Post parapolitico o prepolitico, fate voi.

Sottolineo spesso (una mia fissa ossessione) il dovere e l’urgenza di preservare e curare la trama complessa che tiene insieme persone, luoghi e azioni. Tutto è in relazione con tutto e ciascuno è situato in un punto preciso di questa “trama infinita di relazioni”.
La lacerazione di un nodo genera ripercussioni sul resto e, dunque, non può lasciare indifferenti tutti gli altri.
Tutti, più o meno intensamente, hanno conosciuto la discesa nei vuoti scavati da queste lacerazioni (delusioni, sconfitte, dolori, fragilità, mancanze).
Ma la risalita è possibile sempre.
Difficile, faticosa, anche dolorosa, ma sempre possibile. Ci aiutano sentimenti autentici e positivi. Nostri e altrui.
Non il cinismo, la frenesia egoistica di rivalsa, non l’istinto alla ritorsione, ripicca o addirittura vendetta, non l’angosciante frustrazione, non certo l’indulgente autoassoluzione. Da parte di chi è caduto. Il cinismo verso gli altri e l’indulgenza con sé stessi danno un illusorio e temporaneo senso di sollievo. Ma, alla distanza, impoveriscono ancor di più, avviliscono, sono destinate a generare cadute ancor più fragorose. E corrompono l’anima.
Per converso, da parte di chi sta vicino, perniciose sono adulazione, ipocrisia, strumentalità, interesse personale, edulcorazione della realtà.
La caduta è il doloroso e necessario ritorno alla realtà smarrita e non più percepita. Alla terra. E da qui, solo da questa ritrovata consapevolezza, ci si rialza. Ci si rialza partendo da terra, dalle radici, dai fondamentali. Umiltà, responsabilità, lavoro, solidarietà, generosità, ritrovato senso di comunione con il mondo e gli altri, condivisione di affanni e orizzonti, gioie e responsabilità.
È necessario poi che accanto ci sia qualcuno che nutra sentimenti sinceri, condivida quei fondamentali. In una feconda reciprocità.
Senza tutto questo, c’è solo il penoso, scomposto e dannoso dimenarsi a terra, in un ristagno che, certo, non esige fatica e pazienza, a volte dolorose consapevolezze, ma non porta alcun frutto duraturo e non consente la risalita.
Cadiamo. Tutti. Sbagliamo. Tutti. Sbagliare è umanissimo, comprensibile dunque. Ma, come ricordava Pannella, c’è una bella differenza tra il rischiare di vivere e il rischiare di morire. Sono convinto, cioè, che si muore perché e quando si è perduto l’interesse alla vita. Apatia, conveniente difesa di sé e del proprio presente, opportunistico calcolo.
Chi invece si rifiuta di vedere amputata la vita, sacrificata o avvilita, proprio perché non vi è rassegnazione in una tale prospettiva, ma al contrario speranza, può anche rischiare di perderla. Succede! Ma se vince, vive meglio e più di altri. La sconfitta, quindi, bisogna metterla in conto, ma come rischio possibile di battaglie che vanno però combattute.