Non sono un esperto di calcio, di sport, come non lo sono di tanto altro. Non seguo il calcio, come, del resto, non riesco a seguire tanto altro. Maradona, per me, è solo il ricordo del gol all’Inghilterra, un arcobaleno disegnato sul campo. Sono attento, però, ai gesti, alle parole, ai sentimenti, espressioni della nostra umanità, dimensione grande e complessa, sorprendente sempre, perché irriducibile in categorie, imprevedibile secondo schemi. Parole, gesti, sentimenti, la fenomenologia dell’umano. Mi colpiscono, per accarezzarmi o ferirmi. Capaci di riscaldare o illaidire, motivare o paralizzare. Li sgrano come con un rosario. Ogni tanto l’incedere inciampa, indugia, si arresta quando incontra il grano più grosso. Beh, il discorso vale sempre… ma oggi è solo per condividere queste parole (che mi hanno colpito) di Dino Zoff, “solo” un giocatore d’altri tempi, ma per quello e per come lo dice, sarebbe degno, di questi tempi, di uno spazio in prima serata, di un leggio in teatro, di una copertina da libreria impegnata, di una cattedra, di un taglio alto di un quotidiano, di uno scanno al parlamento.
“L’arte è prepotenza, illumina ogni cosa.”
Buonanotte.
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«Il più grande di tutti i tempi, il più memorabile artista. Io li amo, gli artisti. E li ho sempre invidiati perché sanno creare. Sa, io sono un portiere e il mio lavoro è parare la creatività degli altri, solo questo. Mai mi sono permesso di giudicarlo perché l’arte è prepotenza, illumina ogni cosa. Un artista non si comporta come i comuni mortali. Diego è stato il più speciale fenomeno che io abbia mai visto su un campo di pallone. Da allenatore lo avrei lasciato libero di fare quello che voleva. Mica puoi rompere le scatole a un genio, o chiedergli di fare il terzino, di coprire. Anche se poi era amatissimo dai compagni perché non li lasciava mai soli a sgobbare per lui. Dava fiducia agli altri, che pensavano: teniamo duro, tanto lui ci fa il numero e vinciamo.» (la Repubblica, intervista a Dino Zoff)