《… proprio della Democrazia e perciò della vera Libertà è rendere i popoli dolci, indulgenti, generosi, magnanimi》
Parole, che aprono mente e cuore, pronunciate da Eleonora Pimentel Fonseca prima di essere condotta al patibolo nel 1799 (nell’immagine, uno stralcio del Monitore Napoletano, n. 14 del 23 marzo 1799).
Un Manifesto politico e ideale. Così le ho interpretate l’altra sera, dopo averle ascoltate per la prima volta grazie al bell’intervento dell’avvocato Francesco Lembo, collezionista campano appassionato di quella stagione storica, in occasione di un convegno organizzato venerdì sera dall’Associazione AlGraMa.
Un Manifesto che impegna ad affrontare l’inferno dei viventi, “l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”, scegliendo il modo più rischioso, arduo, spesso doloroso, tra i due segnati da Italo Calvino: 《Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.》
O, per dirla con Danilo Dolci, 《rivoluzione è distinguere il buono già vivente, sapendolo godere, sani, senza rimorsi, amore, riconoscersi con gioia》e 《sognando gli altri come ora non sono》perché 《ciascuno cresce solo se sognato.》
Tempo fa, Erri De Luca citava Eschilo, che nel suo “Prometeo incatenato” fa dire a Oceano : “O Prometeo non sai che le parole fanno da medicina all’animo dolente?”, per concludere che 《oltre alle parole, alla nostra portata esistono gesti di simpatia e premura che rinnovano il patto di ognuno col resto della specie umana. Profumano di legno di cirmolo.》 Perché, come ricordava il mio Maestro, il Prof. Michele Costantino, citando Alain de Botton, 《forse è proprio vero che di fatto non esistiamo finché non c’è qualcuno che ci vede esistere, che non parliamo finché qualcuno non è in grado di comprendere ciò che diciamo; in sintesi, che non siamo del tutto vivi finché non siamo amati》.
Da qui, il richiamo di Marco Pannella al “dovere di essere speranza”, ben più importante e decisivo del “diritto ad avere speranza”.
Ecco, sono i miei Manifesti politici e ideali – per un “senza casa partitica” come me – su cui mi metto alla prova tutti i giorni e su cui tento di imbastire, ogni giorno da molti anni, un impegno nella politica e nelle istituzioni.
Temo – da quanto vedo, leggo, sento e soprattutto non leggo e non sento dalle nostre parti, anche le più vicine – di non essere riuscito granché a contribuire a determinare un avanzamento nella politica e nella comunità locale nella direzione indicata da quei Manifesti ideali. Dalle nostre parti, temo, ne abbiamo di strada da fare, se diffusi, nel ceto politico e tra quanti si occupano o commentano di politica, sono cinismo, indifferenza, tendenza strumentale a prendere generosità per stupidità o coglionaggine, incapacità di cogliere e salvare il buono che è in mezzo a noi, di alimentare generosità e indulgenza, di rispettare il lavoro e l’impegno altrui.
Sarà l’età… o, meglio, è l’esperienza negli anni che mi ha fatto acquisire questo dovere, direi urgenza, dell’essere indulgenti, che non significa non vedere i problemi, che non significa essere stupidi, che non significa accettare placidamente che le cose vadano per il verso loro. Nulla di tutto questo.
Significa mettere in conto che il mondo e la realtà sono imperfetti, perché noi siamo imperfetti e i difetti degli altri sono i nostri difetti.
ENZO COLONNA
P.S.: di questo, della nostra imperfezione e del valore dell’opera quotidiana [oltre che della loro promessa palestra 😔😊], parlai venerdì mattina a diverse decine di bambini della Scuola Don Milani di Altamura in visita al consiglio regionale. Con loro, con i nostri piccoli, è sempre un’emozione.