Le ragioni per un tribunale penale internazionale

ARIEL SHARON, QUANDO IL CRIMINE PAGA

Di Stefano Chiarini, da Il Manifesto 27 giugno 2002

Apoche ore dal discorso del presidente americano Bush che ha sancito, irresponsabilmente, il principio della legittimità  dell’«acquisizione di territori con la guerra», la Corte d’appello belga ha seguito la stella cometa dell’arbitrio bloccando il processo a carico del premier israeliano Ariel Sharon (Bush non lo ha forse definito «un uomo di pace»?) accusato di crimini di guerra per le sue responsabilità  nel massacro di Sabra e Chatila. Ma non è stato facile. E non è affatto detto che la partita sia chiusa. Anzi. Ci sono voluti otto mesi alla Corte d’appello per trovare un cavillo giuridico (la non presenza in Belgio degli accusati) che impedisse la messa in stato di accusa di Ariel Sharon -nel 1982, ministro della difesa, ideatore della invasione del Libano (30.000 morti) e responsabile dell’invio delle milizie falangiste alleate di Israele dentro Sabra e Chatila «per ripulirli dei terroristi»- e dei suoi generali, in primo luogo Amos Yaron, attuale direttore del ministero della difesa e allora comandante della piazza di Beirut. Una decisione quella della Corte d’appello che assesta un duro colpo alla legge del 1993 (modificata nel 1999) sulla «giurisdizione universale» nel caso di crimini di guerra e contro l’umanità . Il tribunale così facendo si è espresso diversamente dalla Procura generale secondo la quale Sharon non sarebbe stato perseguibile perché coperto dall’immunità  diplomatica in quanto capo del governo ma non così i suoi generali (il capo di stato maggiore Rafael Eitan «i palestinesi sono bacherozzi impazziti», il comandantre del Fronte Nord Amir Drori, e il comandante di divisione Amos Yaron) che invece dovevano essere messi sotto accusa. «Il corso della giustizia è stato interrotto – ha sostenuto Chibli Mallat, uno degli avvocati dei 23 parenti delle vittime o sopravvissuti che hanno denunciato Sharon- ma i nostri sforzi per rimettere in discussione l’impunità  per i crimini di guerra commessi a Beirut 20 anni fa continua in Belgio e altrove». E ancora: «La decisione di oggi costituisce una battuta di arresto sia per la legge umanitaria internazionale, sia per tutte le vittime che cercano giustizia per i massacri di massa». E dello stesso parere sono Amnesty International «una catastrofe» e Human rights Watch. Ma gli avvocati, le famiglie delle vittime e i compagni del comitato «Per non dimenticare Chatila» lanciato da Il Manifesto tre anni fa, non considerano affatto chiusa la loro campagna per l’incriminazione dei Sharon. Non solo per gli uccisi in quella torrida estate del 1982 ma anche perché una sua incriminazione contribuirebbe non poco a porre un freno al dilagare dei crimini di guerra nei territori occupati. La comunità  internazionale non può continuare a chiudere gli occhi di fronte al terrorismo israeliano che ieri uccideva il Conte Folke Bernadotte per impedire il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case e che lo scorso gennaio, con tutta probabilità , ha «eliminato» con una devastante autobomba per le vie di Beirut, Elie Hobeika, il capo dei falangisti a Sabra e Chatila due giorni dopo una sua dichiarazione nella quale si diceva pronto a testimoniare sulle responabilità  di Sharon. Se infatti Hobeika, anche lui accusato per Sabra e Chatila, avesse messo piede in Belgio ecco che la Corte d’Appello di fronte alla presenza fisica di un accusato non avrebbe potuto sostenere la mancanza di ogni legame tra il caso e il Belgio. Nel caso Sharon, per ora, «il crimine ha pagato». Ed è inquietante che lo stesso tribunale belga si fosse rifiutato per mesi di convocare Hobeika sostenendo di non sapere dove si trovasse. L’obiettivo di Sharon infatti è stato sin dall’inizio quello di evitare il processo e soprattutto le indagini sulle sue responabilità  nel massacro. Sharon infatti in quanto ministro della difesa e comandante dell’operazione condotta «sotto la sua supervisione» è stato giudicato «personalmente responsabile» dalla Commissione di inchiesta israeliana presieduta dal giudice Kahane.

A di là  della sentenza della corte d’appello belga la campagna internazionale per l’incriminazione di Sharon -parte della più generale mobilitazione per il riconoscimento della «giurisdizione universale» che ha portato alla formazione del Tribunale penale internazionale- è riuscita a far riemergere dalle nebbie della memoria quell’orrendo massacro che tutti volevano dimenticare e ad ottenere che Sharon e Yaron fossero incriminati per ben due volte dalla Procura belga. Ora, con tutta probabilità , gli avvocati delle vittime ricorreranno alla Corte suprema e presenteranno una nuova denuncia se il premier israeliano o i suoi generale dovessero mettere piede sul suolo belga. Parallelamente il senatore Vincent Van Quickenborne, del partito liberale, introdurrà  una proposta di legge per aprire la strada al processo anche in assenza degli accusati. E una legge per l’introduzione anche in Italia della giurisdizione universale, attuando così quanto chiesto al nostro paese dalla convenzione di Ginevra, elaborata dal giurista Domenico Gallo verrà  presentata al parlamento dal deputato Mauro Bulgarelli (Verdi) e da Giovanni Russo Spena (Rifondazione) e al senato da Gianfranco Pagliarulo (Pdci). Il tutto culminerà  il prossimo 16 settembre a Beirut con una cerimonia a Sabra e a Chatila nel ventennale del massacro, organizzata dal comitato «per non dimenticare Sabra e Chatila», con le famiglie delle vittime, giusristi, avvocati, Ong palestinesi e libanesi per ricordare al mondo che quelle povere vittime nelle fosse comuni esigono da tutti noi che sia resa loro giustizia.