Quante vite viviamo? Una vita l’ho terminata. Ho preso l’uscita definitivamente ieri sera, sul tardi, all’ora a cui avevo educato buona parte dei miei rientri baresi di questi anni. È terminato, anche formalmente, il mio mandato di consigliere regionale. In realtà, so dire quando tutto è iniziato, il 6 settembre del 2016. Non so quando tutto finirà davvero, intendo mentalmente e sentimentalmente. Quando sei stato troppo coinvolto in qualcosa o con qualcuno, non te ne emancipi mai. Riprendo il mio lavoro, ricerca e didattica, la mia università.
Ieri, intanto, ho serrato in questi faldoni l’essenziale dei miei quattro anni in Regione, quello in forma cartacea (spero qualcuno mi aiuti a trasferire tutti i files disordinatamente presenti nel computer che ho avuto a disposizione). I faldoni, uno sull’altro, fanno 130 centimetri. Li ho portati via, destinati in qualche scaffale domestico.
Quanto c’è in 130 centimetri? L’altezza di mio figlio all’inizio di questa vita ora terminata. Quanto valgono 130 centimetri? Quanto se ne va con loro? Quanto va perduto? Quanto andrà dimenticato? Quanto resterà? Ecco, quanto?!
Di sicuro, mi resta il privilegio di aver servito la mia Terra.
So che questa mia esperienza di consigliere regionale ha ingenerato, nella mia città, in una ristrettissima cerchia di persone, perplessità, incomprensioni, in alcuni ombre, complessi, in altri astio e gelosie. Ho messo in conto tutto, non solo la fatica (questa è solo dovere), ma anche solitudine, incomprensioni, delusioni, quindi amarezze personali. Non fa nulla.
Ho fatto una scelta approcciandomi ad un’esperienza in una compagine di governo: anziché dedicare tempo ed energie ad avviare o rintuzzare polemiche, a declamare principi, a marcare diversità, a elencare o contemplare cosa non va, mi sono impegnato, con tutte le energie fisiche ed intellettive, giornalmente, per moltissime ore tutti i giorni, a risolvere problemi, immaginare soluzioni, costruire percorsi normativi e amministrativi, aprire nuovi varchi, immaginare e offrire opportunità, sollecitare risposte, soprattutto dare il senso che solo il lavoro ci migliora e migliora la realtà che ci circonda, la nostra terra.
È, poi, il senso della nostra dimensione. La normalità, anche quando tutto attorno forse normale non è. Lavoro, semplicità, umiltà.
La faccio breve. Ho avvertito in questi quattro anni, in maniera ancor più acuta che in altre passate mie esperienze, il senso del tempo breve. Il nostro, che è le ore e i giorni che passano. Il senso pieno e recuperato del presente, l’unico che ci è dato e che spesso sprechiamo voltando la testa al passato o tendendola verso un futuro che non ci appartiene, se non come programma. Un presente sempre e solo ridotto a un “non ancora” o a un “non più”. Anziché occupato, qui e ora, dal pensiero che si fa azione, un present continuous, il farsi, quotidiano, concreto e faticoso. Il farsi che, così, conquista e si fa futuro. L’unico modo, a mio parere, per rendere grazie a chi ci ha preceduto, i nostri genitori, nonni e così via indietro nel tempo e per onorare i nostri obblighi verso le future generazioni.
Se ci pensiamo, questo senso del tempo, la consapevolezza della sua finitezza, che è l’elemento caratterizzante della condizione umana, motiva, impegna, rende migliori noi e intensi i nostri tentativi.
La consapevolezza della brevità del tempo a disposizione, quindi della necessità di viverlo con intensità, è una sorta di lasciapassare per la serenità, facendo del nostro tempo sempre uno nuovo, un tempo di origini e di esordi, di curiosità e aperture, e rende più lieve la fine stessa, la perdita, perché perdita non è e non è stata.
In politica, tutto ciò passa da un modo di essere e fare Politica che liberi la sua Forza, la sua Potenza, quella di creare il possibile e che abbandoni i “bassifondi del possibile”, cioè quella rassegnata, pigra, maligna, indolente e impotente rassegnazione cui buona parte della classe dirigente sembra consegnarsi ogni volta difronte ad ogni difficoltà. I miei sforzi, i miei tentativi – inadeguati, parziali, limitati perché soggettivamente limitati – sono stati in questa direzione.
《È come se ci fossimo dimenticati chi siamo. Esploratori, pionieri, non dei guardiani… Un tempo, per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento. Ora, invece, lo abbassiamo, preoccupati di far parte del mare di fango.》
Chiudo. Ringrazio mia moglie, i miei figli, i genitori che ho avuto, mio fratello, amici e compagni sempre presenti da lungo tempo. Nel cuore e nella mente ho sempre avuto l’esempio tenace dei miei genitori, il sorriso sincero dei miei figli, lo sguardo limpido di chi amo.
Ringrazio chi, in diversa forma e misura, mi ha dato supporto nell’attività consiliare: i colleghi del gruppo (Sebastiano, Mimmo, prima pure Mino) e Onofrio, Carlo, Giulio, Pasquale, Raffaele, Antonio, Pierantonio, Ivan, Anna, Francesca.
Ringrazio voi, quanti mi hanno aiutato, sono stati vicini, mi hanno riservato parole e attenzioni, in sintesi quanti sono stati per me speranza. Mi auguro, a mia volta, di essere riuscito (per qualcuno, in qualche modo, anche molto parziale, in qualche momento) ad essere speranza che, come ripeteva uno dei miei riferimenti e ripeto spesso, è ben più importante che avere speranza per sé. Sarebbe bellissimo, ne sarei felicissimo.
Ovviamente sarò presente. Continuerò a seguire il tanto programmato, impostato (e finanziato) in questi anni dalla Regione, perché si traducano in azioni concrete e in opere (c’è tanto nella mia città e nel territorio murgiano che deve vedere ancora la luce).
Andiamo avanti!
enzo colonna
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A breve, per chi fosse interessato, renderò disponibile un rapporto di fine mandato. Ho sintetizzato parte del lavoro (quello non normativo) in un post di un mese e mezzo fa, disponibile da qui: