Siamo in guerra e non lo sapevamo. Lo abbiamo appreso dalla netta dichiarazione del colonnello Roger King, il portavoce americano di Enduring Freedom. Non lo abbiamo appreso dal nostro parlamento o dal nostro governo, ma da un colonnello Usa, neppure un generale: un colonnello-portavoce. Parlano i fatti. Qualche mese fa – con un voto pasticciato, un po’ imbroglionesco e mortificante per la sinistra – il nostro parlamento aveva approvato l’invio in Afghanistan di un migliaio di alpini. In missione di pace, peace keeping, ci avevano detto. Adesso gli alpini sono cominciati ad arrivare in Afghanistan e il succitato colonnello Usa ci ha spiegato che quella dei nostri alpini è «essenzialmente una missione di combattimento», niente a che fare con il peace keeping: non si tratta di difendere qualche villaggio, ma di snidare alcune centinaia di cattivi terroristi dalle grotte nella quali si annidano.
Il colonnello è stato chiaro e il nostro ministro Antonio Martino, che si dice candidato al comando della Nato, non ha osato zittirlo e smentirlo, ma ha farfugliato aggiustamenti che confermano: i nostri alpini sono in guerra.
Sarebbe facile demagogia dire che un colonnello Usa conta assai più di un ministro italiano, se non fosse che il colonnello Usa non ha fatto una prepotenza, ma ha detto le cose come stanno, ha detto la verità . Le regole di Enduring Freedom sono queste, dobbiamo averlo ben chiaro alla vigilia della guerra all’Iraq, che è la continuazione di quella all’Afghanistan e l’accelerazione di disastri annunciati.
Il caso degli alpini è assolutamente eloquente: il parlamento e soprattutto la sinistra e anche la Margherita non possono ciurlare nel manico, come in effetti è avvenuto nel voto sugli alpini. Non è tempo di prendere tempo, di rinviare il voto o di trovare distinguo tra interventi umanitari e interventi guerreschi: il colonnello King le furbizie del parlamento italiano le ha prese motivatamente a calci. O si è subito, prima che si scateni, contro la guerra «senza se e senza ma» e senza grotteschi motivi di buona creanza nei confronti dell’Onu oppure significa che di buon o cattivo grado il nostro paese ha accettato di entrare in guerra e che saremo al seguito del nostro cavaliere, in questi giorni impegnatissimo a vendere sui mercati internazionali i missili e le bombe di Bush.
Le sinistre e soprattutto Ds e Margherita dovrebbero aver chiare almeno due cose. La prima è che quella che si annuncia è tutto il contrario di una guerra lampo: distruggere Baghdad, oltre che un delitto contro l’umanità e la sua storia sarebbe solo l’innesco di altre distruzioni, odi e morti per un lungo periodo (guerra di trent’anni) e in tutto il mondo. La guerra e il gioco delle armi hanno cambiato di natura: non ci sono più difese né luoghi sicuri. La seconda conseguenza della guerra è l’ingresso nel regno dell’emergenza. Non ci sarà soltanto il vecchio «taci, il nemico ci ascolta», ma la drastica riduzione di tutte le libertà e di tutti i conflitti che sono stati e sono ancora il motore della civiltà , anche di quella nostra cosiddetta occidentale. Per fare un caso di stagione, in Italia siamo entrati nella stagione dei rinnovi contrattuali per milioni di lavoratori ed è certo che con la guerra, il terrorismo, i pakistani di Napoli e quant’altro ogni sciopero, anche minore, sarà condannato e contrastato come sabotaggio contro il paese in armi, come collusione con il nemico.
La situazione è questa e non c’è tempo da perdere per dire no alla guerra. Giovedì si riunisce il parlamento: andare al voto è responsabile e doveroso. Cincischiare, rinviare sarebbe non solo per le sinistre, ma per tutti i democratici, anche per quelli di ispirazione liberale o cattolica, un avvio di suicidio.