Evidenze scientifiche. Ormai le trascuriamo o le ignoriamo perché non ci piacciono, perché ci fanno male, perché non ci fanno comodo, perché sono impegnative, perché non ci fanno prendere voti. Preferiamo sempre più lasciarci trasportare da nuvole di parole fatue e di opinioni senza competenza e conoscenza spacciate per verità.
La conoscenza costa fatica e, spesso, ci ferisce, ma ci ha salvato in questi millenni.
Su Charlie, bravo Nicola Laforgia.
Charlie
Charlie ha una malattia devastante, caratterizzata da un’anomalia di tutte le sue cellule e, quindi, di tutti i suoi organi, danneggiati in varia misura.
Sopravvive da dieci mesi, perché la scienza ha imposto una “vita” su quella morte, che la sua malattia mitocondriale avrebbe, già da tempo, determinato.
Charlie è stato, ed è ancora, curato.
Non sembra essere in discussione la prosecuzione dell’assistenza, sia pure sicuramente inefficace, in termini di guarigione.
È in discussione la volontà dei genitori di sottoporlo a un protocollo sperimentale negli USA.
Cioè, non si tratta solo di proseguire cure invasive e dolorose, ma di intraprenderne di ulteriori.
I medici che lo hanno in cura, che per dieci mesi lo hanno assistito, gli stessi oggi etichettati come somministratori di morte, hanno dovuto valutare se questa volontà espressa dai genitori avesse un razionale o se, invece, rappresentasse quell’aberrazione della medicina moderna che si chiama accanimento terapeutico.
Evidentemente convinti, sulla base di evidenze scientifiche che di questo si trattasse, di fronte alle reiterate richieste dei genitori, hanno dovuto interrogare i giudici, perché valutassero il “best interest” di Charlie.
E i giudici, in quattro differenti contesti, hanno deciso che questa sperimentazione non fosse nel suo interesse.
Charlie non poteva decidere e qualcuno ha dovuto farlo per lui.
Esattamente come accade quando di fronte ad un genitore testimone di Geova che rifiuta la trasfusione per il figlio, il medico si appella al giudice.
Da qui bisogna partire.
Dall’evidenza scientifica che la sperimentazione non era altro che un inutile prolungamento di sofferenza e dolore. Mero accanimento terapeutico. Qui e ora. Come spiega benissimo il prof. Remuzzi sul Corriere.
E magari riflettere, senza urlare offese e esprimere giudizi cattivi e superficiali, sulla complessità di questi percorsi.
Percorsi che hanno certamente riguardato tanti di noi, quando abbiamo visto e pianto per genitori o parenti, mortificati e trasfigurati, tenuti in vita da tecnologie invasive e dolorose.
E che magari, nell’intimità di una stanza di ospedale, ci hanno fatto chiedere di non prolungare con la tecnologia ogni altra sofferenza.
E come bisogna rispettare l’enorme dolore dei genitori, sia che richiedano ogni tentativo, la cui efficacia, e quindi l’indicazione, però, non può che stabilirla la scienza, sia che accolgano l’inevitabile esito con rassegnazione, bisogna rispettare i medici e i limiti della medicina, e i giudici e la difficoltà della decisione.
Ho conosciuto situazioni simili.
Le ho sempre condivise con genitori meravigliosi, devastati dal dolore.
Se la cura efficace non può che venire dall’alleanza con loro, anche le valutazioni del rischio di accanimento terapeutico dovrebbero svilupparsi in questo ambito.
Nel caso di Charlie si è rotto il rapporto di fiducia medico-paziente/genitori.
E, quando si rompe, non resta che ricorrere al giudice e ai Tribunali, alle cui decisioni inevitabilmente seguono polemiche.
Inutili e dannose.