ministero del tesoro
e il Ministero per i beni e le attività culturali chiedendo
l’accoglimento dell’appello.

Il Consiglio di Stato dispone
la riunione dei due ricorsi in quanto proposti avverso la medesima
sentenza. Dopo un’analisi del contenuto delle modifiche apportate
dall’accordo di programma al piano territoriale paesistico, anche
in relazione al fatto che l’accordo prevedeva che la variante al
piano fosse approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale,
i giudici dichiarano di condividere la tesi accolta dal tribunale
amministrativo della natura paesistica e non solo urbanistica del
piano territoriale paesistico, ma, a differenza del giudice di prime
cure, ritengono che la modifica di detto piano può costituire
il contenuto di un accordo di programma, strumento di portata generale
in relazione all’ambito oggettivo che lo stesso può interessare.
Quanto agli effetti dell’accordo, ed in particolare alla sua eventuale
efficacia sostitutiva di provvedimenti amministrativi, i giudici
di Palazzo Spada affermano che esso non può derogare agli
ordinari criteri di competenza fissati dal legislatore per l’approvazione
di una variante ad un piano territoriale paesistico. Irrilevante
in proposito risulta poi il fatto che il piano in questione sia
stato approvato dal Ministro nell’esercizio dei poteri sostitutivi
di cui all’articolo 1-bis della legge n. 431/1985.

Per quanto sopra esposto, i
ricorsi proposti in appello vengono giudicati parzialmente fondati.
Viene dunque disposto l’annullamento della parte degli atti impugnati
che prevede l’approvazione della variante al piano paesistico con
decreto del Presidente della Regione, ferma restando la validità
del contenuto dell’accordo di programma in quanto determinante l’impegno
degli organi regionali intervenuti a sottoporre la variante medesima
al competente Consiglio per l’approvazione.

L’accordo di programma

La produzione normativa degli
ultimi anni si caratterizza per lo sforzo di recupero della funzionalità,
dell’efficienza e dell’efficacia degli apparati amministrativi,
anche tramite il ricorso a strumenti e moduli mutuati dal diritto
privato. In tale ottica può essere inquadrata la diffusa
tendenza del legislatore a favorire l’esercizio consensuale e negoziale
della potestà amministrativa (2).

Tra i più importanti
modelli convenzionali propri del c.d. nuovo contrattualismo amministrativo,
ormai alquanto diffusi sia nella legislazione che nella prassi,
rientrano gli accordi stipulati tra pubbliche amministrazioni e
privati nonché quelli conclusi tra diversi soggetti pubblici
(3).

La funzione degli accordi tra
amministrazioni consiste in primo luogo nell’attuare un coordinamento
dell’azione dei diversi apparati amministrativi, in quanto portatori,
ciascuno in un determinato ambito, di uno specifico e ben delimitato
interesse pubblico, riducendo così i possibili conflitti
di competenza e le divergenze di indirizzi operativi (4). Ancora,
lo strumento consente di accelerare l’iter di formazione dei provvedimenti
mediante l’azione concertata tra le amministrazioni interessate,
evitando, nell’ottica di una sempre maggiore flessibilità
e semplificazione dei procedimenti, inutili duplicazioni (5).

Particolare rilievo in tale
contesto assume l’istituto dell’accordo di programma, figura organizzatoria
che, concepita in un primo momento nel quadro di una legislazione
speciale (6), approda, con le leggi sul procedimento amministrativo
e di riforma dell’ordinamento delle amministrazioni locali, ad una
normativa di principio, divenendo un istituto di generale applicazione
(7).

L’oggetto dell’accordo di programma
si può definire con riferimento alle competenze di più
soggetti pubblici nella realizzazione di “opere, interventi ovvero
programmi di intervento” (8): si tratta evidentemente di un ambito
alquanto ampio ed elastico, che comprende in sostanza tutte le opere,
gli interventi ed i programmi di competenza regionale, provinciale
o comunale. La legge n. 127/1997, come è noto, con i commi
8-10 dell’articolo 17, ha integrato e modificato la norma in esame
(9), estendendo in particolare l’istituto in argomento all’approvazione
di opere pubbliche comprese nei programmi dell’amministrazione e
per la cui realizzazione siano immediatamente utilizzabili i relativi
finanziamenti.

Possono partecipare quali soggetti
dell’accordo tutti i soggetti pubblici che devono necessariamente
essere coinvolti nel procedimento preliminare rispetto alla decisione
(10).

L’iniziativa compete al titolare
delle attribuzioni “primarie o prevalenti”, il quale convoca una
preventiva conferenza di carattere istruttorio (11), che costituisce
un segmento endoprocedimentale sostitutivo della c.d. fase preparatoria
del procedimento e la cui funzione consiste nel verificare la volontà
di ciascun partecipante rispetto alla stipula dell’accordo. Tale
conferenza si conclude con l’espressione del consenso unanime di
tutti i rappresentanti delle amministrazioni coinvolte (12), in
mancanza del quale il procedimento si arresta (13).

L’accordo raggiunto viene formalizzato
con la sottoscrizione di un documento, al quale segue l’approvazione
con atto formale dell’autorità che lo ha promosso (14).

Con riferimento alle varie fasi
del procedimento descritte, sorge il problema del momento in cui
si determinano gli effetti giuridici dell’accordo di programma.
In altri termini, ci si chiede se essi nascano dall’accordo o dall’atto
di approvazione. La tesi prevalente in dottrina è quella
secondo cui tale effetti sono prodotti dalla convenzione, mentre
all’approvazione si demanda il momento della esternazione, di verifica
della regolarità formale delle decisioni, contro il quale
devono essere indirizzate le eventuali contestazioni di terzi. La
norma, si osserva, prevede espressamente taluni precisi effetti
giuridici: se l’accordo viene adottato con decreto del Presidente
della Regione, produce gli effetti dell’intesa di cui all’articolo
81 del D.P.R. n. 616/1977, determinando le eventuali variazioni
degli strumenti urbanistici vigenti, con valore di concessioni edilizie.
Inoltre, ove esso comporti variazione degli strumenti urbanistici,
l’adesione del Sindaco deve essere ratificata dal Consiglio comunale
entro 30 giorni a pena di decadenza (15).

Ancora, ci si chiede se dall’accordo
di programma nascano vere e proprie obbligazioni, in modo da consentire
la qualificazione dello stesso come contratto, oppure se esso sia
riconducibile all’area del diritto pubblico, risolvendosi la c.d.
contrattualizzazione della procedura in una mera adozione di metodo
(16). Dalle due impostazioni derivano conseguenze rilevanti sotto
il profilo della disciplina: se infatti secondo gli autori che propendono
per la natura contrattuale dall’accordo nasce un vero e proprio
obbligo di esercitare la funzione amministrativa nel senso concordato,
per quanti invece sposano la tesi dell’accordo come preliminare
ai provvedimenti concordati l’effetto sarebbe solo quello di vincolare
l’amministrazione nel senso che l’esercizio del potere in violazione
dell’accordo si pone come illegittimo se non sorretto da specifiche
motivazioni in punto di interesse pubblico.

Tutto ciò premesso sull’istituto
accordo di programma, si cercherà qui di seguito di approfondire
la questione del ruolo che lo stesso può assumere nell’ambito
della pianificazione territoriale ed urbanistica.

Piano paesistico e pianificazione
territoriale

I piani paesistici sono stati
previsti e regolati per la prima volta dal legislatore con l’articolo
5 della legge n. 1497/1939 e con gli articoli 23 e 24 del relativo
regolamento, approvato con il R.D. n. 1357/1940 (17). Tale normativa,
rivolta alla protezione non di insiemi aventi rilievo paesaggistico,
ma di specifiche bellezze naturali, prescriveva un complesso procedimento
di individuazione di specifiche zone da sottoporre a vincolo in
quanto di particolare pregio ambientale ed introduceva il piano
territoriale paesistico quale strumento avente ad oggetto le cosiddette
bellezze di insieme (18). I decenni successivi sono stati caratterizzati,
anche in relazione alle innumerevoli pressioni ed aggressioni sul
contesto ambientale, da una accresciuta sensibilità per il
tema della tutela del paesaggio. In tale contesto, sulla scorta
della convinzione che gli aspetti fisico, naturalistico, estetico,
antropico, socio-economico e giuridico, tutti meritevoli di tutela,
devono trovare la giusta sede di composizione proprio nella pianificazione
territoriale, si è notevolmente ampliata la nozione di ambiente
(19).

Con il D.P.R. n. 8/1972 sono
state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative in materia
urbanistica, nonché la redazione e l’approvazione dei piani
territoriali paesistici (20). Con il D.M. 21 settembre 1984 si è
proceduto, in un ormai diverso contesto di rapporti tra Stato e
Regioni, all’integrazione delle bellezze naturali contemplate negli
elenchi previsti dalla legge n. 1497/1939, considerate non più
singolarmente, ma come insiemi organici.

E’ peraltro con la successiva
legge n. 431/1985 (21) che il tema della salvaguardia paesistica
affrontato dalla legge del 1939 viene dilatato: la tutela ambientale
viene infatti intesa non più in senso puntuale, ma globale
e pianificatorio (22). Oltre ad integrare ex lege, mediante modifiche
dell’articolo 82 del D.P.R. n. 616/1977, gli elenchi delle bellezze
naturali, sottoponendo dunque una serie di immobili a vincolo paesaggistico
e dichiarando di interesse paesistico vaste parti del territorio
nazionale, tale normativa ha previsto, all’articolo 1-bis, la redazione
obbligatoria da parte delle Regioni di “piani paesistici o di piani
urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori
paesistici ed ambientali”, recanti la “normativa d’uso e di valorizzazione
ambientale” dei rispettivi territori con riferimento ai beni ed
alle aree di cui al comma 5 del citato articolo 82, come integrato
dalla legge Galasso (23).

Agli strumenti urbanistici,
come è noto, è attribuita la funzione di indicare
le specifiche destinazioni d’uso delle aree e degli edifici. I piani
paesistici, viceversa, non possono imporre determinate scelte tra
gli usi compatibili con la bellezza panoramica o per la stessa non
pregiudizievoli, né stabilire prescrizioni generali da specificare
ed attuare mediante uno strumento urbanistico comunale: ciò
sarebbe infatti in contrasto sia con il contenuto dello strumento
stesso, sia con le norme legislative sul rapporto tra i vari livelli
di pianificazione urbanistica. Nonostante tale differenza di fondo,
non è comunque escluso che un piano meramente urbanistico,
anche sovracomunale, preordinato alla definizione urbanistica del
territorio, ponga norme a tutela dell’ambiente, senza per questo
doversi definire piano di settore ambientale, né che un piano
paesistico, piano di settore preordinato alla tutela di interessi
pubblici diversi da quelli puramente urbanistici, possa assumere,
quanto al suo contenuto, rilevanza urbanistica (24).

Andando oltre, ed accogliendo
la prospettiva secondo cui ogni trasformazione del territorio, comunque
finalizzata, dovrebbe essere compatibile con la salvaguardia dell’ambiente,
non può non rilevarsi da un lato che ogni piano territoriale
regionale dovrà assumere anche una “valenza paesistica”,
che ne è una delle condizioni essenziali ed una delle materie
d’obbligo, dall’altro che ogni piano paesistico, che pure presuppone
la sussistenza di vincoli (25), riguarderà sia beni soggetti
a vincolo paesaggistico che beni non vincolati, nell’ottica
dell’individuazione di ambiti che siano significativi a fini
pianificatori. In tal senso il piano paesistico si configura come
strumento finalizzato non solo ad impedire interventi pregiudizievoli
alla bellezza panoramica ed al valore paesistico riconosciuto alle
vaste località assoggettate a vincolo, ma anche a tracciare
i lineamenti dell’assetto territoriale ed a perseguire la tutela
del territorio promuovendone, per ampie aree, il recupero ed il
restauro ambientale (26).

