Perché rispettiamo le norme?
Si individuano comunemente tre ragioni:
1) rispettiamo le norme per evitare una sanzione;
2) rispettiamo le norme perché prevediamo di ottenere l’approvazione degli altri, di dare una buona immagine di noi e di contare, in questo clima di reciproca fiducia, in un ritorno in termini di sostegno o collaborazione;
3) rispettiamo le norme perché le consideriamo giuste e agiamo sulla base di questo convincimento, di questa motivazione interiore.
La mia impressione è che quest’ultimo DPCM difetti proprio in tutto ciò che fonda la terza ragione. A parte la “questione scuola” (che è un discorso a parte su cui mi sono soffermato più volte), le pesanti restrizioni interessano settori come cultura (cinema, teatri, sale concerti), ristorazione (ristoranti, bar, pub, pizzerie, ecc.) e sport (palestre, scuole di danza, centri sportivi, ecc.) che presentano, in buona parte, luoghi – ammettiamolo – tra i più presidiati, rispetto a tanti altri, sotto il profilo della prevenzione dei contagi o, almeno, sicuramente luoghi in cui più facilmente è possibile effettuare controlli (questi sconosciuti, ammettiamo pure questo!) con riferimento al limite di accessi e di presenze, al rispetto delle distanze, all’organizzazione dei servizi e del lavoro, in sintesi con riferimento all’adozione di tutti i protocolli di prevenzione.
Questa inafferrabilità della ragione, questa incomprensibilità, questa irragionevolezza, genera inevitabilmente il senso di un’ingiustizia, facendo venir meno quella leva formidabile del successo di una norma, in termini di osservanza e di consenso sociale, che è data dal sentirla propria, un obbligo interiorizzato. E quanto più è basso il grado di interiorizzazione di una norma, tanto maggiore sarà l’affidamento che si deve fare sulle sanzioni come sistema di controllo.
Non voglio prendere in considerazione altri aspetti di sistema pur decisivi, come – uno, per tutti – la considerazione, totalmente messa in disparte da tempo, che il diritto fondamentale alla salute non sta prima o sopra altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e questa, invece, impone di ricercare un equilibrio tra tutti, in un insieme organico che non sacrifica uno di questi diritti a favore di altri, come, appunto, è la natura dell’uomo, che non è riducibile alla sua sola dimensione fisica, biologica, corporale. Altrimenti, assieme alla Costituzione, cancelliamo due millenni e mezzo almeno della nostra civiltà, dai greci in avanti.
Ecco, per riprendere e chiudere, mi sembra che l’approccio espresso in questi DPCM non si preoccupi di far sentire e motivare la “giustezza” delle regole di comportamento che impone, trascurando così l’importanza del processo di interiorizzazione di un comportamento, cioè la possibilità di sentire e assimilare il valore implicito nella norma da parte di chi è chiamato a rispettarla. Solo così, infatti, la norma è più nettamente compresa da un più gran numero di individui, motivando e rafforzando la convinzione della necessità di tale regola e quindi della necessità che tale regola sia rispettata e socialmente sanzionata.
In altri termini, la norma deve essere equilibrata, ragionevole, con soluzioni uguali per situazioni uguali e, poi, deve essere motivata, spiegata, fatta comprendere.
Altrimenti va a finire, come in questo caso, che l’osservanza della norma sia affidata e legata unicamente al meccanismo sanzionatorio (il motivo n. 1). Ma, così, dilagano sfiducia, malessere, pessimismo verso le istituzioni e salta la coesione sociale che è l’elemento determinante in una situazione di emergenza.
A questo punto, non resta che una strada. Tutti devono impegnarsi e lavorare rapidamente per dare forza e contenuti alla seconda ragione delle tre che inizialmente richiamavo. È necessario, cioè, fornire sostegno e collaborazione agli operatori e ai lavoratori dei settori ora colpiti. Lo devono fare le istituzioni, ai diversi livelli (statale, regionale, comunale) con forme di compensazione, sostegno e detassazioni. Lo possiamo fare noi, da fruitori, consumatori, concittadini, con piccoli gesti (acquisti con asporto, un abbonamento o un ciclo di sedute sottoscritti in anticipo, un caffè in più, ecc.) capaci di confermare e rinsaldare la fiducia e la solidarietà su cui si tiene una comunità.