Noto una sorta di fissità dello sguardo da parte delle istituzioni (a tutti i livelli) sulle scuole. Fissità dello sguardo e dei pensieri. Ogni discussione o decisione sui contagi plana inesorabilmente sulla chiusura giornaliera, a tempo determinato o indefinito. Quasi che il problema siano le scuole e nelle scuole. Sembra quasi che, più che luoghi di formazione e cultura, siano il terreno di coltura del virus, luoghi di untori da cui difenderci e difendere i nostri figli.
Così non è e lo sanno tutti. Come ho più volte sottolineato con riferimento al nostro territorio (ma evidentemente non sono chiaro io), le scuole sono i luoghi più sicuri di tutti in fatto di controllo e prevenzione della circolazione del virus (dei virus), quelli in cui cautele, prudenze, protocolli, vengono adottati effettivamente, assieme al rispetto per gli altri. Dai più piccoli ai più grandi e grazie al lavoro di docenti, dirigenti scolastici, personale, grazie ai genitori: distanze fisiche, mascherine, igienizzanti, ecc.. Così non è in alcun altro luogo, pubblico o privato, e lo sappiamo tutti. E allora perché continuare a insistere con la questione scuole.
Semmai, il problema delle scuole è il mare di adempimenti e formalità. Una rigidità che non aiuta ad affrontare situazioni complicate. Certificati medici di base che non si sa cosa dovrebbero certificare per il rientro in classe, mail di qua e di là, compiti da mettere in “quarantena”, sospensione di intere classi per i famigerati 14 giorni quando emerge un caso positivo e chiusure, non dovunque fortunatamente, per sanificazioni della cui pratica utilità e dei cui tempi di effettuazione è possibile e lecito dubitare (si possono fare di pomeriggio, di sera e, se si vuole, anche di notte, senza sacrificare le mattinate). Spero solo che possano partire presto i tamponi cosiddetti rapidi, su cui, per quanto mi è stato possibile nella mia posizione di uscita, ho speso parole in sede regionale. Sono esami con esito in pochi minuti e che danno certezza sull’assenza del contagio (negatività).
Per il resto, Viva la Scuola, vivano le scuole! Anzi, se potessimo, se ci fosse il personale che non c’è, dovremmo passare al tempo pieno per come sono più sicure di qualsiasi altro luogo che non sia il letto di casa. Altro che chiuderle!
C’è un’altra circostanza che, confesso, affligge e deprime. Aggrava il tutto e restituisce la natura dei tempi. Se ci risulta facile intuire il costo della sospensione o chiusura di un’azienda, di un esercizio commerciale, di uno studio professionale, purtroppo non riusciamo più a percepire la perdita in termini culturali, formativi, educativi, sociali ed anche economici della sospensione o chiusura di scuole, università, dei luoghi di cultura in generale (quindi, anche biblioteche, teatri, ecc.). Se potete, per un supplemento di riflessione, date un’occhiata agli scenari, nel mondo, di guerra, carestia, povertà assoluta. Le immagini della rinascita, della vita che resiste e supera tutto, ben altro rispetto a quello che stiamo affrontando, beh, sono le immagini di bambini che tornano in aule e tra banchi che tali non sono, sono i ragazzi che si tengono stretti i propri pochi libri e nelle lezioni e biblioteche universitarie vedono la propria strada, nonostante tutto, tra le rovine dei luoghi e delle esistenze.
____
Lo sguardo, ripeto anche questo, andrebbe rivolto a tutto ciò che è fuori delle scuole: scuolabus, mezzi di trasporto pubblico, luoghi di ritrovo spesso di bivacco di comitive e gruppi (con molti adolescenti o in età preadolescenziale) e che non sono laboratori urbani, biblioteche, sale concerto o teatri, discoteche e nemmeno bar, pizzerie, pub, distributori automatici o comunque esercizi autorizzati, ma locali, localetti, tuguri in pratica, diffusi nel centro storico. Per non parlare di altri spazi oggettivamente incontrollabili perché oggettivamente inadeguati alle funzioni a cui vengono piegati da anni. Mi riferisco, come ho già fatto più volte, ai mercatini di quartiere (cosa impedisce distribuire e distanziare i banchi di vendita?) e soprattutto al mercato settimanale. Per questo, basterebbe iniziare a sperimentare un’altra ubicazione, ad esempio, sto proponendo da tempo e in più occasioni, lungo il viale, ampio e lungo (un chilometro circa), che collega via Corato a piazza Stazione, agevolmente raggiungibile da mezzi che arrivano da fuori e dai cittadini avventori. In attesa di altre e definitive soluzioni, questa fase di emergenza, esigenze di distanziamento fisico e il rispetto che dobbiamo al lavoro e al diritto dei mercatali a lavorare, dovrebbero indurre a togliere il mercato settimanale da una zona angusta, problematica, congestionata, come quella di via Manzoni.