Cinque anni fa, abbiamo pianto la morte di #DomenicoMartimucci. In serata, lo abbiamo ricordato presso la Parrocchia Redentore, a Trentacapilli. Lo abbiamo fatto ritrovandoci insieme con i familiari e amici. Solo sguardi e parole semplici ed essenziali. In tanti, come me, abbiamo sentito nostre le sorti di #Domi, uniti noi e noi a lui e alla sua famiglia. L’assenza fisica e il silenzio di Domi, imposti da una violenza estrema e incomprensibile, sono riusciti a farci percepire il respiro di una comunità, la sofferenza di una famiglia come sofferenza di tutti. Un fatto è certo. Le azioni messe in campo dai suoi familiari e amici dopo la sua morte ci hanno restituito la vitalità di Domi, anche a chi, come me, non lo ha conosciuto in vita. Hanno aperto varchi, spazi ad una comunità per ritrovarsi.
Se ci pensiamo, che cos’è poi la vita, dentro la vita e al di là della vita, oltre il dato biologico, se non questa possibilità data alle persone, alle idee, alla memoria di vivere e alimentarsi con le azioni quotidiane, quelle positive, quelle che animano la vita di tutti i giorni?
La Famiglia di Domi, l’Associazione “NOI SIAMO DOMI Onlus”, la Comunità della Parrocchia Redentore stanno facendo questo, da alcuni mesi, ad esempio, con il progetto “Parco Urbano e Centro Sportivo Domenico Martimucci DM10 – Zidane”. Ed io, per quello che mi è stato e sarà possibile, non potevo, con la Regione, che essere con loro [v. qui:
https://www.enzocolonna.com/…/impianti-sportivi-pubblicata…/].
Non ricordo chi ha scritto che prima di spingerci verso l’alto dobbiamo abbracciare il vicino, il prossimo, la comunità; è il modo migliore per staccarci dal superfluo, da tutto ciò che ci impedisce di apprezzare ciò che abbiamo.