Antonio Ant Cornacchia, conoscendomi da lungo e bene, quindi sapendo bene che nel mio personalissimo ‘pantheon’ di maestri e riferimenti c’è anche Danilo Dolci, mi ha regalato questo bel pezzo di Carlo Vulpio pubblicato nel domenicale del Corriere della Sera, “La Lettura”. Bella la citazione di Norberto Bobbio tratta dalla sua prefazione al libro di Dolci “Banditi a Partinico”:
«La gente semplice vuol vedere come razzola colui che predica e la via presa da Danilo Dolci è stata la via del non accettar la distinzione tra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e del non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma di cominciare a pagar di persona».
Un Manifesto politico, che, al di là degli esiti opinabilissimi del mio agire, sento tanto mio. Un’intima familiare convinzione, che è dietro, ad esempio, alla mia frequente esortazione, autoesortazione in realtà, “se non facciamo niente, non siamo niente” (o, nella traduzione sempre di Antonio, “siamo quello che facciamo”).
Devo poi recuperare questo “Processo all’articolo 4” (Sellerio). Un articolo della Costituzione che amo, uno dei più belli e completi. Poco conosciuto in realtà o conosciuto dai più solo in parte, per cui il lavoro non è solo un «diritto», ma anche un «dovere» di ogni cittadino, ovviamente secondo le proprie possibilità.
“Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”