Proprio la previsione, contenuta
nell’articolo 1-bis della legge n. 431/1985, dell’uso alternativo
di due strumenti operativi – il piano territoriale paesistico, a
contenuto attuativo diretto, o il piano territoriale regionale,
piano territoriale urbanistico con specifica considerazione dei
valori paesistici ed ambientali – determina singolari sviluppi dei
rapporti tra pianificazione territoriale e pianificazione paesistica
(27). La disposizione, che si configura come norma assolutamente
generica in materia di tutela ambientale (28), da un lato sembra
consentire un generale ampliamento del contenuto del piano paesistico,
eliminando la necessaria e sostanziale distinzione del medesimo
rispetto al contenuto dei piani urbanistici (29). D’altro canto,
la legge n. 431, non prevedendo espressamente una sottordinazione
dei piani urbanistici rispetto ai piani paesistici – come ad esempio
è prescritto per i piani regolatori rispetto ai piani territoriali
di coordinamento -, delinea tra le due tipologie di strumenti un
rapporto di sostanziale separazione giuridica ed autonomia, potenziale
causa in concreto di molteplici inconvenienti (30).

In relazione a tale assetto
normativo, ed in considerazione del fatto che la pianificazione
paesistica non può configurarsi come un processo autonomo
od autarchico, dovendosi la stessa integrare nella pianificazione
territoriale – che a sua volta non può trascurare la salvaguardia
e la valorizzazione del territorio nel momento in cui ne postula
un’utilizzazione più razionale e/o una migliore fruizione
-, da tempo si auspicava dunque una riforma della legislazione sui
beni culturali che prevedesse, accanto alle funzioni di protezione
e di conservazione dei beni culturali, anche una tutela attiva degli
stessi, tramite un impegno comune in tal senso di tutte le istituzioni
pubbliche volto al coordinamento delle relative competenze. Il tutto
nell’ottica di “un principio di unità negli strumenti di
pianificazione”, da attuarsi grazie alla compartecipazione delle
amministrazioni competenti in materia urbanistica e di quelle preposte
alla tutela dei beni culturali. In particolare veniva da più
parti prospettata come soluzione quella di ricorrere alle sempre
più diffuse forme di intesa tra diverse pubbliche amministrazioni
statali, regionali o locali (31).

La citata disciplina di tutela
del paesaggio è stata di recente trasfusa nel testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,
il D.Lgs. n. 490/1999 (32], il cui titolo II è dedicato ai
“beni paesaggistici e ambientali” e che, all’articolo 138, definisce
beni ambientali, sottoposti a tutela, sia quelli già previsti
dalla legge del 1939, e individuati mediante gli elenchi, sia quelli
specificamente indicati all’artico

”STORICA” DECISIONE DELLA CASSAZIONE

“STORICA” DECISIONE DELLA
CASSAZIONE: LA CONCESSIONE EDILIZIA PER OPERE IN AREA VINCOLATA
SENZA NULLA-OSTA PREVENTIVO INTEGRA IL REATO DI ABUSO DI ATTI DI
UFFICIO

Maggiori possibilità
di intervento contro il dilagare degli abusi edilizi “in bianco”
nelle aree soggette a vincolo paesaggistico-ambientale. La Suprema
Corte censura penalmente le diffuse illegittimità dei comuni
che rilasciano le concessioni edilizie in palese violazione dei
regimi di protezione

di Maurizio Santoloci

Magistrato – Vice presidente
nazionale del WWF Italia

(per rete locale
WWF Italia e sito internet “Diritto all’Ambiente”)

La Corte di Cassazione è intervenuta
recentemente con due sentenze molto importanti che vanno ad incidere
nel delicato e primario settore delle concessioni palesemente illegittime
in aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale e comunque,
in generale, riguardo a concessioni in violazioni delle normative
vigenti. Vediamo le massime.

* “Integra il reato di abuso d’ufficio
il rilascio da parte degli amministratori comunali di una concessione
edilizia in assenza della prescritta autorizzazione ambientale:
l’autorità amministrativa, infatti, non è svincolata,
nel concedere la concessione edilizia, dalle disposizioni relative
alle limitazioni poste dalle norme in tema in tema di tutela dell’ambiente,
in quanto queste ultime costituiscono uno dei presupposti necessari
per la legittimazione della concessione stessa; conseguendone che
una tale condotta si configura come in “violazione di legge” (sub
specie, della violazione delle leggi che presiedono ai vincoli ambientali),
rilevante ai fini e per gli effetti dell’articolo 323 del codice
penale.” (Cassazione Penale – Sezione VI – Sentenza del 4 ottobre
2000 n. 10441 – Pres. Romano).

* “In tema di abuso di ufficio deve
ritenersi che la concessione edilizia senza rispetto del piano regolatore
generale integra una violazione di legge rilevante al fine della
configurabilità del reato di cui all’art. 323 c.p.(Ha specificato
la Corte nella fattispecie, relativa a concessione edilizia in zona
inedificabile, che il piano regolatore generale continue prescrizioni
immediata applicazione, pur potendo assumere anche carattere programmatorio
di scelte generali. Ne consegue – sotto il profilo del soddisfacimento
del principio della determinatezza della fattispecie incriminatrice
– la sussistenza del dovere da parte della competente autorità
amministrativa di provvedere ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10
del 1977 (caratteristiche della concessione edilizia) e dell’art.
31 della legge n. 1150 del 1942, dati normativi che costituiscono
il principio discriminatorio della condotta lecita da quella illecita)”.
(Cassazione Penale – Sezione VI – Sentenza del 29 maggio 2000 n.
6247 – Pres. Pisanti).

Queste due sentenze, come appare evidente,
riguardano in modo sinergico due importantissimi campi oggetto di
palese e diffusa violazione amministrativa da parte dei comuni:
il settore paesaggistico ambientale e le violazioni ai parametri
dei piani regolatori.

Il problema delle concessioni illegittime
in aree protette.

Il problema delle concessioni illegittime
in aree protette sussiste da diversi anni ed è stato oggetto
di articolate polemiche ed interventi giurisprudenziali di vario
tipo. Quale è l’esatta natura del problema?

Va rilevato che nelle aree sottoposte
a vincolo paesaggistico ambientale
, sulla scorta del D.L. n.
490/99 (in precedenza legge “Galasso” n. 431/85), per realizzare
un’opera edilizia
o comunque che comporti un notevole mutamento
dell’assetto del territorio non è sufficiente la concessione
urbanistico-edilizia del Comune
come nelle aree ordinarie. E’
infatti necessario il preventivo nulla-osta dell’ente che gestisce
il vincolo paesaggistico ambientale
: in linea di principio la
Regione, oppure secondo le normative di sub-delega regionale l’Ente
che gestisce detto vincolo dopo che la Regione gli ha conferito
in via, appunto, di sub-delega, detto potere di gestione (spesso
la Provincia ed ancora più spesso il Comune, che da organo
controllato diventa così organo controllore di se stesso).

In altre parole, per realizzare un’opera
di importante modifica territoriale (edilizia in senso stretto e
non) in un’area soggetta al vincolo della normativa specifica di
settore, il soggetto titolare dei lavori, prima di recarsi presso
il Comune per ottenere la ordinaria concessione urbanistico-edilizia,
deve prima rivolgersi all’Ente che gestisce il vincolo per ottenere
il nulla-osta preventivo. Senza detto nulla-osta la concessione
urbanistico-edilizia non può essere rilasciata.

Si è verificato fino ad oggi
(e continuerà verosimilmente a verificarsi anche per il futuro)
che in moltissimi casi il Comune ha praticamente saltato in via
totale tutto il complesso ed importantissimo procedimento preventivo
per il rilascio del nulla-osta relativo al vincolo ed ha rilasciato
direttamente la concessione urbanistico-edilizia sostanzialmente
così ignorando l’esistenza della normativa sui vincoli paesaggistici
.

Tale risultato amministrativo è
stato ottenuto con diverse sfumature.

I casi più brutali, per così
dire, sono stati quelli della assoluta e totale inosservanza
della legge sui vincoli
: in parole povere il Comune ignorando,
o facendo finta di ignorare, che esiste ormai dal 1985 la normativa
sui vincoli, ha continuato tranquillamente a rilasciare la concessione
urbanistico-edilizia semplicemente e puramente non considerando
l’esistenza di detta norma. E così le concessioni sono state
rilasciate assolutamente ignorando e comunque saltando il procedimento
amministrativo preliminare connesso con la normativa di protezione.

In altri casi, ricorrendo ad una sfumatura
di ipocrisia amministrativa più sottile, sono state rilasciate
concessioni che, saltando anch’esse completamente la normativa sui
vincoli, occultavano la palese violazione amministrativa dietro
il sotterfugio della concessione rilasciata “fatte salve le autorizzazioni
in materia paesaggistica e vincolistica”.
Così sostanzialmente
posponendo il nulla-osta preventivo ad un improbabile e successivo
ottenimento da parte del soggetto titolare della concessione una
volta rilasciata già la concessione urbanistico-edilizia.
Un paradosso veramente incredibile, giacché è illogico
che il nulla-osta che risulta appunto preventivo e vincolante rispetto
alla concessione venga richiesto ed ottenuto a concessione già
ottenuta. Non si intuisce quale è la dinamica del processo
amministrativo e soprattutto, in caso di mancata richiesta del nulla-osta
in via successiva o di mancata concessione del nulla-osta in via
successiva quale è l’esito della concessione già formalmente
rilasciata e quindi efficace da parte del Comune.

Questa seconda procedura è
sempre corrisposta praticamente alla prima e cioè ad una
disapplicazione totale della normativa sui vincoli paesaggistici-ambientali.

Terzo ed ancora più sofisticato
sistema per aggirare la normativa sui vincoli è stata la
elasticizzazione massima del regime delle sub-deleghe. Infatti,
le Regioni, che pure in un primo momento tanto avevano dato battaglia
per rivendicare la gestione del vincolo paesaggistico ambientale,
una volta ottenuta la piena e totale competenza in materia l’hanno
svenduta agli organi controllati e cioè alle province ma
soprattutto ai comuni. E così hanno sub-delegato il Comune,
organo oggetto del controllo preventivo attraverso il nulla-osta,
che è diventato così arbitro di se stesso
. Ma
il regime della sub-delega, comunque, anche se faceva ricadere sui
soggetti controllati (e cioè sui comuni) la gestione anche
del nulla-osta preventivo, non ha mai (e comunque non poteva) bypassare
o azzerare di fatto la complessa procedura del vincolo.

Infatti se la Regione doveva eseguire
un’istruttoria tecnica complessa, rilasciando all’esito un nulla-osta
formale soggetto a controllo da parte della sovrintendenza ai beni
culturali ambientali e ad impugnativa da parte dei privati o degli
enti esponenziali, con un atto formale che soltanto dopo il sessantesimo
giorno dall’emanazione (esauriti i controlli dell’impugnativa) spiegare
i propri effetti, nel delegare al Comune detta prassi poteva esclusivamente
delegare tutta la complessa procedura della prassi stessa. Dunque
il Comune, per forza di cose, doveva svolgere tutte queste
attività in nome e per conto della Regione
, pertanto
esso Comune, al momento agente come organo sub-delegato della Regione,
doveva svolgere l’istruttoria tecnica, rilasciare il nulla-osta
formale esclusivamente per il vincolo, attendere la mora di 60 giorni
entro la quale la sovrintendenza poteva annullare il nulla-osta
o il privato e l’ente esponenziale impugnarla al T.A.R. e successivamente
al 61° giorno considerare il nulla-osta valido. A questo punto
avrebbe dovuto riesaminare detto nulla-osta in sede di vera e propria
attività concessoria comunale e quindi decidere se rilasciare
o meno la concessione urbanistico-edilizia.

Ma in realtà così non
è stato nella prassi concreta delle cose, giacché
il Comune ottenuta la sub-delega ha semplicemente integrato,
nella maggior parte dei casi, la commissione urbanistico-edilizia
con un esperto in materia ambientale. Si arriva così direttamente
alla procedura diretta per la concessione urbanistico-edilizia,
viene bypassato (leggi: ignorato ed annullato) tutto il complesso
iter del vincolo paesaggistico-ambientale, e direttamente in sede
di rilascio di concessione urbanistico-edilizia l’esperto in materia
ambientale pronuncia un parere favorevole il che equivale nella
prassi consolidata a sostituire in modo totale tutto il complesso
iter del rilascio del nulla-osta regionale o sub-regionale.

E così di fatto la concessione oggi viene rilasciata in via
diretta, sostituendo tutta la prassi della legge in materia di vincoli
paesaggistici-ambientale con un parere espresso da un “esperto in
materia ambientale” già in sede di rilascio della concessione
urbanistico-edilizia.

