È nel presente che si gioca la nostra esistenza.

Era il 2000, poi hanno detto di puntare al 2020, quindi si è passati al 2030, ora parlano del 2050. La soglia temporale degli obiettivi e del progresso da conquistare viene spostata, di volta in volta, in avanti. Come lo studente che deve studiare per un esame: comincio domani, poi la prossima settimana, quindi “lo faccio all’appello successivo”, poi alla sessione successiva e così procrastinando impegno e obiettivi senza arrivare alla laurea.
Tutti bravi, bravissimi, indovini e rabdomanti di futuro. Bene, ma il problema è: chi si prende la briga, il peso, la fatica, di occuparsi del presente? Senza trascurare che chi ci prova, passa per pesante, intrattabile, schiavo del sistema, minimalista, sfigato.
Si procede così. Si fanno trascorrere i giorni, i mesi, il nostro tempo, il presente, in una eterna assoluzione di sé nel presente, in un continuo vagheggiare un passato, bello e intenso, e un futuro, magnifico e progressivo. Intanto, così, il passato diventa ammuffita, morta e mortifera nostalgia e il futuro una fumosa e fatua formula in cui consegniamo obiettivi e impegni che non saranno o comunque non saranno nostri.
Passato e futuro, in realtà, sono comodi alibi per non far nulla ora, per alleggerirsi della responsabilità e dei doveri che comporta il presente, l’unico tempo che ci è dato e che spesso sprechiamo voltando la testa al passato o tendendola verso un futuro. Un presente ridotto a un “non ancora” o a un “non più”, anziché essere occupato con il pensiero che si fa azione. Il farsi quotidiano, concreto e faticoso, che conquista e si fa futuro. L’unico modo, a mio parere, per rendere omaggio a chi ci ha preceduto e per voler bene, davvero, alle future generazioni.
Noi siamo nel mezzo, tra passato e futuro, in un presente che dobbiamo occupare. Senza impegno e ingegno nel presente, senza la responsabilità che si dovrebbe avvertire in ogni istante per quello che siamo stati e per le conseguenze che deriveranno da ciò che facciamo, dalle decisioni o non decisioni che adottiamo, sono solo formule retoriche e propagandistiche, solo continua ricerca di applausi e consensi, solo preoccupazione per la propria carriera politica, per le prossime elezioni.
Come, è la sensazione, quei partiti e movimenti che hanno fatto la scelta di dar vita e sostenere questo governo, ma in buona parte sono impegnati a posizionarsi per la prossima campagna elettorale. Si sono guardati bene dall’andare al voto ora o dal rinunciare a posizioni ministeriali e di potere, ma non si sottraggono, dal primo giorno, all’opportunistico gioco quotidiano della polemica con questo o quello, della confessione della sofferenza con questo governo (illudendosi, così, di mantenere o conquistare consensi), anziché dedicarsi nel miglior modo possibile a non perdere tempo e opportunità, a perseguire obiettivi, conquistare avanzamenti collettivi, che poi, sono convinto, trovano anche il riconoscimento elettorale. Invece, ci si trastulla in un gioco delle parti, da cui, però, risulteranno perdenti. O stai dentro un’esperienza e ti impegni con gli altri e più di altri per sortire i migliori risultati possibili. O saluti e te ne vai. Con chiarezza e responsabilità.
È nel presente che si gioca la nostra esistenza. Nel presente vanno colti segni e senso del possibile, tentando e ricercando un’anticipazione dell’esistente. In questo sta l’innovazione. Questa è creatività. Con questo si fa progresso.
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《Urge imparare
dal trovarsi davanti realizzati
sogni prima creduti troppo belli
per esser veri,
a immaginare l’alto bosco mentre
pianti eucalipti nella terra arsigna;
e dal geranio:
se gli spacchi le braccia in monconi
infilando ogni stocco nella terra –
ricresce tenero il cespuglio padre,
si radicano i figli acri inverdendo.
Costruendo, l’uomo si costruisce.
Quando insieme si tenta di alzare
una trave pesante
pericoloso è fingere
di forzare con gli altri:
o ti impegni con tutti come puoi
o avvisi chiaramente –
e te ne vai.》
[Danilo Dolci]