Indymedia, che i giornali con le consuete semplificazioni descrivono come un sito “no-global”, è un portale internazionale di contro-informazione (Indipendent Media Center) che anche noi abbiamo varie volte utilizzato come fonte di notizie altrimenti introvabili: ad esempio per la storia della bandiera italiana a Nassiriya e per la documentazione fotografica della contro-convention di New York. Il sequestro degli hard-disk, che ha causato l’oscuramento, fra l’altro, della versione italiana di Indymedia è di un’estrema gravità per la libertà di espressione perpetrata da un paese in cui la libertà di parola è un assunto costituzionale.
Non essendo né un sito pedofilo, né filo-terroristico non esiste alcun presupposto legale per la richiesta di un sequestro, per di più all’estero, sulla base di valutazioni assolutamente soggettive (a cui attiene il caso, ad esempio. della “diffamazione”). A questo si aggiunga che gli agenti non hanno esibito alcun mandato di sequestro che rendesse noto quali siano le accuse avanzate.
La gravità intimidatoria dell’atto, che comporta la sospensione a tempo inderminato dei servizi informativi, può essere paragonata solo al sequestro, di fascistissima memoria, di un giornale, magari con l’aggiunta di po’ di olio di ricino ai giornalisti indisciplinati.
La Fnsi, Federazione Nazionale della Stampa, per bocca del suo segretario Paolo Serventi Longhi, così come la Ifj, Federazione giornalistica internazionale che rappresenta più di 500 mila giornalisti in oltre cento Paesi) ritiene che siamo di fronte a “un’intollerabile e invasiva operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata nel giornalismo indipendente”.
Ed è difficile credere all’estraneità del governo italiano ascoltando i commenti alla vicenda degli esponenti della maggioranza.
Per Francesco Giro (Forza Italia), “L’oscuramento di Indymedia era scontato, visto che a carico di questo sito internet erano in corso inchieste da Brescia, Bologna, Bari, Napoli, Salerno. La sinistra invece di versare lacrime di coccodrillo, avrebbe forse fatto meglio a sollecitare Indymedia a moderare i toni talvolta gravemente diffamatori verso l’Italia e le sue istituzioni”.
Esulta anche Mario Landolfi (An) che, già pochi giorni dopo l’eccidio di Nassiriya nel novembre 2003, aveva chiesto al governo di chiudere il sito per rappresaglia per i commenti sui militari italiani pubblicati da Indymedia.
Visto che abbiamo pubblicato allora le stesse notizie di Indymedia, nella logica perversa di intendere la libertà di stampa di questa destra, anche Socialdesignzine è a rischio chiusura.
“Oggi l’informazione è sovversione”. Solidarietà a Indymedia.