Questi ed altri sistemi hanno consentito
fino ad oggi di ignorare totalmente la legge sui vincoli paesaggistici
ambientali
. Legge che non è stata mai formalmente abolita,
anzi è stata addirittura rielaborata e rivitalizzata nel
travaso tra il vecchio dettato della legge “Galasso” nel nuovo testo
unico stabilito dal D.L.vo n. 490/99. Ma pur vigente, la legge
è stata sostanzialmente non applicata ed ignorata e quindi
lasciata nel dimenticatoio
.

I precedenti e limitati strumenti
di intervento giuridico contro le concessioni illegittime: la disapplicazione
del giudice penale

In moltissimi casi, dunque, abbiamo
assistito, e continuiamo ad assistere tutti i giorni, a concessioni
urbanistico-edilizie che autorizzano opere scempio in aree particolarmente
protette (parchi nazionali, coste e rive, aree boscate e via dicendo)
in palese contrasto non soltanto sostanziale rispetto alla legge
sui vincoli paesaggistici ambientali ma anche a livello formale
giacché la procedura del vincolo non viene osservata.

L’elaborazione della Cassazione aveva
sempre precisato, concetto già sottinteso a livello amministrativo,
che il nulla-osta della legge sui vincoli non era e non è
un semplice parere ma un atto amministrativo formale e vincolante
in assenza del quale la concessione edilizia non poteva essere rilasciata.
Si veda per tutte, ad esempio: “Nell’ipotesi di realizzazione di
una costruzione in zona soggetta a vincolo paesaggistico, la relativa
autorizzazione si inserisce nel procedimento di rilascio della concessione
e ne condiziona l’emanazione, assumendo il ruolo di presupposto.
Ne consegue che la concessione è priva di efficacia, qualora
il sindaco l’abbia rilasciata in assenza del provvedimento abilitativo
dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.”
(Cassazione Penale – Sezione III – Sentenza del 5 giugno 1998 n.
6671 – Pres. Tonini).

A questo punto sorgeva però
il secondo problema. Pur violando il Comune in modo palese od
occulto detto regime amministrativo, e cioè rilasciando una
concessione ignorando totalmente la procedura per il nulla-osta
della legge sui vincoli, quali erano gli effetti a livello amministrativo
e soprattutto penale?

La questione è stata sempre
piuttosto complessa, giacché la concessione urbanistico-edilizia
– pur rilasciata in assenza o praticamente in assenza di nulla-osta
delle legge sui vincoli paesaggistici – è stata sempre considerata
sostanzialmente illegittima sotto il profilo amministrativo. Ma
è noto che una illegittimità amministrativa può
essere rilevata e quindi può chiedere l’intervento esclusivamente
o della stessa autorità amministrativa o della magistratura
amministrativa (T.A.R. e Consiglio di Stato). In particolare la
magistratura amministrativa non interviene d’ufficio ma è
necessario che qualcuno proponga ricorso. Chi può proporre
ricorso contro la concessione amministrativa palesemente illegittima?
O un privato che ha un interesse legittimo sul caso (ad esempio
il proprietario del terreno limitrofo e confinante all’area oggetto
di lavori) oppure un Ente esponenziale che ha una percezione del
caso. Ma nella maggior parte delle situazioni verificatesi, non
sussisteva né un privato con interesse legittimo per impugnare
la sentenza né molte volte gli enti esponenziale (ad esempio
WWF Italia) avevano per tempo notizia della situazione e quindi
non riuscivano a proporre ricorso al T.A.R. entro gli stretti termini
previsti dalla legge per proporre l’impugnativa stessa.

La concessione diventava così
sostanzialmente esecutiva e non più ricorribile od oppugnabile
e, di fatto, un atto amministrativo palesemente illegittimo ha sempre
spiegato regolarmente i propri effetti.
Sotto il profilo sanzionatorio
penale, quando l’organo di vigilanza di P.G. si è recato
sul posto per verificare lo stato dei lavori, si è trovato
di fronte ad un paradosso giuridico. Infatti, notava in un’area
particolarmente protetta un’opera palesemente autorizzata in base
ad una concessione evidentemente illegittima
perché mancante
dei presupposti che ne giustificavano il rilascio, però la
concessione, non impugnata e non oggetto di ricorso al T.A.R., era
sostanzialmente operante a livello amministrativo. Nessuna sentenza
amministrativa la annullava, certamente la pubblica amministrazione
non si auto-annullava un atto da essa stessa rilasciata. Non sussistevano
in modo automatico violazioni penale, giacché comunque la
concessione era formalmente valida
, e dunque l’organo di
vigilanza aveva le armi completamente spuntate e assisteva inerme
al prolificare di opere palesemente scempio, coperte da un atto
amministrativo sì illegittimo amministrativamente ma in se
stesso non illecito penalmente
. La giurisprudenza degli ex pretori
e dei tribunali e successivamente della Cassazione ha sempre cercato
di intervenire indirettamente rispetto a questa assurda e paradossale
situazione giuridica-amministrativa creando degli istituti virtuali
di intervento intermedio. In particolare una delle forme di intervento
elaborate dalla giurisprudenza fu quella di consentire, con una
certa forzatura interpretativa, al giudice penale (notorialmente
estraneo da ogni potere di intervento sugli atti amministrativi
illegittimi) una forma di sindaco indiretto sull’atto stesso concedendogli
la facoltà certamente non di annullare l’atto ma di “disapplicarlo”
in sede penale. In altre parole, si è consentito al giudice
penale di far finta che questa concessione, così palesemente
in violazione di legge, e quindi palesemente illegittima (anche
se tale mai dichiarata dagli organi competenti) fosse come inesistente
nel mondo amministrativo e quindi si è sollecitato il giudice
penale dal perseguire l’opera scempio dell’area protetta e vincolata
come se non fosse assolutamente mai stata coperta da alcun atto
amministrativo.

In questo modo, attraverso un complesso
meccanismo, la P.G. poteva segnalare al P.M. la situazione, il pubblico
ministero, preso atto di questa elaborazione virtuale della Suprema
Corte, poteva promuovere l’azione penale contro il titolare dei
lavori e spesso anche contro il pubblico amministratore forzatamente
chiamato a concorrere nella realizzazione dell’opera abusiva e il
giudice penale spesso procedeva a disapplicare questo atto amministrativo
illegittimo condannando il titolare, e qualche volta anche il pubblico
amministratore in concorso, per violazione della normativa urbanistico-edilizia
e della normativa sui vincoli paesaggistici-ambientali.

Su questi passaggi il WWF Italia da
molti anni ha impostato articolare campagne giuridiche, con un impegno
di tutta la rete locale, attraverso anche modulistiche prestampate,
per sollecitare la magistratura penale ad intervenire contro le
concessioni amministrative illegittime. Va comunque sottolineato
e rilevato che tutto questo meccanismo ha sempre presentato zone
d’ombra e difficoltà applicative, in quanto ha sempre presupposto
alcuni passaggi essenziali. Il primo passaggio, inevitabile, era
ed è quello di una completa sinergia ideologica tra forza
di polizia giudiziaria, pubblico ministero e giudice penale del
dibattimento. Se uno di questi tre soggetti istituzionali non concordava
con quella che non è una previsione di legge ma una forzatura
giurisprudenziale della Cassazione, tutto il meccanismo cadeva miseramente
in quanto l’applicazione della giurisprudenza non veniva eseguita
fino in fondo.

Quindi, l’impegno c’è stato
ma molte volte non ha corrisposto a proficui risultati. Il motivo
essenziale è sempre stato uno solo: la concessione palesemente
illegittima è sempre stata considerata solo tale, e quindi
affrontabile e censurabile esclusivamente in via amministrativa
(autocontrollo della pubblica amministrazione e/o annullamento del
T.A.R. e del Consiglio di Stato) ma mai soggetta ad un intervento
del giudice diretto in sede penale
.

I nuovi strumenti di intervento derivanti
dalle due sentenze della Cassazione: l’intervento diretto del giudice
penale – l’abuso di ufficio dell’amministrazione comunale

Con le due sentenze sopra riportate
la Corte di Cassazione invece, per così dire in modo praticamente
“storico”, incide proprio su questo passaggio essenziale del problema
e decreta praticamente che la concessione illegittima così
come sopra considerata illegittima per essere stata rilasciata in
assenza del nulla-osta sul vincolo paesaggistico non è soltanto
illegittima in sede amministrativa ma costituisce anche reato di
abuso di atti d’ufficio previsto dal codice penale
.

E non solo. Addirittura nel caso in
cui non sussiste il vincolo paesaggistico ambientale ma semplicemente
il piano regolatore, ove la concessione venga rilasciata in difetto
del rispetto di tale piano, e quindi illegittimamente non rispettando
la generale normativa urbanistico-edilizia, essa concessione, oltre
al canone della illegittimità amministrativa, integra anche
in questo caso il reato di abuso di atti d’ufficio a carico del
pubblico amministratore che la rilascia.

A questo punto l’effetto della
Cassazione è veramente dirompente in tutto il mondo vastissimo
degli illeciti edilizi connessi e coperti dalle concessioni edilizie
palesemente illegittime.

Quali sono infatti le conseguenze
pratiche di questa importante presa di posizione della Cassazione?

La conseguenza più diretta
è lo sfondamento, per così dire, del sistema penale
che va ad incunearsi direttamente e non più indirettamente
in modo forzato e virtuale nel cuore della illegittimità
amministrativa. Infatti, se tale non è più soltanto
la concessione illegittima e cioè se la concessione illegittima
non è più soltanto illecita amministrativa ma è
anche illecita penalmente, l’operato della polizia giudiziaria,
del pubblico ministero e del giudice penale è diretto ed
immediato e quindi immediatamente applicabile senza più necessità
di alcuna forzatura giurisprudenziale
. Quindi, laddove oggi
l’organo di polizia giudiziaria nota, ad esempio, un’opera palesemente
scempio in un’area vincolata nella quale l’autorità amministrativa
abbia rilasciato una concessione illegittima perché salta
completamente o l’importantissimo nulla-osta per il vincolo paesaggistico
o anche semplicemente il piano regolatore, detta concessione è
già affrontabile in quanto anche illecita penalmente dall’organo
di P.G. che può ben già sequestrare il cantiere illecito.

Il pubblico ministero a questo punto non deve più applicare
forzature virtuali giurisprudenziali ma procede contro il pubblico
amministratore per abuso di atti di ufficio
e quindi, di conseguenza,
anche in concorso rispetto all’illecito edilizio attuato dal privato.
Infatti, l’abuso di atti d’ufficio presuppone un reato che favorisce
il soggetto specifico. Detto reato di abuso di atti d’ufficio è
dunque propedeutico e geneticamente costitutivo del concorso nella
costruzione abusiva illecita.

Pertanto, il pacchetto sanzionatorio
penale è sinergico ed unico e si procede come promovimento
di azione penale per i due reati in modo strettamente sinergico.
Il giudice del dibattimento penale, nel censurare con eventuale
sentenza di condanna penale, certamente valuterà la stretta
ed interconnessa sinergia tra i due comportamenti illeciti e quindi
inevitabilmente il giudicato penale provocherà automaticamente
l’annullamento amministrativo anche della concessione illegittima
,
censurata non più in via mediata come fino ad oggi è
stato, ma in via diretta in quanto oggetto, prodotto del reato specifico
di abuso di atti d’ufficio del pubblico amministratore.

Va considerato che il reato di abuso
di atti d’ufficio è un reato importante e grave a carico
del pubblico amministratore, punito con una pena severa e quindi
sostanzialmente il rischio oggi per il pubblico amministratore a
fronte del rilascio delle concessioni illegittime così tranquillamente
fino ad oggi firmate costituirà certamente un forte deterrente
per arginare una sorta di malcostume politico ed amministrativo
di notevolissima importanza e danno ambientale e sociale.

Le due massime delle sentenze della
Cassazione dovranno essere richiamate in ogni esposto o denuncia
che si andrà ad articolare rispetto a questo caso specifico.
Naturalmente trattasi di denuncia importante ed impegnativa che
merita, ove venga presentata da attivisti della rete locale, un
preventivo esame e parere dell’ufficio legale del WWF Italia. Anche
allo scopo di cautelare l’estensore da ogni ipotesi di eventuale
calunnia.

In linea generale comunque lo schematismo
dell’esposto deve avere come presupposto il dato oggettivo e palese
della totale violazione della procedura relativa al vincolo paesaggistico-ambientale
oppure la totale divergenza tra l’atto concessorio e le previsione
del piano regolatore.

