CONSORZI DI BONIFICA, UN’INSPIEGABILE RETROMARCIA RISPETTO ALLA RIFORMA DEL 2017: LE RAGIONI DEL MIO NO.

Oggi, in IV Commissione, ho espresso convintamente il mio voto contrario sulla proposta di legge finalizzata a evitare il passaggio ad AQP delle funzioni irrigue dei Consorzi (commissariati) di Bonifica.

Trovo in tutta onestà illogica e contraddittoria la volontà manifestatasi trasversalmente oggi in Commissione di compiere una così brusca retromarcia rispetto ad una riforma in questa delicata e complessa materia, approvata, con il consenso di tutta la maggioranza, circa un anno e mezzo fa (sulla riforma, rinvio ad una delle mie precedenti note).

Ricordo, infatti, che la legge regionale vigente (n. 1 del 3 febbraio 2017) prevede il trasferimento delle funzioni irrigue dai Consorzi commissariati ad AQP qualora, al 1° dicembre 2018 e comunque sulla base di verifiche condotte annualmente, la Giunta regionale dovesse accertare il mancato “rispetto dei criteri di economicità, di equilibrio finanziario, di efficienza nei servizi resi ai consorziati”, nel quadro degli obiettivi definiti dalla medesima legge.

Rispetto a questa innovativa soluzione, faticosamente individuata poco tempo fa dopo un approfondito dibattito e dopo aver affrontato numerose difficoltà di carattere tecnico-giuridico, la proposta di legge approvata oggi dalla commissione – con il determinante voto favorevole di forze politiche di opposizione che sinora avevano etichettato, nella più leggera delle formulazioni, come “carrozzoni” i Consorzi – riporta tutto alla casella di partenza, come in un surreale gioco dell’oca nel quale in tanti si adoperano affinché tutto resti immutabile, consegnando nuovamente alla paralisi questa materia.

Appare oggi concreto il rischio di procrastinare in maniera temporalmente indefinita una situazione che ha condotto al disastro finanziario questi enti tanto da rendere necessaria quella riforma del 2017 per mezzo della quale avevamo cercato di porre rimedio a una situazione ormai fuori controllo, al fine di evitare che la Regione Puglia continuasse (come già fatto per innumerevoli anni) a farsi carico, con le tasse dei cittadini, dei costi di gestione, per svariati milioni di euro, di questi Consorzi. Il tutto a fronte di servizi resi, in favore soprattutto degli agricoltori, che definire inadeguati sarebbe un pietoso eufemismo.

Appare, oltretutto, francamente incomprensibile che si possa cambiare idea, stravolgere l’impianto della riforma, con un ritorno al passato, senza aver dato la possibilità alla riforma stessa di dispiegare i suoi effetti, senza averne verificato l’efficacia, non avendo trovato ancora attuazione nella parte che prevedeva la costituzione formale di un unico consorzio, il superamento della gestione commissariale, il passaggio delle funzioni di governo ai proprietari degli immobili compresi nel suo perimetro.

La riforma della disciplina regionale dei consorzi (peraltro, coerente con i rigidi limiti definiti dalla normativa statale) è stato il primo serio tentativo di fornire una risposta organica, a livello regionale, nella direzione di un recupero di efficienza ed efficacia nella gestione delle funzioni irrigue, con risparmi su una spesa che ha gravato in questi anni su tutti i cittadini pugliesi. Dinanzi a tempi più lunghi del previsto nell’attuazione di questa riforma, si sarebbe potuto procrastinare – come da me proposto oggi in commissione – il termine del 1° dicembre 2018 previsto dalla legge per la prima verifica del mancato “rispetto dei criteri di economicità, di equilibrio finanziario, di efficienza nei servizi resi ai consorziati”, a cui è condizionato il passaggio delle funzioni irrigue ad AQP.

E invece no: ha prevalso una trasversale furia iconoclasta che ha portato sostanzialmente tutti, con la mia sola eccezione e con l’opposizione espressa dal collega Fabiano Amati, a votare per lo smantellamento della riforma del 2017.

Infine, resta, di fondo, un convincimento già espresso in numerose altre occasioni (leggi qui, ad esempio) e anche oggi in commissione. Non ha alcun senso continuare a immaginare gestioni diverse del “bene acqua” in base ai diversi usi, partendo da presupposti puramente formali (come confini amministrativi, riparto di competenze, enti, ecc.). La scarsità e la preziosità del “bene acqua”, davvero “bene comune”, dovrebbe indurre tutti a immaginare e favorire processi di unificazione della sua gestione, come quello segnato dalla legge di riforma dei consorzi.

Il tutto senza considerare che è pur vero, come qualche collega ha osservato, che in altre regioni i Consorzi svolgono funzioni di bonifica accanto a quelle irrigue, ma si omette di considerare che le altre regioni d’Italia non dispongono di una istituzione come AQP, la più articolata e avanzata d’Europa in materia di gestione della risorsa idrica, di cui la Regione Puglia, quindi i pugliesi, vanta la piena ed esclusiva titolarità. Invece di sfruttare appieno le grandi potenzialità di AQP, si è preferito tornare indietro dimostrando una immotivata timidezza riformatrice.

ENZO COLONNA