Profondo è il pozzo del passato, non dovremmo dirlo insondabile?

Profondo è il pozzo del passato, non dovremmo dirlo insondabile?

«Profondo è il pozzo del passato, non dovremmo dirlo insondabile? Questo anche, e forse allora più che mai, quando si parla e discute del passato dell’uomo: di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda, ma oltre natura misera e dolorosa. È ben comprensibile che il suo mistero formi l’alfa e l’omega di tutti i nostri discorsi e di tutte le nostre domande, dia fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema […] Perché appunto avviene che quanto più si scavi nel sotterraneo mondo del passato, quanto più profondamente si penetri e cerchi, tanto più i primordi dell’umano, della sua storia, della sua civiltà, si rivelano del tutto insondabili e, pur facendo discendere a profondità favolose lo scandaglio, via via e sempre più retrocedono verso abissi senza fondo […] perché l’insondabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le offre mete e punti d’arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuove vie del passato, come succede a chi, camminando lungo le rive del mare, non trova mai termine al suo cammino, perché dietro ogni sabbiosa quinta di dune, a cui voleva giungere, altre ampie distese lo attraggono più avanti, verso altre dune»

«Sembrava che pregasse perché, levato il volto verso la luna che lo illuminava intero, tenendo i gomiti sui fianchi, gli avambracci alzati, le palme delle mani aperte e volte in alto, si dondolava lievemente, ora da una parte ora dall’altra, cantilenando suoni e parole… “Abu-Chammu – Aoth – Abaoth – Abiram – Chaammi-ra-am…”. In questa litania improvvisata si confondevano tra loro tutte le possibili e più vaste associazioni di idee. Dava alla luna vezzeggiativi babilonesi, la chiamava Abu, padre, e Chammu, zio; fra questi nomi metteva anche quelli di Abram, l’avo suo, vero o presunto… Ma c’erano, oltre questi, dei suoni con un particolare significato, che si riferivano, più o meno direttamente, al pensiero di “padre” e che andavano oltre la cerchia della religione astrale diffusa in oriente…».

«Nel nome infatti è sempre insita una misteriosa virtù ed il suo possesso sembra che ci dia una potenza evocatrice». Abramo, Eliezer: i nomi risalgono il corso del tempo, ma richiamano l’avo e l’avo dell’avo, ogni abramo è invero soltanto un discendente, e dietro di lui si avanza l’ombra di un altro, più remoto abramo. E «il giovane Giuseppe provava un senso di vertigine, come noi quando ci sporgiamo sull’orlo di un pozzo», perché «il suo desiderio di dare un principio a quel passato, di cui si sentiva parte, incontrava la stessa difficoltà che sempre incontrano gli sforzi di tal genere: la difficoltà di risalire alle origini. Non essendo nessuna cosa nata da sé, ma avendo ognuna un padre, essa ci riporta indietro, in un fondo più fondo, nelle profondità primordiali e negli abissi del passato». Ogni figura incontrata nel nome induce a «lasciarci sospingere indietro, di prospettiva in prospettiva, sempre più indietro, verso una nuova quinta di sabbia, all’infinito».

[Thomas Mann]