Come sapete, come avrete capito, penso, sono fuori, ormai da molto tempo, da quanto avviene in Comune. Sin dai primi mesi successivi alle elezioni comunali del giugno 2018, per scelte non mie, si è consumato il mio progressivo allontamento dal vissuto e dalle vicende della maggioranza, quindi dell’amministrazione. Da un anno non ho ruoli istituzionali e non svolgo attività in movimenti o partiti, anche se ho cercato di assicurare massima disponibilità, per confronti e consigli, a chiunque mi abbia contattato. Ho continuato, però, a difendere, mettere a frutto e a cercare di sviluppare il lavoro impostato e programmato durante i miei anni in Regione, a seguire e dare impulso, con le modalità limitate che mi sono date, alla attuazione e allo sviluppo delle numerose azioni e progettualità, di varia natura, che sono riuscito a creare o a sostenere e accompagnare e finanziare dalla Regione (per un valore, in termini di risorse finanziarie impegnate, stimabile in circa 50 milioni di euro, limitandomi alla nostra città e solo agli interventi e progetti su infrastrutture e beni cittadini, pubblici o di interesse pubblico, direttamente finanziati dalla Regione e realizzati o ancora da realizzare a cura della regione stessa, del comune o di altri enti pubblici e privati no profit).
Quindi non so cosa abbia indotto prima alla revoca di tutta la giunta comunale (a poco più di un anno dalla precedente) e poi, addirittura, alle dimissioni della sindaca.
Anche perché, prima di queste due drastiche decisioni, non ci sono stati dibattiti in sedi istituzionali, pubblici, non ci sono stati segnali o parole di sfiducia nei confronti degli assessori revocati, non ci sono stati voti di sfiducia o dissensi manifestati da partiti o consiglieri su atti di programmazione comunali o su scelte fondamentali dell’amministrazione, non ci sono stati comunicati, volantini, insomma nulla da cui emergesse una situazione di estremo disagio della compagine al governo della città.
Come pure, tra la revoca di tutta la giunta e le dimissioni della sindaca, per un mese, a parte un comunicato stampa di un partito, nessuna presa di posizione, nessuno che spiegasse.
Riportata la situazione su scala nazionale, si sarebbe definita una “crisi extraparlamentare”, cioè una di quelle determinate e consumate fuori dalle aule della democrazia. Ma, appunto per questo, ancor più necessariamente, le ragioni di una crisi si sarebbero dovute spiegare ai cittadini, dai protagonisti e dai partiti e movimenti.
Ancora in questi giorni, dopo le dimissioni della sindaca, dai rappresentanti istituzionali, dai partiti e movimenti non è stata espressa nessuna traccia di lavoro, nessuna esplicitazione delle soluzioni, dei tentativi di riprendere lo spirito e le ragioni che consentirono l’affermazione elettorale oltre tre anni e mezzo fa circa.
È stata, a partire dal consiglio comunale di lunedì scorso, una settimana di contumelie, voci su cambi di fronte, su ingressi in maggioranza di consiglieri di minoranza, insinuazioni e allusioni, incontri e trattative tra gruppi e singoli, spole verso il capoluogo e verso i rispettivi riferimenti baresi politici e di corrente.
Come ho sempre fatto, rispetto tutto e tutti, anche se non comprendo, ma non avendo ruoli politici o istituzionali e soprattutto trattandosi di voci, su questo non scrivo nulla.
So, però, e di questo posso parlare e scrivere, per averlo seguito e vissuto intensamente, fuori e dentro il consiglio, dall’opposizione, per anni e poi, senza risparmiarmi, dando tutto, nei mesi di preparazione e sviluppo della campagna elettorale del 2018 (formazione della coalizione e delle liste, programma e iniziative, comizi e incontri con elettori) cosa ha generato entusiasmo e riconoscimento da parte degli altamurani, conosco in prima persona la vitalità che abbiamo espresso e generato in quella fase. So, insomma, cosa ci fece vincere, con un mix di storia di movimenti e civismo (alimentati, tra difficoltà enormi, sacrifici, sconfitte elettorali, durezze e asprezze determinate dal ruolo ingrato, per molti anni, di forza minoritaria, numericamente minoritaria) e di tradizione di partiti di sinistra.
Per questo non mi rassegno (e credo non si rassegni chi ha vissuto quella storia) all’assenza della politica, a uno stato impolitico in cui tutto viene ridotto a un mortale e mortifero pissi pissi bau bau.
Non ci si può rassegnare – come non lo abbiamo fatto per una vita e l’elettorato lo ha riconosciuto nelle tornate elettorali per la Regione, oltre sei anni fa, e per il Comune, oltre tre anni fa – all’impulso automatico a negare la complessità della situazione e delle sfide di portata ben superiore all’adeguatezza delle singole forze in campo, all’immiserimento del dibattito politico alla sterile prova muscolare o alla negoziazione, nemmeno esplicita, di posizioni di potere.
Vincemmo, politicamente prima ed elettoralmente poi, perché abbiamo fatto e vissuto la Politica come il luogo di ragionamenti e sentimenti, non di umori e istinti. Di lealtà e non di opportunismo. Di dialoghi pubblici e trasparenza, non di manovre di palazzo e scorciatoie procedimentali. Di esercizio quotidiano, faticoso ed estremo, del possibile e non di esercizio del potere. Luogo di passione e ragione, di errori anche. Di vita insomma, autentica, e non un artefatto in cui la vita si ingabbia e viene oscurata.
Sono i fondamentali, nostri, di coloro che si sono riconosciuti in una “piccola” storia politica di provincia che ha attraversato un trentennio.
Senza il ritorno a questi fondamentali, che poi fanno la differenza tra gli uni e gli altri e rendono diversi gli uni dagli altri, le sconfitte sono sicure. Non le cadute contingenti o le sconfitte elettorali, queste si superano. Ma quelle culturali, politiche e storiche. E da queste, non ci si rialza.
E allora, direte? Non ci sono macchine del tempo che possano cancellare l’ultimo mese e mezzo dal calendario politico locale o, addirittura, riportare le lancette degli orologi mentali, sentimentali, motivazionali, politici alla primavera/estate 2018. Lo so. E le parole, i gesti e i silenzi segnano profondamente. Lo so bene, anche perché conosco sulla mia pelle e carne questo genere di parole, gesti e silenzi.
Ma ci sono la politica, con la sua capacità creatrice e rigenerativa, e soprattutto la volontà degli uomini e delle donne che rende quasi tutto possibile.
Tornare a vedere o continuare a vedere con gli occhi di una vita. Come in un libro di Saramago. Come in un’Apocalisse (dal greco, “rimozione del velo”) che, al termine del percorso, ci fa “vedere” (come tuona la voce che Giovanni sente: “Guarda e scrivi quello che vedi”) non le sciagure prossime a venire, ma il male e il bene di cui siamo capaci e di cui siamo stati capaci. Ciò che è, è stato e potrà essere. Dipende da noi, da come spendiamo la nostra capacità di generare, creare, non solo cose, costruzioni, ricchezze, potere, ma soprattutto relazioni.
È necessario allora avvertire il dovere e l’umiltà di rinnovare gesti antichi, di una vita. Ri-cominciare a vedere con gli occhi di una vita. Il futuro appartiene a chi “ri-comincia”, a chi tiene aperta una storia, proprio quando questa si ripiega su sé stessa.