Sarà comunque opportuno, in
situazioni dubbie, inviare una semplice segnalazione ad un organo
specializzato di P.G. e/o al Procuratore della Repubblica una descrizione
dettagliata dei fatti oggettivamente esistenti e copia integrale
dei documenti rilasciati, evidenziando nello scritto alcuni passaggi
fondamentali: la natura certa ed inequivocabile della protezione
imposta dal vincolo sull’area oggetto dei lavori (oppure la puntuale
destinazione riportata nel piano regolatore in caso di violazione
di quest’ultimo, 0, 0); la esatta tipologia dell’atto amministrativo rilasciato
(che sarà sempre opportuno allegare in copia) entro il quale
va sottolineata ed evidenziata l’assenza dei riferimenti alle procedure
formali imposte dalla legge sui vincoli (oppure, in caso di piano
regolatore violato, la esatta strutturazione dei lavori in relazione
alla disciplina del piano stesso, 0, 0); la natura specifica delle opere,
evidenziando il rilevante e definitivo mutamento dell’assetto urbanistico-territoriale
e dunque la automatica necessità della concessione (che a
sua volta richiede il nulla-osta preventivo) e non della semplice
autorizzazione e/o procedura D.I.A.

Ancora una volta la Corte di Cassazione
interviene dunque nel campo dell’abusivismo edilizio e fornisce
in mano agli operatori del diritto importanti e soprattutto efficaci,
a livello pratico, strumenti per arginare non soltanto gli abusi
grossolani e brutali in senso generale ma anche e soprattutto quello
sofisticati e per così dire in “guanti bianchi”.

Maurizio Santoloci

Dalla logica crazy alla logica fuzzy.

Dal CDU, il partito scudocrociato di Buttiglione, che ad Altamura annovera tra
le proprie fila, tra gli altri, Vito Casiello, Pasquale Lomurno, Domenico Cappiello,
abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo il seguente documento.

Il CDU prende posizione su una deliberazione della giunta provinciale con cui,
dopo aver acquisito il parere di una commissione tecnico-scientifica e quello
igienico sanitario del Servizio di Igiene Pubblica della ASL BA/3 (l’azienda
sanitaria di Altamura), ha autorizzato l’insediamento di un impianto di compostaggio
di rifiuti nel territorio di Grumo (al confine con quello di Altamura, nei pressi
della stazione ferroviaria di Mellitto).

Si tratta – lo ricordiamo perché di questo non parlano invece gli esponenti
del CDU – di un’area a circa 15 chilometri dal centro cittadino in cui è
già presente una zona artigianale del Comune di Grumo (dove hanno trovato
rifugio, anni fa ed in assenza di un’area industriale attrezzata nel territorio
altamurano, diversi imprenditori di Altamura: in proposito v. gli articoli di
Carta Libera del 9 febbraio 1997 n. 65 a firma di Ivan Commisso ed Antonio Berloco
consultabili all’indirizzo internet http://www.altanet.it/edicola/locali/cartalib/n65/n65.htm)
e nei cui paraggi sono previsti circa cinquanta nuovi insediamenti industriali
autorizzati, in deroga al piano regolatore, con una parte degli accordi di programma
di cui alla legge n. 34 recentemente sottoscritti e ratificati dal Comune di Altamura
(in totale, ad oggi, ne sono stati ratificati 73).

Insomma, non c’è da stare tranquilli! Al di là dei proclami
elettorali e delle collocazioni partitiche, ci domandiamo infatti quale sia la
logica che ispira i nostri amministratori, a qualunque livello, quando sono chiamati
a gestire e ad affrontare temi legati allo sviluppo economico ed urbanistico di
una città o di un territorio. La disseminazione su tutto il territorio
di ogni genere di intervento urbanistico (capannoni, discariche, impianti di compostaggio)
sembra essere guidata da una logica estrema ed incomprensibile: una logica
crazy
(pazza) che nulla ha a che fare con criteri moderni e razionali di gestire
e difendere l’interesse collettivo [A tale proposito ed a titolo puramente
esemplificativo proponiamo, subito dopo il documento del CDU, la lettura di alcune
pagine (ben più istruttive) di una ricerca condotta dalla dottoressa Antonella
Faggiani dal titolo "La logica fuzzy nella soluzione dei problemi
territoriali multicriteriali", che abbiano trovato particolarmente suggestive
ed interessanti].

Siamo perfettamente consapevoli che si tratta di questioni delicate e particolarmente
complesse; ma tale complessità non può giustificare una qualsivoglia
risposta, dettata magari dalle esigenze imprenditoriali (per gli uni) o da calcoli
biecamente elettoralistici (per gli altri), pur sempre improvvisata ed approssimativa.
La complessità delle questioni non legittima la banalizzazione e la rimozione
di problemi seri come quello del diritto alla salute, della tutela dell’ambiente,
dell’individuazione di spazi adeguatamente attrezzati e funzionali all’esercizio
dell’impresa, della sicurezza dei posti di lavoro e delle strade, della crescita
armonica e decorosa di una città, del diritto dei cittadini a non vedere
compromesso il proprio futuro e quello delle generazioni future, del diritto di
tutti ad un’adeguata qualità della vita e non solo dell’interesse
egoistico di pochi ad una vita di qualità e di denaro.

La funzione e la ragion d’essere dell’agire di un pubblico amministratore
o di un politico sono allora proprio quelle di considerare, valutare e contemperare
tutti i diversi interessi, di amministrare e gestire, con metodo
ed imparzialità, la complessità senza ridurla a comodo alibi dietro
cui mascherare gli affari dei soliti pochi e forti. Come scrive Antonella Faggiani,
"la consapevolezza di affrontare la complessità del reale richiede
di sacrificare la precisione a favore del significato. Questo ovviamente
all’interno di ambiti ben precisi, poiché l’approccio fuzzy
non è un invito al pressapochismo, ma a valutare i limiti della
precisione necessaria ad affrontare ogni situazione e problema … è
un nuovo approccio alla complessità e all’ambiguità dei fenomeni
territoriali. Questo approccio richiede che ogni problema sia analizzato e studiato
approfonditamente … per la necessità di comprendere il contesto che
influenza fortemente la definizione di concetti come variabili linguistiche".

Dove insediare un capannone industriale (derogando alle disposizioni del piano
regolatore generale), dove sistemare una discarica, dove autorizzare un impianto
di compostaggio dei rifiuti, rappresentano decisioni che toccano gli interessi
di tutti e non solo di chi, su quelle decisioni, desidera, anche legittimamente,
fondare le proprie fortune, economiche o politiche che siano.

Non a favore di questi ultimi, ma solo al senso autentico ed al significato vero
dei problemi che può essere sacrificata la precisione.

(enzo colonna – Altamura2001)

***

IL DOCUMENTO DEL CDU

LA GIUNTA DELLA PROVINCIA DI BARI (Presidente VERNOLA, PPI) sostenuta dai partiti
di Centro Sinistra (Democratici di Sinistra, Partito Popolare Italiano, Rifondazione
Comunista, Rinnovamento Italiano, UDEUR, ecc.)

R E G A L A

agli altamurani un impianto di compostaggio che tratterà e trasformerà
8.000 (ottomila) quintali al giorno di rifiuti delle industri della lavorazione
della pelle, rifiuti provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue
industriali ed urbane, rifiuti di plastica ed altro.

All’Assessore Provinciale Piglionica (DS) ed ai Consiglieri Provinciali Iurino
(DS) e Cornacchia (PPI),

CHIEDIAMO:

  • non vi sembra INOPPORTUNO costruire un impianto che tratterà anche
    FANGHI contenenti CROMO a pochi chilometri dalle nostre case e precisamente
    lungo la statale Altamura-Bari prima della stazione ferroviaria di Mellito
    in contrada Trullo dei Gendarmi?
  • quali benefici otterremo noi altamurani da questo impianto oltre a quello
    di respirare ARIA FETIDA piena di insetti, mosche, ecc.?
  • da dove verranno i circa 5.000 quintali al giorno di fanghi contenti cromo,visto
    che in Provincia di Bari,nella nostra Regione non esistono industrie che conciano
    le pelli?

Alla DIREZIONE GENERALE della A.U.S.L. BA/3

CHIEDIAMO

di voler verificare e rivedere il parere igienico sanitario reso dal responsabile
del SIP (Servizio di Igiene Pubblica) in data 05/02/1998 prot. n. 445.

All’Assessore Provinciale PIGLIONICA ed ai Consiglieri Provinciali CORNACCHIA
e IURINO e ai partiti del centro sinistra che sostengono il Presidente della Provincia
VERNOLA

DICIAMO

che la città di ALTAMURA non merita di essere trattata come "la terra
di nessuno" NON VUOLE QUESTO IMPIANTO e pertanto

CHIEDIAMO

con forza la REVOCA della delibera n. 424 del 4 Settembre 2000.

Il CDU vigilerà
affinché il nostro territorio sia conosciuto per le sue produzioni per
il turismo e non come territorio di DISCARICHE.

***

Quelle che seguono sono le pagine introduttive e conclusive della tesi di Antonella
Faggiani, che si è laureata in Architettura nella sessione straordinaria
dell’a.a. 1996/97 presso il Daest – Dipartimento di Analisi Economica e Sociale
del Territorio dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

 

La logica
fuzzy nella soluzione
dei problemi territoriali multicriteriali

 

La gestione della complessità è il problema più rilevante
per coloro che operano nell’ambito della valutazione applicata ai temi della
pianificazione territoriale. Operare nella città e nel territorio significa
infatti affrontare sistematicamente problemi a più dimensioni, impiegando
una molteplicità di categorie analitiche e interpretative. Nell’ambito
di decisioni che possono avere un impatto significativo sullo sviluppo insediativo,
ad esempio, il valutatore pone in relazione e sintetizza dati della più
diversa natura (economica, sociale, storica, urbanistica) per produrre informazioni
utili e rendere le scelte più coerenti con gli obiettivi di una comunità.

Molto spesso le informazioni che consentono di "restituire" questa complessità
sono disomogenee per adeguatezza, qualità di rilevazione, livello di formalizzazione.
Molto spesso chi valuta deve dimensionarsi con indagini lacunose, fonti che impiegano
linguaggi diversi, quando non incompatibili. La tentazione più forte è
quella di scartare l’informazione, quando questa non sia compatibile con
il quadro degli strumenti impiegati, specie se sofisticati. Scegliendo questa
"scorciatoia" si corre però il rischio di ridurre tale complessità,
invece di gestirla, producendo modelli della realtà assai poco aderenti
ad essa. In tale ipotesi i processi di valutazione trattando informazioni "povere",
non possono che giungere a conclusioni della medesima qualità.

L’obiettivo deve essere quello di proporre nuovi metodi e nuovi strumenti
che consentano di trattare, simultaneamente, un maggior numero di informazioni
comprese quelle vaghe, non formalizzate, ambigue. Anche queste, infatti, contengono
spesso dati importanti sulla base dei quali effettuare determinate scelte.

Il metodo a volte impiegato dagli studiosi della materia si ispira alla logica
fuzzy, vasto ambito di ricerca interdisciplinare, ancora oggi poco esplorato
da chi si occupa di valutazione. Fuzzy, ovvero vago, o sfocato è
la forma sotto cui spesso si presentano i dati impiegati nei processi decisionali.
Ovviamente, non è il caso di pensare ad una sostituzione dei vecchi con
i nuovi modelli, quanto invece ad una integrazione e ad un affinamento delle conoscenze
rispetto ad una fase delicata – il trattamento dell’informazione impiegate
dai modelli – da cui dipende in ultima analisi la qualità di ogni valutazione.

