L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Non conosco chi abbia realizzato questo video. Desumo dalle parole che sia un tecnico coinvolto nella progettazione. Lo riprendo perché a differenza di quello che ho realizzato ieri percorrendo il nuovo tratto della statale 96 a pochi minuti dalla apertura [vedi e leggi qui], con i miei commenti, riporta indicazioni tecniche e restituisce l’orgoglio di chi ha lavorato.
Per noi, per tutti gli altri, come non rimanere emozionati dinanzi all’opera dell’uomo, a quello che l’uomo è capace di creare? Come non rimanere affascinati dalla maestria degli operai, la efficienza di imprese, l’ingegno di professionisti, la professionalità di funzionari e tanti pezzi dell’istituzioni pubbliche? Come non essere grati dinanzi alla fatica, al lavoro?
A leggere certi commenti (di una sparuta pattuglia, invero) dinanzi ad un’opera realizzata, si resta sgomenti. Ti fanno cadere le braccia.
Il lavoro è stato tanto e di tanti, visibile, tangibile. Dinanzi al lavoro sono doverosi i ringraziamenti e il rispetto. Se non riconosciamo il lavoro, non lo valorizziamo, non lo isoliamo, non c’è speranza per alcuno. Ci salviamo solo con il lavoro.
Bisogna incazzarsi (ed io mi incazzo, da cittadino e nei ruoli istituzionali che mi sono toccati) dinanzi all’apatia, all’indifferenza, all’abbandono, all’accidia, alla rassegnazione. Non dinanzi all’opera.
Poco più di 5 anni solari, tanto sono durati i lavori per questo tratto. Non semplicemente una lingua di asfalto. A leggere qualche commento, sembra quasi che abbiano realizzato la bitumazione o i rattoppi di una stradina.
9 chilometri con quattro corsie, un viadotto di 240 metri, due gallerie, lo spostamento meccanico di una torre, 5-6 cavalcavia, complanari, rotatorie, svincoli.
Che ne sa, chi biascica di ritardi (c’è stato, ma del tutto ragionevole, più di un anno rispetto al termine fissato inizialmente), di tavoli tecnici, di conferenze di servizi, di riunioni e scambi di note, per risolvere le interferenze con cavidotti, linee ferroviarie, acquedotti, per risolvere il problema dello spostamento della torre vincolata dalla soprintendenza?
Che ne sa delle procedure in variante, dei pareri di una decina di enti e autorità?
Che ne sa del comune che ha vietato di far ricorso alle microcariche per le escavazioni, costringendo a procedere solo con martelloni idraulici (ne sono andati distrutti una decina)?
Che ne sa del lavoro sospeso per il maltempo?
Che ne sa di perizie, trasparenza, procedure di gara, stati di avanzamento, revisioni prezzi, aggiornamenti progettuali, ritardi nei pagamenti?
Che ne sa, soprattutto, della fatica e degli imprevisti, che ogni obiettivo, nel lavoro e nella vita, comporta?
Che ne sa, dinanzi ai 5 anni occorsi per tutte queste opere, chi in cinque anni magari non è stato capace nemmeno di avviare il rifacimento delle tapparelle delle propria stanzetta?
Che ne sa del valore del tempo?
Che ne sa del valore dell’opera quotidiana, del lavoro, la dimensione umana, quella che fa di uomini e donne gli unici esseri viventi capaci di migliorare la realtà che vivono e se stessi?
Me ne sbatto (ops, scusate i toni!) di inaugurazioni, tagli di nastri e di stare a vedere o commentare chi sia ad inaugurare.
Per me, il completamento di un’opera, il raggiungimento di un obiettivo (piccolo o grande che sia), dà gioia vera, emozione intima, speranza, fiducia, quindi rinnovata motivazione a non fermarsi, nonostante tutto (fatica, amarezze, ingratitudini), a proseguire, ciascuno per le proprie possibilità e per la propria parte.
Sono convinto che le persone perbene, chi conosce la fatica del lavoro, e sono la maggioranza, questo lavoro sanno vederlo, riconoscerlo, e continuano – forse in maniera non pubblica, silenziosa, quasi, direi, con pudore – ad apprezzarlo.
Basta per andare avanti!
ENZO COLONNA