SIAMO TUTTI MINORANZA. VINCE O PERDE IL PAESE

In queste ore si sta consumando un importante passaggio parlamentare. Metto in fila un paio di dati oggettivi e alcune riflessioni (per quello, nulla, che valgono).
1) Due anni, poco più, sono gli anni che restano di questa legislatura. Nessuno dei parlamentari, è chiaro a tutti, ha la minima intenzione di andare al voto prima della scadenza.
2) Non c’è in Parlamento una maggioranza politica espressa dall’elettorato. C’erano e ci sono tre blocchi, forse quattro o cinque. Tutti minoranza. Anche come conseguenza di un indecente sistema elettorale a cui, da molti anni, ci costringono. Tutti minoranza, in Parlamento e nel Paese reale, armati l’uno contro l’altro.
3) È necessario affrontare i problemi (sanitari, sociali, economici) posti dall’attuale e prolungato stato di emergenza.
4) È necessario affrontare le sfide poste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che l’Italia deve prima definire e presentare in sede europea nell’ambito del Next Generation EU e, poi, attuare in tempi stretti.
5) Questo Piano è tema, ripeto, particolarmente delicato perché ci si propone di adottare significative modifiche dell’assetto normativo, in diversi ambiti, e perché implica un’imponente operazione di indebitamento, che, vado cauto, ha pochi precedenti. Gran parte dei duecento e passa miliardi di cui di parla, infatti, l’Italia dovrà restituirla all’UE sotto forma di rate di debito o di maggiori contributi per i prossimi 15-20 anni.
6) Si tratta di decisioni, dunque, che coinvolgono tutti e vanno ben oltre questa stagione politica, al di là di questa o quella maggioranza, al di là di questa generazione.
7) Si tratta di un passaggio storico e di decisioni che non possono essere affrontate con una maggioranza numerica, strettissima peraltro e frutto di piccoli posizionamenti parlamentari (cambi e scambi). Non si affrontano i temi che ho richiamato con la presunzione di essere maggioranza e fare da soli. Non si affrontano con l’alternativa secca “o tutto o niente”. Non si affrontano come fosse un torneo ad eliminazione diretta o un gioco dei quattro cantoni o una prova muscolare sul “chi è più forte”.
8) Queste maggioranze vanno e vengono. Questi parlamentari vengono e vanno e, in gran parte, tra due anni non saranno più in Parlamento. Ma le decisioni o le non decisioni di ora determineranno conseguenze irreversibili, per molto tempo. E questo non può lasciare sereni chi tiene ancora a questo Paese e al suo Futuro.
9) Più che mai è il tempo di non sprecare tempo, di ragionare sopra il daffare. Dovremmo soppesare ogni decisione, farne frutto di intelligenza collettiva, senza furori ideologici, senza tifo di partito, senza innamoramenti leaderistici.
10) Vince o perde l’Italia, non Renzi o Conte, Zingaretti o Salvini, Di Maio o Berlusconi, Calenda o Meloni. Il Paese, come sarà, sopravvivrà comunque a tutti loro, come a noi tutti. Le decisioni investono il nostro destino collettivo, non le fortune di un leader. E dietro l’angolo non c’è affatto il rischio per la carriera di un leader o per le fortune di un partito, semmai rischiamo una sconfitta come Paese, come futuro possibile.
11) Non servono guru elettorali, grandi esperti di politica, comunicazione social e sondaggi, per cogliere i segnali, lo spirito dei tempi. Il problema è che chi fa politica, a tutti i livelli, incontra difficoltà, fatica o poca pazienza, nel leggere la realtà o, meglio, la legge attraverso la lente dei propri schemi, dei propri schermi digitali, dei propri calcoli, delle proprie ambizioni, delle proprie sovrastrutture mentali spesso elitarie e scollegate dal vissuto di tutti i giorni. La realtà viene così deformata e si va incontro a sconfitte e delusioni.
12) Il problema, per chi fa politica ed opera nelle istituzioni, è recuperare una centratura con il presente e nella realtà, con la necessaria connessione fisica, razionale e sentimentale con gli elettori, le persone vere che incontriamo tutti i giorni, non figure astratte di elettori, non followers o like. Questo significa essere semplici, ma non banali. Popolari, ma non populisti. Diretti, ma non volgari. Seri, ma non cinici. Razionali, ma non calcolatori. Competenti, ma non supponenti.
13) Al solito, rischiamo di essere vittime non di troppa politica, bensì dell’assenza della politica, dell’impulso automatico a negare la complessità della situazione e delle sfide di portata ben superiore all’adeguatezza delle singole forze in campo, della compulsiva bocciatura di tutto, proprio tutto, ciò provenga dall’avversario (confinato, quando va bene, all’indifferenza o al dileggio), dell’immiserimento del dibattito politico alla sterile prova muscolare o alla negoziazione segreta di posizioni di potere.
14) Si continua a non capire che siamo tutti minoranza. È necessario avvertire il dovere e l’umiltà di gesti nuovi per non perdere tempo e occasioni. La Politica non può ridursi a gesti improduttivi e parole che si disperdono. Del nulla resta e resterà il nulla, solo spreco di opportunità, di energie, di parole e di tempo. Ed invece, bisogna rimettersi in cammino.
Tutto questo, a mio parere, rende necessario, non semplicemente opportuno, un Governo in cui siano impegnate tutte le forze politiche. Un Governo in cui tutti siano utili (e tali si possano e debbano sentire) e nessuno indispensabile. Si sta facendo, temo, il contrario. Acconciare una maggioranza, con numeri incerti, in cui ciascuna forza, addirittura ciascun singolo parlamentare, si riterrà indispensabile a prescindere dalla propria utilità alla causa collettiva e dalla propria responsabilità.