Affrontare un processo decisionale in ambito territoriale significa coniugare
e risolvere problemi che fanno riferimento a diverse discipline, alla ricerca
di risposte che soddisfino la crescente richiesta "sviluppo sostenibile",
ovvero uno sviluppo in grado di risolvere i conflitti esistenti tra il progresso
economico e sociale, il mantenimento delle risorse ambientali per il benessere
non solo della nostra generazione, ma anche di quelle future. Lo studio dei modelli
decisionali ci mostra come esistano in proposito continui processi di innovazione,
nel tentativo di rappresentare al meglio tutti gli aspetti, le caratteristiche
e gli obiettivi di un problema per trovare poi le soluzioni più soddisfacenti.
L’ampia letteratura dimostra, in proposito, il ricorso a modelli sempre più
sofisticati per rappresentare la complessità delle situazioni affrontate.
Ricordiamo il superamento dell’approccio monetario (analisi costi benefici,
per esempio) da parte dei metodi non monetari (metodi multicriteriali, ma non
solo), la teoria dell’utilità e i metodi di surclassamento, ed infine
l’inserimento delle variabili di rischio. Negli ultimi anni si è fatto
strada un nuovo approccio alla complessità dei problemi reali: quello della
logica fuzzy. Dalla sua formalizzazione ufficiale, avvenuta con la pubblicazione
dell’articolo di Lofti A. Zadeh nel 1965, "Fuzzy sets",
gli sviluppi sul piano scientifico e soprattutto applicativo sono sempre aumentati.
I contributi innovativi portati dalla logica fuzzy riguardano da un lato
la rappresentazione di informazioni vaghe, imprecise ed incerte, dall’altro
la trattazione di tali informazioni attraverso strumenti e regole fuzzy.
Gli insiemi fuzzy si dimostrano particolarmente efficaci per la loro capacità
di modellare categorie linguistiche, grazie alla rappresentazione "per gradi"
di un concetto. Questa caratteristica è ben rappresentata dall’idea
degli insiemi fuzzy come strumenti per "calcolare con le parole"
(L.A. Zadeh (1996), "Fuzzy logic=Computing with words", IEEE
Transactions on Fuzzy Systems. 4, pp.103-111), che mette in luce l’importanza
di un’interfaccia tra i dati che provengono dal modo fisico e le categorie
attraverso le quali noi comprendiamo ed utilizziamo al meglio quelle informazioni.
Rispetto agli approcci tradizionali di modellazione e gestione delle informazioni
questo rappresenta un passo in avanti nell’ambito di applicazioni territoriali.
Spesso una rappresentazione precisa oltre a non essere possibile, risulta inutilmente
complicata ed il normale linguaggio naturale appare in molti casi sufficiente
a rappresentare le informazioni che derivano dall’osservazione e dall’analisi
del mondo fisico, delle situazioni economiche, sociali e così via. In letteratura
si trovano molte applicazioni di questi concetti, ma sono sviluppate soprattutto
in ambito ingegneristico e tecnologico (controllori fuzzy, sistemi fuzzy),
mentre una minore attenzione hanno ricevuto applicazioni legate ai modelli decisionali
e valutativi, soprattutto in ambito territoriale. L’obiettivo è quello
di introdurre la logica fuzzy nell’ambito dei modelli decisionali
multicriteriali, cercando di superare i loro limiti attuali in termini di rappresentazione
della complessità e dell’imprecisione di dati ed informazioni disponibili.
I metodi di valutazione multicriteriale infatti, pur rispondendo adeguatamente
alle richieste sempre più pressanti di rappresentazione di obiettivi tra
loro conflittuali non riescono a gestire imprecisioni, incertezze, linguaggio
naturale e determinazioni inaccurate se non attraverso la semplificazione e l’annullamento
di tali caratteristiche. In realtà queste caratteristiche – spesso considerate
in modo negativo – sono in molti casi una condizione necessaria del modo in cui
noi apprendiamo concetti o situazioni, e come tali ne fanno parte integrante.
Il loro annullamento, necessario per la rappresentazione algoritmica tradizionale
dei problemi valutativi, rappresenta un punto debole dei metodi multicriteriali,
risolvibile con l’applicazione della logica fuzzy. Con un approccio
di questo tipo, le informazioni che utilizziamo in fase di analisi sono divise
in tre gruppi:

· informazioni imprecise, dove l’imprecisione si riferisce ad una variabile
il cui valore non è noto, ma specificato da un insieme di possibili
valori (l’altezza di Luca è tra 180 e 190 cm, 0, 0);

· informazioni vaghe, dove la vaghezza si riferisce ad una variabile il cui
valore è specificato da un termine linguistico (Luca è alto, 0, 0);

· informazioni incerte, dove l’incertezza sta ad indicare la carenza
di informazioni su una determinata situazione, tale per cui non si riesce a stabilire
la verità di una affermazione (non so se Luca è alto 2 metri).

L’introduzione di metodi formali fuzzy attraverso i quali le informazioni
vaghe ed ambigue verranno trattate matematicamente consente di utilizzare contemporaneamente
le parole ed i numeri all’interno di una formalizzazione matematica del problema
multicriteriale.

Complessità e
vaghezza dei sistemi territoriali: perché un approccio fuzzy?

Nello studio dei sistemi, siano essi un individuo, un’azienda, una città
o una regione, ci troviamo di fronte alla presenza di soggettività, non
completezza ed imprecisione delle informazioni che li riguardano. In particolare
i sistemi spaziali a scala micro, meso e macro, sono il più delle volte
troppo complessi perché asserzioni precise possano essere realistiche ed
efficaci.

La scala micro riguarda generalmente la decisione di un individuo, come ad esempio
la scelta di un lavoro o di una residenza. Consideriamo ad esempio la scelta di
una residenza: il sistema risulta complesso perché interdipendente da altri
bisogni, come quello del lavoro, della comodità, della sicurezza. Per essere
completamente certi di una decisione dovremmo ottenere le informazioni precise
ed inequivocabili riguardanti tutti questi aspetti. Probabilmente però
i limiti di tempo e denaro ci permetteranno di raccogliere solo informazioni parziali
e, spesso, imprecise così che la scelta si baserà su valori di base
come "poca distanza dal lavoro, alta qualità delle finiture, servizi
pubblici efficienti, tasso di criminalità molto basso", dove gli indicatori
non vengono rappresentati in modo preciso e rigoroso, ma da categorie fuzzy
come poca distanza, alta qualità, tasso molto basso.
Questo comunque non ci impedisce di prendere la decisione finale, anzi facilita
la comprensione del sistema nella sua interezza e complessità.

Lo stesso fenomeno si ritrova alla scala meso e macro, ad esempio nello studio
di strutture urbane o regionali. Ad esempio le informazioni sulla transizione
tra zone con usi diverso, la percezione delle distanze o dell’attrattiva
di un luogo sono imprecisi così come le strutture di preferenza di un individuo
o di un gruppo. Possiamo quindi affermare che il comportamento e la struttura
dei sistemi è generalmente imprecisa. Questo per due ragioni: la prima
riguarda il fatto che precisione e complessità sono conflittuali, per cui
un elevato livello di precisione può essere raggiunto solo con sistemi
molto semplici. La seconda riguarda il linguaggio, le percezioni e il ragionamento
degli attori coinvolti, che generalmente sono imprecisi. Il successo dell’applicazione
della matematica classica ai sistemi fisici, ha portato gli studiosi ad utilizzare
gli stessi strumenti per studiare e prevedere i comportamenti dei "sistemi
umani" (in letteratura si definiscono sistemi umani quei sistemi il cui comportamento
è fortemente influenzato dal giudizio umano, dalle percezioni, ecc…,
come ad esempio i sistemi economici, politici, spaziali…), costruendo modelli
deterministici esplicativi. Questi modelli oltre ad essere spesso poco flessibili
e meccanici falliscono nella rappresentazione della complessità, e spesso
l’imprecisione dovuta al linguaggio ed alla complessità del sistema
viene sacrificata per la semplicità ed eleganza analitica del modello.

Per rendere i modelli più flessibili si è allora introdotta la variabile
probabilità, presupponendo che l’incertezza fosse causata da processi
casuali all’interno del sistema, ma l’incertezza di cui ci stiamo occupando
non ha nulla a che vedere con la casualità (Gaines, Zadeh, Zimmermann,
1984). Appare evidente che per risolvere questo tipo di problemi, i metodi convenzionali
rendono precisi concetti che altrimenti sarebbero imprecisi. Un esempio è
dato dalla logica bivalente dove la scelta di un valore di soglia impone un confine
netto che separa gli oggetti che appartengono a quel determinato concetto da quelli
che non vi appartengono. Supponiamo ad esempio di discutere dell’acquisto
di un immobile. Il termine costoso, è un termine che stima una quantità
misurabile, che può essere caratterizzato da un valore di soglia pari a
300 milioni. L’utilizzo della logica bivalente e degli insiemi tradizionali
annulla la vaghezza associata al termine, anche se in realtà quando noi
utilizziamo il termine "costoso" associamo volontariamente tale vaghezza.
La prima formalizzazione di una teoria matematica per affrontare queste problematiche
è di Zadeh (1965), che con il suo scritto "Fuzzy sets"
ha introdotto i primi concetti della logica fuzzy. Attraverso gli strumenti
della logica fuzzy, il termine "costoso" può venire rappresentato
da un insieme fuzzy, con confini imprecisi e una transizione tra appartenenza
e non appartenenza al concetto graduale. Questo rende la teoria dei fuzzy set
uno strumento matematico adatto a manipolare concetti ed informazioni vaghe ed
imprecise.

Conclusioni.

I risultati ottenuti dall’applicazione della logica fuzzy a problemi
di analisi e valutazione multicriteriale offrono lo spunto per tracciare alcune
considerazioni di carattere generale. Innanzitutto, l’approccio fuzzy
non si contrappone a quello tradizionale, ma lo contiene e allo stesso tempo
lo supera. Infatti è possibile ottenere i risultati della tesi precedente
semplicemente annullando il livello di fuzziness, mentre aumentandolo ed
inserendolo all’interno di momenti ben precisi esso tende a far emergere
rappresentazioni più fedeli del reale.

Ovviamente non tutti i fenomeni si prestano ad essere analizzati con strumenti
fuzzy, quindi è necessario distinguere i fenomeni che, non essendo
ambigui, non necessitano di questo approccio da quelli che invece ne traggono
vantaggio; questo per non complicare inutilmente modelli e situazioni valutative
già spesso molto complesse e laboriose.

Un secondo punto riguarda la soggettività del metodo, infatti sebbene la
logica fuzzy offra una maggiore capacità di interpretazione del
reale, resta problematica la definizione della funzione di compatibilità
della variabile linguistica, o la funzione di appartenenza di insiemi fuzzy.
Quello che è il punto forte della teoria fuzzy, paradossalmente
pare essere anche un punto debole, sebbene sia necessario tenere presente che
essa dipende sempre e comunque dal contesto semantico entro cui lavoriamo (ad
esempio, il termine costoso, ha una connotazione diversa se indica il prezzo di
un libro o quello di un appartamento), quindi va valutata e stimata attentamente
ogni volta con l’aiuto di esperti.

Questa critica rimanda all’affermazione di Zadeh, per il quale la consapevolezza
di affrontare la complessità del reale richiede di sacrificare la precisione
a favore del significato. Questo ovviamente all’interno di ambiti ben precisi,
poiché l’approccio fuzzy non è un invito al pressapochismo,
ma a valutare i limiti della precisione necessaria ad affrontare ogni situazione
e problema. L’ambito applicativo proposto nella tesi, ammette livelli di
precisione poco elevati, soprattutto quando ci si confronta con problemi con spiccate
caratteristiche qualitative.

Quello che si è voluto proporre in questa tesi è un nuovo approccio
alla complessità e all’ambiguità dei fenomeni territoriali.
Questo approccio richiede che ogni problema sia analizzato e studiato approfonditamente,
prima di essere "fuzzificato", per la necessità di comprendere
il contesto che influenza fortemente la definizione di concetti come variabili
linguistiche, insiemi fuzzy, numeri fuzzy.

L’applicazione ha dimostrato che durante la fase di impostazione e di verifica
dei dati l’analista non riesce a ricondurre tutto a misurazioni certe di
tipo cardinale, forzando le informazioni a sua disposizione e vincolando soluzioni
che potrebbero non risultare corrette. In questo lavoro abbiamo affrontato con
particolare attenzione questo problema, proponendo una soluzione facilmente adattabile
anche ad altri problemi decisionali.

Una minore attenzione è stata data al momento "politico" della
valutazione che riguarda la ricerca della soluzione migliore all’interno
di un contesto con decisori conflittuali. Abbiamo comunque mostrato che è
possibile inserire il linguaggio naturale con cui si esprimono gli attori coinvolti
nel processo decisionale, all’interno di algoritmi e modelli decisionali.
Tuttavia non sono stati approfonditi concetti quali di negoziazione, consenso,
compromesso, attraverso i quali si cerca di raggiungere una soluzione che soddisfi
di tutte le parti interessate.

