Facebook, sfrontato e impertinente, mi ha proposto un ricordo di tre anni fa: una splendida foto, che mi è molto cara, di Luigi Porzia, e un post scritto al termine del comizio finale della campagna per le elezioni comunali 2018.
Lo trovate nelle immagini e dal seguente link:
Quanta energia… un turbinìo di sentimenti e passioni condivise.
Quella che riuscimmo ad accendere, in quei mesi, in realtà in diversi anni, fu una forza mobile, frenetica, un movimento incessante tra esperienza e nuova fioritura, transizione e ricombinazione.
Una forza moltiplicatoria che fece emergere e rese visibile ciò che alla politica locale risultava invisibile, sommerso, inaccessibile.
Unimmo storie e persone, restituimmo forma e prospettiva a forze ed energie abbandonate e fossilizzate che non aspettavano altro che il momento per manifestarsi e che chiedevano di rinascere.
Rinascendo, riemergendo, disorientarono e sbaragliarono immagini e visioni logore.
Era qualcosa in mostra da tempo, ma proprio per questa immediatezza risultava invisibile. E noi lo rivelammo!
La definizione delle liste e della coalizione, del programma, la lunga e intensa campagna elettorale, furono una rigenerazione degli sguardi, un nuovo guardarsi attorno, un scoprire ciò che prima si era visto senza guardare.
Fu un movimento che iniziò visioni note a una nuova vita. I minoritari furono riconosciuti, per la prima volta, per quello che avevamo detto e fatto, quindi riconosciuti come forze di governo.
Questo cambio di percezione, direi visiva, frutto del lavoro di anni, mutò l’ambiente politico, favorì gli sbandamenti, minò le certezze, favorì traiettorie improbabili, alimentò la fiducia negli incontri inattesi.
Fu la vittoria del metodo praticato per tanti anni, della lunga durata delle idee fisse, dell’ostinata attenzione alle persone e ai bisogni reali, anziché agli apparati, del rigore delle analisi e delle cose pertinenti, della sottrazione ai pettegolezzi e al chiacchiericcio mortifero, della tensione alla soluzione dei problemi senza scorciatoie, della pazienza e dell’umiltà.
Era, allo stesso tempo, la vittoria dell’impazienza delle cose da fare, dell’impertinenza delle cose fortuite, del senso ritrovato del tempo breve e prezioso, delle scoperte, degli incontri casuali e fecondi, dell’apertura e della curiosità, della libertà da diffidenze e sospetti, della fiducia liberata da interesse, opportunismo e piaggeria.
La soluzione offerta era fatalmente imperfetta. Ma, è certo, fu il trionfo della generosità. Ci permise la vittoria e di sporgerci, allora, nell’ignoto.
Ignoto, sì, ma nessuno immaginava, certo non io, che quella generosità potesse diventare materia sospetta, intrattabile. Nessuno, non io, immaginava che, al contrario, piaggeria e opportunismo fossero scambiati per fedeltà, diventassero credenziali di merito.
Ignoto, sì, ma nessuno immaginava il ritorno di visioni logore (nella città dell’eterno ritorno, come ebbi a definirla diversi anni fa): chiusure, diffidenze alimentate ad arte, prassi che illudono invece di risolvere i problemi, figure dirigenziali immutate (a distanza di oltre un decennio) nelle posizioni e nelle competenze, in alcuni casi con funzioni di supplenza della politica, addirittura l’ipotizzato (non so se già deciso) ritorno di segretari generali di due stagioni amministrative fa (riproponendo così la identica compagine di vertice della burocrazia comunale).
Fummo speranza e azione, tre anni fa. Estremismo degli ideali e passione della concretezza, i due poli che per tanti anni abbiamo praticato.
Speranza e azione con cui riuscimmo a immaginare un futuro possibile, in cui tanti si riconobbero.
Speranza e azione che sanno di futuro e creano futuro.