Di Renzi e della sua politica ognuno può avere i giudizi che ritiene. Ed io, dai tempi dell’avvio della sua riforma costituzionale poi naufragata, al massimo del suo enorme e diffuso consenso, non sono certo sospetto di simpatie. Così pure su questa crisi/noncrisi di governo, ognuno, doverosamente, può formulare considerazioni. Ognuno può ritenere plausibili o no, quindi condivisibili o no, le ragioni addotte. Ognuno è in grado di valutare l’azione svolta sin qui da questo governo (nato, vale la pena ricordarlo, per un’altra “uscita” sorprendente dello stesso Renzi un anno e mezzo fa) e la credibilità di Renzi.
Ma, sin qui, siamo sul merito e le conclusioni si traggono poi in cabina elettorale.
Una cosa, però, vorrei sottolinearla, noiosamente, molto probabilmente. Di metodo e di regole, che sono la democrazia. Si ripete dai livelli più alti della politica: con una pandemia in corso non ci possono essere crisi di governo. È verissimo, se stiamo parlando di giochini di potere e lo vedremo presto. Non è altrettanto vero, se invece in discussione è l’azione di governo, se in discussione è la sua efficacia rispetto alle difficoltà poste dall’emergenza in corso da un anno e, soprattutto, rispetto alle sfide poste dalla definizione e dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza [PNRR, il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU. Questo tema è decisivo e particolarmente delicato, perché, contrariamente a quanto si è indotti a pensare, non si tratta dell’eredità inaspettata dello zio d’America, ma di imponenti risorse che in gran parte dovremo restituire all’UE sotto forma di rate di debito o di contributi per i prossimi 15-20 anni].
Tornando al punto di questo post. Non le valutazioni politiche, come scrivevo, ma il metodo e le regole. Il punto andrebbe spiegato meglio, ma per essere sintetici, qui basti un richiamo storico. Winston Churchill assunse l’incarico di Primo Ministro del Regno Unito (maggio 1940) in piena guerra, con una guerra dichiarata alla Germania nazista nove mesi prima. Anzi, fu proprio la linea da tenere in quella fase storica a determinare le dimissioni del suo predecessore Neville Chamberlain (che era per una linea di dialogo con la Germania). Entrambi, peraltro, dello stesso partito, i conservatori. Churchill guidò poi un esecutivo sostenuto da tutti i partiti e impresse una linea che unì l’intero Paese in sacrifici e sforzi senza precedenti, sino a sconfiggere la follia nazista (lascio in disparte il richiamo alla sua sconfitta nelle prime elezioni postbelliche).
Nulla di comparabile con l’attualità, è chiaro. Ma, come ho già scritto per altri aspetti, una pandemia, una crisi, una emergenza, non sospendono le regole del diritto, della politica, della democrazia. Anzi, sono proprio le fasi più complicate a richiedere un supplemento di politica, la capacità di unire e di unirsi su obiettivi grandi e comuni e nello sforzo per raggiungerli. I leader hanno il compito, appunto, di unire e di avere uno sguardo lungo che va oltre una stagione politica e di governo, oltre il corto orizzonte degli egoismi e delle ambizioni personali. È esercizio faticoso e paziente, alla distanza anche ingrato. Ma è l’unico che produce risultati. Il problema non è dunque la pandemia in corso. È che, al momento, di Churchill in giro non se ne vedono.