Gli attuali sviluppi teorici in proposito e le applicazioni presenti in letteratura
dimostrano che anche in questo ambito un approccio fuzzy si rivela strumento
efficace nel cogliere e rappresentare la complessità e l’imprecisione
dei giudizi e delle preferenze, fornendo validi supporti matematici per la soluzione
formale di tali problemi [a tale proposito si rimanda al testo di Kackrzyk J.,
Nurmi H., Fedrizzi M. (a cura di), 1997, Consensus under fuzziness, Kluwer
Academic Publishers, Boston].

 

I giudici indagano sulla valle dei Dinosauri.

martedì 23 gennaio
2001

La decisione
dei magistrati arriva sopo l’analisi dei documenti acquisiti
dai carabinieri in Municipio. Chiesta la revoca delle concessioni
edilizie

I giudici indagano
sulla valle dei Dinosauri

Le novità sussurrate in
città sono giunte nella serata di ieri dal Palazzo di
Giustizia di Bari. Elisabetta Pugliese, il sostituto procuratore
che indaga sui 73 capannoni industriali nel territorio del Parco
dell’alta murgia, ha individuato una precisa fattispecie di
illecito penale. Il reato ipotizzato nel fascicolo “modello
21” è l’abuso d’ufficio. La decisione dell’inquirente
arriva in seguito a una prima analisi dei numerosi documenti
acquisiti nel municipio di Altamura dai carabinieri del reparto
operativo di Bari. Si tratta di tutti gli atti amministrativi
relativi agli accordi di programma ai sensi della legge regionale
34, oltre alla documentazione riguardante l’esistenza di vincoli
ambientali sulla zona. Fra l’altro, anche la richiesta, da parte
della Regione Puglia, della “procedura di Valutazione d’Incidenza
ambientale”, essendo il territorio dell’alta murgia una “zona
di protezione speciale” per la normativa comunitaria.

È questa la prima tappa
dell’inchiesta originata da una denuncia della famiglia Patrone-Mininni,
proprietaria della zona industriale di Iesce. L’esposto, presentato
al Procuratore della Repubblica Emilio Marzano qualche giorno
prima dell’approvazione in consiglio comunale degli accordi
di programma, contiene la ricostruzione dettagliata di tutte
le fasi della vicenda. All’attenzione della magistratura ci
sono anche i capannoni a sei chilometri dalla città verso
Santeramo, vicini alla valle dei dinosauri, contro i quali si
batte il neonato “Coordinamento cittadino Aladar”. Nella riunione
di ieri, è stata presentata una relazione sull’impatto
ambientale della “deregulation urbanistica” in deroga al Piano
regolatore generale. Il comitato contesta in radice la legittimità
degli accordi di programma e in particolare di quelli intorno
alla cava Pontrelli, “perché non si può sanare
con una variante al Prg una lottizzazione abusiva, peraltro
denunciata nel 1995 proprio dall’attuale sindaco Plotino”, dichiara
Enzo Siani. Per questo è pronto un appello alle istituzioni
locali e nazionali, a partire dal ministero dell’Ambiente, “per
la valle dei dinosauri assediata dal cemento”. Nei prossimi
giorni partirà una raccolta di firme per sollecitare
l’opposizione a chiedere la convocazione di un consiglio comunale
sull’argomento e la revoca immediata delle concessioni edilizie
già rilasciate.

Giuseppe Salvaggiulo


Altri articoli in formato Adobe
PDF (da scaricare):

5
febbraio 2001

(Parco dell’Alta Murgia)

5 febbraio
2001

(Articolo di spalla)

14 febbraio
2001

(Intervento di C. Biandolino e articolo)

16 febbraio
2001

(+ seguito. Lettera di S. Teot)

18 febbraio 2001
(politica su internet)

 

L.R. 19 dicembre 1994, n. 34. ”Accordo di programma per la realizzazione di str



(il testo originario è
stato modificato dalle L.R. n. 8 del 28-01-1998 “Modifiche e
integrazioni alle leggi regionali 19 dicembre 1994, n. 34 e
4 luglio 1994, n. 24 in materia di accordo di programma per
la realizzazione di strutture nei settori industriale, artigianale,
agricolo, turistico, alberghiero e di approvazione dei piani
regolatori generali”)


Art. 1



1. Al fine di incentivare l’occupazione
nei settori industriale, artigianale, agricolo, turistico e
alberghiero, i sindaci dei Comuni interessati possono chiedere
al Presidente della Ciunta regionale la definizione di un accordo
di programma, ai sensi dell’art. 27 della legge 8 giugno 1990,
n. 142, per l’autorizzazione alla realizzazione ampliamento
di complessi produttivi che attivano immediatamente livelli
occupazionali non inferiori a 10 addetti per unità  produttiva.

2. Per gli interventi nei settori
industriale, artigianale, turistico e alberghiero. La sottoscrizione
dell’accordo di programma, che dovrà  essere autorizzato
dalla giunta regionale, è ammissibile solo se lo strumento
urbanistico vigente non dispone di aree idonee e sufficienti
aree idonee con destinazione specifica operante e giuridicamente
efficace per le opere da realizzare o sia indispensabile l’ampliamento
di strutture esistenti in aree contigue non aventi la stessa
destinazione. Le aree interessate agli interventi previsti dall’accordo
di programma dovranno essere dotate delle opere di urbanizzazione
primaria; in assenza, le stesse opere dovranno essere previste
a carico del soggetto destinatario della concessione edilizia.

3. La concessione edilizia dovrà 
inoltre prevedere idonea e formale garanzia del destinatario
della medesima che i livelli occupazionali previsti e la destinazione
d’uso degli immobili siano mantenuti per periodi non inferiori
a 5 anni dalla data di avvio dell’attività  produttiva.


Art. 1 bis



La presente legge non deroga alle
norme in materia di vincoli di tutela del territorio e dell’ambiente.


Art. 1 ter



Le modalità  di approvazione
dei piani regolatori generali stabilite dalla legge regionale
4 luglio 1994, n. 24 si applicano a tutti i piani che alla data
di pubblicazione della presente legge risultano giacenti presso
il Settore urbanistico, in attesa del parere del Comitato urbanistico
regionale. Per gli strumenti esecutivi il parere vincolante
del CUR è espresso entro novanta giorni; decorso inutilmente
tale termine, il Comune interessato promuove, ai sensi dell’art.
14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, una Conferenza di servizi
allo scopo di definire il procedimento di approvazione.


Nota all’art. 1 ter

Si riporta il testo della L.R. 4 luglio 1994, n. 24
pubblicata nel BUR n. 94 Suppl./94:

L.R. 4 luglio 1994, n. 24

“Modifiche alla legge regionale
31 maggio 1980, n. 56 concernenti l’approvazione del p.r.g. dei
Comuni con popolazione non superiore ai 15.000 abitanti”

Articolo Unico



Alla legge regionale 31 maggio
1980, n. 56 (1) “Tutela ed uso del territorio” è aggiunto
il seguente articolo 16 bis: (“Esame istruttorio p.r.g. di Comune
con popolazione non superiore a 15.000 abitanti).

1. L’esame istruttorio del piano
regolatore generale di Comune non superiore ai 15.000 abitanti
all’ultimo censimento ISTAT è svolto da un apposito comitato
ristretto composto:

– dall’Assessore regionale all’Urbanistica,
che lo presiede

– dal Coordinatore del Settore
urbanistico regionale e da

un dirigente del settore stesso;

– da quattro componenti del Comitato
urbanistico regionale (C.U.R.), designati dal Presidente del
Comitato stesso.

2. Alle riunioni del Comitato
ristretto possono essere invitati il Sindaco del Comune interessato
o suo delegato, assistito dal progettista del p.r.g. e dal responsabile
dell’Ufficio tecnico comunale, nonchè i rappresentanti
degli Assessorati regionali e delle Amministrazioni dello Stato
competenti ad esprimere parere in merito all’approvazione del
piano.

3. Le determinazioni del Comitato
ristretto devono essere assunte con la maggioranza assoluta
dei componenti e sostituiscono a tutti gli effetti la relazione
istruttoria del Settore urbanistico regionale ed il parere del
C.U.R. previsti dal comma 8 del precedente art. 16.

4. Per il funzionamento del Comitato
ristretto valgono le stesse regole del C.U.R., salvo quanto
espressamente disciplinato dal presente articolo.


La bozza del nuovo statuto comunale.

Quest’ultima versione ha accolto alcuni emendamenti suggeriti
da alcune associazioni e movimenti nei mesi scorsi: in particolare,
Altamura2001 ed il Comitato "Il Teatro di Tutti" si sono
visti accogliere la proposta di inserimento dell’attuale comma
3 dell’art. 22 (Teatro Mercadante) e di un articolo che prevedesse
il coinvolgimento dei cittadini stranieri residenti ad Altamura
nella vita pubblica della città (v. ora l’art. 57 della
bozza) ed anche la proposta di apportare significative modifiche
(sebbene non integralmente accolte) agli attuali articoli 56 (istanze
dei cittadini), 58 e 60 (referendum: in particolare è stato
drasticamente ridotto, come suggerivamo, il numero dei cittadini
elettori richiesto perché possa essere indetto un referendum
cittadino. Da 12.000 si è passati a 4.000), agli articoli
61 e 62 (requisiti, funzioni e criteri di nomina del Difensore civico:
su quest’ultimo aspetto, si è passati da un sistema
che prevedeva un’esclusiva competenza del consiglio comunale
ad uno in cui il consiglio è chiamato a nominare il Difensore
tra una rosa di nomi proposti dalla Consulta generale delle associazioni
e da un significativo numero, 200, di cittadini).

L’adozione del nuovo Statuto
si è reso necessario in virtù delle profonde modifiche
introdotte, in materia di autonomia ed ordinamento degli enti locali,
dalla legge n. 265 del 1999 (http://www.senato.it/parlam/leggi/99265l.htm)
e dal Testo Unico degli Enti Locali recentemente adottato con il
D.Lgsl. n. 267 del 18 agosto 2000 (http://www.senato.it/parlam/leggi/deleghe/00267dl.htm).

In realtà, lo Statuto che è
in via di approvazione si rivela, nella versione che proponiamo,
poco incisivo, inutilmente ripetitivo delle disposizioni già
contenute in questi testi normativi e, soprattutto, inadeguato ad
essere espressione dell’ampia autonomia e potestà regolamentare
riconosciute ora all’ente comunale.

Offriamo comunque ai visitatori del
nostro sito la possibilità di visionare la bozza del nuovo
Statuto, invitando tutti ad esprimere un giudizio e a suggerire
eventuali emendamenti che Altamura2001 provvederà a trasmettere
ai consiglieri comunali. Suggeriamo di prestare particolare attenzione
alle norme su "Istituti di partecipazione – Difensore Civico"
(artt. 48 — 62) e su una disposizione (art. 43, opzione A)
che, se approvata, consentirà al futuro Sindaco di Altamura
di nominare sino a dieci assessori (rispetto agli attuali 6).

Altamura2001

lacittaditutti@hotmail.com

Clicca
qui per leggere la bozza dello Statuto Comunale.

Cartelle pazze… il Comune ti paga i danni

Segnaliamo una sentenza che riveste
una particolare importanza perché può rappresentare
un precedente rispetto a una vicenda sempre più frequente
in Italia e particolarmente sentita ad Altamura: quella dell’invio
di cartelle fiscali errate. Il Giudice di Pace di Mestre, il 18
settembre 2000, ha condannato il Ministero delle Finanze a risarcire
una contribuente alla quale era stata recapitata una "cartella
pazza", con la richiesta di imposte, soprattasse e interessi
che la signora non avrebbe dovuto pagare. Il giudice veneto ha riconosciuto,
a titolo di risarcimento, la somma di 1.200.000 lire per il danno
causato e per le spese sostenute: la parcella del commercialista
a cui la contribuente si era rivolta, le trasferte verso l’ufficio
dell’amministrazione, le raccomandate inviate all’amministrazione.
Per il giudice di Mestre il principio che deve informare anche l’attività
della Pubblica Amministrazione è quello del "neminem
laedere", cioè quello di non arrecare danni ad altri
dolosamente o colposamente (secondo quanto stabilisce l’art.
2043 del codice civile che recita: "Qualunque fatto doloso,
o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui
che ha commesso il fatto a risarcire il danno"). Nel caso di
invio di una cartella esattoriale contenente errori, l’amministrazione
sarebbe in colpa in quanto non avrebbe adottato le comuni regole
di prudenza e di diligenza. Se si fosse adottata la dovuta attenzione
da parte degli impiegati o degli addetti alla riscossione, invece,
l’errore sarebbe stato evitato. In presenza quindi di errori non
scusabili o non giustificabili, la Pubblica Amministrazione (un
Comune, un concessionario pubblico per la riscossione delle imposte
o lo stesso Ministero delle Finanze) può essere condannata
a risarcire i danni subiti dal cittadino contribuente.

