Sisifo

Sisifo, ai piedi della montagna, ritrova sempre il proprio fardello. Il suo destino è spingere una roccia sulla cima di una montagna. Camus immaginava un Sisifo felice. Ecco, bisogna imparare e conquistarsi questo genere di felicità. Non è semplice e soprattutto un ruolo decisivo lo hanno gli “altri”, quelli che ti sono vicini, quelli che ti guardano, rispettando, riconoscendo e amando te impegnato nello sforzo.
Nessuno si salva da solo.
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«Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. … egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.» [Albert Camus, Il mito di Sisifo]