Per giudizi di questo tipo la competenza
è del Giudice di Pace (ad Altamura, presso l’ex Pretura,
ce ne sono due, 0, 0); ciò comporta notevoli vantaggi per chi voglia
intraprendere un’azione di danni in quanto i tempi della causa
sono estremamente ridotti (basti pensare che, nel caso di Mestre
segnalato, la sentenza è stata pronunciata il 18 settembre
2000 a distanza di appena tre mesi dall’inizio del procedimento,
il 23 giugno 2000) e le spese del giudizio sono quasi del tutto
inesistenti (a parte l’onorario per l’avvocato, che in
caso di vittoria è posto a carico dell’amministrazione
condannata).

Alla luce di questa ultima sentenza
e di altre pronunce giurisprudenziali, il nostro Movimento ha deciso
di mettere gratuitamente a disposizione dei cittadini contribuenti
altamurani un gruppo di avvocati che assicureranno consulenza ed
assistenza legale.

Chi, a causa dell’invio di avvisi
di accertamento errati inviati dal Comune, ha subito in questi mesi
danni ingiusti (giornate lavorative perse per fare la fila presso
gli uffici dell’IPE, spese per eventuali raccomandate inviate
agli uffici comunali, parcelle pagate al commercialista o all’avvocato
per impugnare presso la commissione tributaria gli avvisi di accertamento,
stress e fatica sopportati per far correggere gli errori commessi
dall’IPE) può contattarci agli indirizzi che di seguito
riportiamo. Avvertiamo tutti, però, che per poter esser risarciti
è necessario conservare tutta la documentazione (il primo
avviso di accertamento errato, i tagliandi rilasciati per assicurarsi
un appuntamento presso gli uffici dell’IPE, i permessi per
assentarsi dal posto di lavoro, le ricevute di invio delle raccomandate,
le fatture per le parcelle pagate a commercialisti ed avvocati).

enzo colonna

 

Come contattarci. Scrivete a:

"Movimento cittadino per la
costruzione della città di tutti – Altamura2001", in

C.so Federico II di Svevia, n. 90
– Altamura (presso Associazione Culturale Piazza)

Oppure potete inviarci un messaggio
al seguente indirizzo di posta elettronica:

lacittaditutti@hotmail.com

o lasciare un messaggio nella segreteria
vocale del numero telefonico

0349.0949864

indicando il vostro nome cognome e
recapito telefonico.

Il sito internet del Movimento "Altamura2001"
è:

http://altamura2001.tripod.com

* * *

Questa è la sentenza del
Giudice di Pace di Mestre del 18 settembre 2000.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI MESTRE

Il Giudice di Pace di Mestre, dott. Bernardo CARACCIOLO,
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile di I° grado iscritta al n.
917/2000 R.G. promossa con atto di citazione, notificato il 23 giugno
2000, da

BASCHIERA Regina, nata a Mirano il 26 maggio 1929,
ivi residente in Via Mascagni n. 3, C.F. BSCRGN29E66F241W, rappresentata
e difesa dall’avv. Daniele Marchiori del Foro di Venezia, con
domicilio eletto presso il suo studio in Mestre, Via Monte S. Michele
n. 39

-attrice-

contro

MINISTERO DELLE FINANZE in persona del Ministro pro
tempore, Centro di Servizio I.I.D.D. di Venezia, domiciliata ex
lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia

-convenuto contumace-

In punto: Risarcimento danni ex art. 2043 c.c.

Conclusioni dell’attrice: come da atto di citazione.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato, presso l’Avvocatura
dello Stato di Venezia, al Ministero delle Finanze, la sig.ra Regina
Baschiera, residente in Mirano, conveniva dinanzi all’intestato
giudice, il predetto Ministero in persona del Ministro pro tempore
per sentir pronunciare sentenza di condanna nei suoi confronti al
risarcimento del danno, patito dall’attrice, nella misura di
L. 300.000 o in quella ritenuta di giustizia, con vittoria di spese,
diritti ed onorari di causa.

Esponeva l’attrice, nell’atto introduttivo
del giudizio “che il Ministero delle finanze _ Centro di Servizio
delle Imposte Dirette di Venezia _ provvedeva a notificare (tramite
il concessionario provinciale del servizio per la riscossione dei
tributi di Venezia _ GE.RI.CO S.p.A), la cartella di pagamento n.
6537870 e ciò in data 16.9.98, relativa alla liquidazione
della dichiarazione dei redditi Mod. 740, con richiesta di imposte,
soprattasse ed interessi, per un totale di L. 629.000;

che invece Baschiera Regina nulla doveva pagare di
tutto ciò, atteso che la stessa era “a carico previdenziale”
del coniuge, e ciò sulla base delle disposizioni di legge
sugli assegni familiari (così come indicato al rigo VI del
quadro V Mod. 740, 0, 0);

che pertanto, avendo presentato dichiarazione congiunta
con il coniuge, soggetto di cui l’attrice era previdenzialmente
a carico, e quindi non essendo minimamente tenuta la stessa al versamento
di alcunché trattandosi chiaramente di un errore del Centro
di Servizio delle Imposte Dirette di Venezia, l’attrice si
rivolgeva al proprio commercialista che predisponeva pertanto, in
nome e per conto della signora Baschiera Regina, istanza di sgravio
che veniva regolarmente presentata al Centro di Servizio delle Imposte
Dirette di Venezia;

che tale Centro di Servizio, resosi conto dell’errore
in cui era incorso, in data 18.11.1998 cominciava a Baschiera Regina
l’avviso di sgravio per le imposte dirette “indebitamente pretese”;

che, in data 17.12.99 la signora Baschiera Regina
chiedeva al Centro di Servizio delle Imposte Dirette di Venezia
di conoscere il nominativo del responsabile del procedimento, e
ciò ai sensi degli artt. 4 e 5 della Legge 241/90, e quantificando
nell’importo forfettario di L. 300.000 il danno patito (costo
del commercialista per l’assistenza, viaggi da Mirano a Mestre
per deposito dell’istanza di sgravio, carteggio con raccomandate,
etc., 0, 0);

che il Centro di Servizio indicava nel “Direttore
dell’ufficio” il responsabile del procedimento, e ciò
in data 17.1.2000, ma non prendeva posizioni, né faceva cenno
alcuno alla questione relativa al risarcimento del danno patito
dall’attrice;

che l’attrice ha dovuto comunque esborsare la
somma di L. 100.000 al proprio commercialista, per la prestazione
professionale da questi resa;

che si ritiene pertanto competente a decidere sulla
richiesta di risarcimento del danno il Giudice di Pace di Mestre,
e ciò sia sulla base della competenza territoriale che per
valore, trattandosi di “pagamento somma per risarcimento danni”,
e ciò anche alla luce della sentenza n. 500/99 della Corte
di Cassazione, che ha sancito la risarcibilità al cittadino
anche per la lesione “di un interesse legittimo”, oltre che del
già consolidata orientamento per i diritti soggettivi;

che, non risulta invece competente il “Foro Fiscale
e/o Erariale”, non vertendo la domanda, neppure “incidenter tantum”
su questioni fiscali o finanziarie, né relativamente ad imporre
o tasse, che è stato “riconosciuto” l’errore da parte
del Centro Servizio delle Imposte Dirette di Venezia, e la richiesta
verte esclusivamente in merito al risarcimento del danno patito,
così come documentato ed indicato”.

All’udienza di comparizione, non si costituiva
il Ministero convenuto, benché all’atto di citazione
fosse stato ritualmente notificato presso il domicilio previsto
ex lege.

Pertanto, il Ministero convenuto veniva dichiarato
contumace.

Essendo la causa documentalmente istruita, il Giudice
la tratteneva in decisione alla stessa udienza, fatte precisare
le conclusioni al procuratore attoreo che si richiamava all’atto
di citazione, depositando nota spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il giudicante che la domanda della sig.ra
Regina Baschiera sia fondata, e pertanto, meriti accoglimento.

Sussistono infatti i presupposti per la configurazione
dell’attività dell’amministrazione finanziaria
sotto il profilo della illegittimità oltre che della illeicità,
causativa cioè di un danno lesivo di una situazione di diritto
soggettivo.

In ossequio al principio fondamentale dal “neminem
laedere” anche la pubblica amministrazione deve osservare specifiche
norme e comuni regole di prudenza nonché di diligenza, poste
a tutela dei terzi, e di cui è espressione l’art. 2043
C.C. Il non aver considerato, da parte di chi era preposto al servizio
specifico, che la sig.ra Baschiera è a carico previdenziale
del coniuge, e quindi, non soggetta al versamento di alcuna somma
a titolo di IRPEF, concretizza una condotta negligente, determinante
un evento illegittimo (in quanto contrario alla legge che manda
esenti dall’imposta le persone a carico previdenziale di altre,
come nel caso specifico della moglie) oltre che illecito (in quanto
determinante un danno economico (deminutio patrimonii) che l’interessata
avrebbe di certo subito se si fosse adottata la dovuta attenzione
nella liquidazione della dichiarazione congiunta mod. 740/93 di
cui si tratta.

Con riguardo al requisito soggettivo della colpa,
non può ritenersi che si possa intravedere un errore scusabile
che, se incidente sulla interpretazione della legge, può
considerarsi tale solo se riconducibile ad oggettiva oscurità
della norma violata o altrimenti inevitabile, commessa dalla persona
fisica dell’organo autore della violazione. La norma, che esenta
dall’imposta le persone a carico previdenziale di altre, non
presenta difficoltà interpretative tanto è di palmare
evidenza.

Sussiste, quindi, la colpa dell’autore dell’atto
amministrativo illegittimo, per la condotta da esso tenuta, dovuta
ad errore evitabile se si fosse usata la normale diligenza.

Il danno subito dalla sig.ra Baschiera deriva, sussistendone
il nesso di causalità, dalla liquidazione della dichiarazione
dei redditi, compito precipuo del centro di servizio delle I.I.D.D.
e quale presupposto necessario per l’iscrizione a ruolo, per
cui è tale organo del Ministero delle finanze che va addossata
ogni responsabilità circa la causazione del danno lamentato
dall’attrice, per aver essa corrisposto al commercialista quanto
dovuto per l’attività prestata per la redazione dell’istanza
di sgravio. Tale importo si ritiene congruo rispetto all’importanza
dell’affare.

Si domanda il giudicante se la predetta avrebbe potuto
provvedere di persona alla produzione dell’istanza di sgravio.

La normativa vigente lo consente, ne dà facoltà
e quindi non obbliga. Non si può d’altro canto non tener
conto che l’aver affidato il compito ad un commercialista deriva
dalla innegabile difficoltà che la gente comune, priva com’è
di cognizioni specifiche e presa dal timore di incorrere in sanzioni
per eventuali omissioni o errori si vede quasi costretta a ricorrere
a chi se ne intende per porti al riparo da eventuali rischi. Va,
infine, rilevato che l’estensione alla pubblica amministrazione
della responsabilità civile per comportamento illecito del
dipendente, secondo la previsione dell’art. 28 della costituzione,
postula che detto comportamento sia ad essa riferibile, in quanto
posto in essere nell’ambito di attività diretta al conseguimento
dei suoi fini istituzionali nell’esercizio delle attribuzioni
dell’ufficio o del servizio al quale il dipendente medesimo
è addetto (Cass. N. 5333 del 1988). E ciò è
quanto si verifica nella fattispecie.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciandosi in merito alla causa

BASCHIERA Regina

Contro

MINISTERO DELLE FINANZE

Così decide ex art. 113, 2° comma, C.P.C.:

Accoglie la domanda dell’attrice e, per effetto,
condanna il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro delle
Finanze pro tempore al pagamento, in favore della sig.ra Regina
Baschiera, delle seguenti somme:

L. 300.000 a titolo di risarcimento danni.

L. 480.000 per spese di lite, di cui L. 192.000 per
diritti e L. 250.000 per onorari oltre accessori di legge.

Sentenza inappellabile.

Mestre 18 settembre 2000

Le cose che ci siamo dette all’incontro del 3 febbraio 2001.

Molti di coloro che non hanno potuto
o voluto partecipare all’incontro del 3 febbraio scorso mi
stanno chiedendo come sia andata la riunione. Confesso di avere
una certa difficoltà a tirare le somme di quella conversazione
(tale era nelle intenzioni e tale è stata!). In queste circostanze,
i segni aritmetici del più e del meno (bene) rivelano tutta
la loro inadeguatezza a prestarsi ad operazioni di sintesi.

A dirla tutta, non so se gli indubbi
motivi di soddisfazione nell’aver ritrovato una trentina di
persone attorno ad un tavolo a discutere senza ipocrisie ed infingimenti
sul da farsi collettivo (di questi mala tempora – in cui
sembra del tutto normale che le decisioni di interesse collettivo
siano prese solo dai pochi depositari di un presunto consenso elettorale
– non è cosa da poco!) siano di per sé sufficienti
a superare o almeno a compensare l’amarezza che nasce dal disincanto
o dall’atteggiamento di rinuncia manifestati dalla maggior
parte dei partecipanti all’incontro, nonché da alcuni
episodi accaduti a margine dell’incontro e di cui sono venuto
a conoscenza solo dopo l’appuntamento stesso.

Spero di riuscire a mettere ordine
alle cose da dire e di essere sufficientemente sintetico, come il
buon Ivan Commisso mi sollecita.

A) – Saranno le delusioni del
passato, le inevitabili difficoltà da superare per chi si
voglia proporre come realtà politica (per quanto localistica)
nuova ed alternativa, saranno le resistenze a sentirsi gruppo insieme
a persone che hanno o hanno avuto percorsi politici o posizioni
ideali differenti dalle proprie, fatto sta che i più hanno
segnalato l’improponibilità, in questa fase, di una
lista civica-politica alternativa alle forze politiche in campo
e dichiarato la propria indisponibilità a cimentarsi in prima
persona nella competizione elettorale.

Lo ripeto ancora una volta: mi fa
rabbia assistere ad un simile atteggiamento di rassegnazione rinunciataria
ed inconcludente da parte di persone che, al contrario, – per la
loro storia personale, le esperienze e le capacità spese
per lo più nel chiuso di qualche associazione o riservate
in via esclusiva all’esercizio di una professione o di un’attività
lavorativa – avrebbero delle cose da dire e soprattutto sarebbero
in grado di offrire davvero un’alternativa politica al deserto
delle idee e delle passioni che avanza in città senza sosta
e senza incontrare argini. Il suggerimento, forse ingenuo e sicuramente
banale, che avevo lanciato attraverso l’appello pubblicato
nelle pagine di questo sito era quello di recuperare, in primo luogo,
una rete di rapporti tra persone e gruppi, ora chiusi nel loro anonimo
ed isolato impegno, e farne quindi soggetto collettivo, politico
ed istituzionale, con obiettivi ben precisi e soprattutto con un
metodo ed una cultura di governo davvero alternativi a quelli espressi
in questi otto anni di destra al potere.

Capisco la delusione e l’insofferenza
dinanzi ad un centrosinistra sempre più asfittico e scialbo;
capisco il malcontento generato dall’incapacità e dal
rifiuto di questo centrosinistra di dare ascolto a tutte le anime
della sinistra, anche quelle più sensibili, insofferenti
ai compromessi, critiche e, diciamolo pure, più rompicoglioni;
capisco anche, come qualcuno ha pure detto, che la politica non
si fa solo nel Palazzo, in un consiglio o in una giunta comunali,
che la si fa nelle strade, nelle scuole, nel mondo del lavoro…
comprendo tutti questi argomenti ma, lo ripeto, non giustificano
il disimpegno o la disattenzione rispetto alle cose del cosiddetto
Palazzo. Perché continuare ad elemosinare attenzione ed ascolto
da questo o quel segretario di partito, se questi non ne vogliono
o non sono in grado di prestarne? Perché opporre un rifiuto
sdegnoso al ruolo o alle cose del Palazzo, quando, se non vogliamo
essere ipocriti con noi stessi, è proprio dal quel Palazzo
che attendiamo, quotidianamente, risposte ai problemi reali, esigiamo
sensibilità a certe realtà o tematiche, pretendiamo
che si occupi della tutela della salute e del territorio, di una
migliore qualità della vita per tutti e non solo di una vita
di qualità per i soliti pochi e forti, del recupero di spazi
per una socialità perduta, della riapertura di un teatro,
di una programmazione culturale che superi il grado della decenza,
della valorizzazione delle risorse ambientali e culturali del territorio,
della valorizzazione delle competenze e professionalità degli
altamurani, del rispetto della legalità e della trasparenza
degli atti… o ancora è proprio da quel Palazzo che aspettiamo,
per chi è associazione o cooperativa o impresa, un contributo
per una certa attività, il famigerato patrocinio, una sovvenzione,
una zona industriale o artigianale attrezzata, un lotto per la propria
azienda, servizi reali per i cittadini e le imprese, la concessione
di una masseria comunale per organizzare dei campi di lavoro o un
ostello…

Ecco, perché guardiamo sempre
al Palazzo se è così brutto, perché lo frequentiamo,
in atteggiamento questuante, se puzza così tanto? Insomma,
quello che proponevo era di entrare nel Palazzo, ma dalla porta
principale ed a fronte alta, per fare delle cose (magari poche)
e non solo per chiederle. Prendo atto, alla luce della conversazione
del 3 febbraio e delle assenze riscontrate in quell’occasione,
che questa è solo la mia opinione e di pochi altri.

B) – Su un punto tutti i partecipanti
all’incontro si sono mostrati concordi: sulla necessità
di fare gruppo, di unire le energie, essere presenti durante e dopo
la competizione elettorale e prendere delle iniziative, creando
magari un coordinamento permanente. Pur facendo mia questa esigenza,
al momento confesso di non avere molte idee sul come si riesca a
fare gruppo e sul cosa e come fare. Sarò troppo persuaso
delle mie idee (anche quelle banali ed ingenue!), ma vedevo nella
creazione di una lista elettorale lo strumento più concreto
per cementare un gruppo, forse anche in maniera un po’ artificiosa
e con qualche forzatura; consideravo la scadenza elettorale prossima
come l’occasione migliore per mettersi alla prova in quanto
avrebbe impegnato TUTTI ad incontrarsi, discutere, elaborare una
proposta politica e programmatica, a fare delle iniziative. Esclusa
questa strada, non resta che pensare tutti al da farsi e da questo
punto di vista il sito di Altamura2001 può essere lo strumento
attraverso cui veicolare idee, argomenti e suggerimenti: se un osservatorio
libero dai condizionamenti dei gruppi di potere si vuol creare,
quale opportunità e spazio migliori di quelli offerti da
internet e da questo sito che, in questi mesi, si è conquistato
un significativo numero di visitatori?

Molti dei presenti, inoltre, hanno
anche proposto che questo gruppo spenda argomenti ed energie mobilitandosi
in occasione delle elezioni di primavera: o fornendo indicazioni
programmatiche ai candidati alla carica di sindaco o concentrando
i propri voti su un partito o su una singola persona del gruppo
da immolare in una delle liste di partito presenti nella competizione
elettorale o ancora facendo campagna elettorale per un voto di protesta
motivato che prenderebbe le forme di una scheda elettorale da annullare
in un modo da concordare tutti insieme. Anche su questi spunti,
vi invito a dire la vostra nel Forum di discussione presente in
questo sito.

C) – Infine, qualche parola
su alcuni episodi che mi hanno amareggiato e disorientato. Li riferisco
così come sono, senza alcun commento, in quanto di per sé
eloquenti: 1) mi è dispiaciuto che qualcuno (uno o due, a
dire il vero) non abbia approfittato dell’occasione, particolarmente
distesa, franca e colloquiale, per tacere evitando così provocazioni
inutili, sarcasmi ingiustificati ed accuse gratuite di disimpegno
e di qualunquismo; 2) mi ha amareggiato constatare che qualcuno
era lì presente con l’unico scopo di correre a riferire
le "nefandezze" dette o commesse nell’incontro a
qualche esponente di partito (evidentemente, così gli era
stato ordinato dal suo padrino politico!). Ma perché, se
la riunione non era affatto segreta o carbonara, come pure qualche
disinformato la definiva? Era stata ampiamente annunciata attraverso
questo sito ed attraverso i miei messaggi di posta elettronica e
si è tenuta al Centro Servizi Sociali con le porte aperte
a chiunque avesse avuto interesse o piacere ad incontrarsi con altri
e discutere su un argomento che era pure stato ampiamente anticipato.
Quanto alle nefandezze temute… il tutto si è ridotto a
qualcosa che riesce a sorprendere e spaventare i politici locali:
una discussione libera ed aperta. Amareggia, quindi, non certo che,
la mattina successiva, qualche esponente politico locale sghignazzava
sugli esiti e sui toni dell’incontro (peraltro riportati con
una certa fedeltà dall’agente infiltrato), ma che mi
sia preclusa la possibilità di sapere in chi abbiamo riposto
stima senza che la meritasse: insomma, chi è lo stronzo?;
3) mi ha amareggiato ancora, sebbene non mi sorprenda più
nulla di questi tempi (mala tempora!), apprendere che qualche
maggiorente del centrosinistra locale, terrorizzato all’idea
che qualcuno avesse deciso di incontrarsi e discutere sulle proprie
scelte politiche, avesse sollecitato qualcuno a partecipare all’incontro
con l’obiettivo di demolire o scoraggiare un’eventuale
prospettiva di lista.

E’ davvero tutto. E’ quanto
dovevamo non certo per un generico dovere di cronaca, ma per la
trasparenza ed il rispetto che Altamura2001 deve nei confronti di
coloro che hanno iniziato o iniziano solo ora a dare fiducia e speranza
alla nostra iniziativa.

L’unica conclusione che è
possibile trarre è che non basta più, a questo punto,
dire che viviamo tempi cattivi (nel senso di mediocri, meschini,
compromessi, senza senso e prospettiva), ma è necessario
esserne fino in fondo persuasi ed attrezzarsi di conseguenza ad
una difesa democratica, ideale ed autenticamente civile.

enzo colonna

lacittaditutti@hotmail.com

 

Il consigliere regionale Ventricelli ci scrive…

Riteniamo quest’ultima presa
di posizione del consigliere Ventricelli particolarmente significativa
ed apprezzabile, non solo perché ci viene presentata "come
un tentativo di ripresa dell’attenzione" e, aggiungiamo
noi, "del dialogo" sul tema, ma soprattutto perché,
in modo chiaro e deciso, contiene un impegno per il futuro ("che
il deliberato del Consiglio sia eseguito nell’interesse di
tutti quei cittadini che hanno sottoscritto la petizione")
ed una forte sollecitazione rivolta a quegli esponenti del centrosinistra
altamurano che sono nelle condizioni, operando pure all’interno
del Consorzio Teatro Mercadante, di imprimere una decisa svolta
all’intera questione nella direzione auspicata da migliaia
di cittadini e dal Consiglio comunale, vale a dire dell’acquisizione
al patrimonio collettivo del Teatro.

Le riflessioni dell’avvocato
Michele Ventricelli ci impongono una sola puntualizzazione: per
quanto ci riguarda, non ci sembra di essere mai incorsi nell’errore
di semplificare o banalizzare le posizioni ponendo "tutti sullo
stesso piano". Anzi, come facilmente si evince da tutta la
nostra documentazione riportata in questo sito e dal nostro ultimo
comunicato (quello del 5 febbraio 2001), ci siamo sempre sforzati
di richiamare tutti ai propri doveri ed alle proprie responsabilità,
avendo cura, sempre, di indicare nomi, ruoli, posizioni ed impegni
di ciascuno. Il fatto è che non sempre (anzi quasi mai) e
non da tutti (anzi solo da pochissimi, tra cui anche il consigliere
Ventricelli) ci sono giunte parole chiare ed iniziative concrete.
Ma di questo, ovviamente, non possiamo rispondere noi.

Altamura, 22 febbraio 2001














Comitato
"Il Teatro di tutti"
comitatoteatro@hotmail.com













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