👉 Un mio ulteriore intervento sul tema, diffuso oggi attraverso il portale del Consiglio regionale, disponibile dal seguente link:
http://www.consiglio.puglia.it/…/Piano-casa–Colonna—Dopo…
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La sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 24 aprile 2020, sulle condizioni di applicazione del cosiddetto “Piano casa” della Regione Puglia, ha aperto in questi giorni un ampio dibattito tra tecnici, giuristi, rappresentanti del mondo delle imprese e amministratori pubblici, finalizzato, da un lato, a chiarire le conseguenze immediate della pronuncia della Consulta sui procedimenti in corso e, dall’altro, a individuare gli interventi necessari al fine di evitare che risulti non più utilizzabile uno strumento che, in questi anni, ha consentito un significativo sostegno ad un fondamentale comparto della nostra economia.
Se si accedesse ad una lettura restrittiva della sentenza si arriverebbe alla conclusione di considerare ormai complessivamente travolto l’impianto del “Piano Casa”, almeno nella parte in cui prevede(va) il riconoscimento di bonus volumetrici a seguito degli interventi di demolizione e ricostruzione, previsti dall’art. 4 della legge regionale 30 luglio 2009 n. 14.
A mio parere, però, la posizione della Corte costituzionale non è questa. Le sue ragioni consentirebbero di continuare ad applicare le norme che, in effetti, non sono state abrogate dalla Corte.
Il presupposto che ha portato alla decisione della Consulta, infatti, è che la norma regionale giudicata incostituzionale fosse in contrasto con la legge statale e, in particolare, con l’art. 2-bis, comma 1-ter del Testo Unico dell’Edilizia, introdotta, nell’aprile 2019, dal cosiddetto “Decreto Sblocca-Cantieri” che, per un curioso fenomeno di eterogenesi dei fini, rischia in realtà di paralizzare molti cantieri!
Questa norma dispone che, in sede di demolizione e ricostruzione, si debba assicurare la coincidenza dell’area di sedime, dell’altezza massima e del volume dell’edificio ricostruito rispetto a quello demolito.
Ebbene, una interpretazione sistematica di questa disposizione, in grado di conciliarsi con l’articolo in cui è collocata e con le altre disposizioni in materia tuttora vigenti e non censurate in sede costituzionale, può portare a ritenere che la stessa si applichi solo con riferimento alle distanze tra edifici, lasciando per il resto immutata la disciplina del cosiddetto “Piano Casa”.
In sostanza, la disposizione introdotta nel Testo Unico dell’Edilizia nell’aprile 2019, reputata dalla Corte costituzionale norma di principio in materia di governo del territorio (e pertanto non derogabile), andrebbe letta nel senso di ritenere che la coincidenza dell’area di sedime, del volume e dell’altezza massima dell’edificio ricostruito rispetto a quello demolito, sia richiesta unicamente nell’ipotesi in cui si vogliano mantenere le distanze legittimamente preesistenti, ancorché inferiori alle distanze fissate dagli strumenti urbanistici vigenti e dal DM 1444/68.
Diversamente, tale coincidenza (volume, sedime, altezza) non è richiesta ove l’edificio ricostruito rispetti le distanze prescritte dagli strumenti urbanistici e dal decreto ministeriale del 1968.
Tale interpretazione consentirebbe di continuare a dare un senso alle norme vigenti, in tutta Italia, riguardanti il “Piano Casa”.
A ben vedere, la questione non è, in sé, la bocciatura di uno specifico comma della legge regionale pugliese, quanto piuttosto il fatto che con il combinato disposto tra la norma statale (assolutamente contradditoria rispetto alle finalità dell’intervento e superficiale nelle sue implicazioni non considerate) e un’eventuale interpretazione irragionevolmente restrittiva, senza cioè la possibilità di accedere concretamente all’incremento volumetrico previsto (dovendo rispettare area di sedime, volumetria e altezza preesistente), si produrrebbero effetti che vanno ben oltre la singola questione posta al vaglio della Consulta, arrivando fino al punto di mettere in discussione non solo il “Piano Casa”, ma anche tutta la legislazione, diffusa su tutto il territorio nazionale, che fa leva su meccanismi incentivanti (premialità e bonus volumetrici, deroghe ad altezze) in funzione della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, della rigenerazione urbana, della sostenibilità ambientale, dell’accessibilità.
Questo vale in Puglia e in qualunque altra regione.
Intanto, è già evidente la portata di questo problema per i Comuni che stavano gestendo diverse pratiche di questo tipo e ora, letteralmente, non sanno che fare, ma anche per i cittadini, i lavoratori, le imprese che si trovano a fare i conti con l’incertezza e, quindi, la paralisi.
È necessaria, pertanto, una tempestiva risposta dal Parlamento con l’approvazione di una norma in grado di rivedere l’improvvido intervento legislativo dell’aprile 2019 o, almeno, di circoscrivere più chiaramente la sua portata nei termini prima esposti.
Le conseguenze di una inazione potrebbero essere disastrose, sul piano occupazionale ed economico.
Non possiamo permettercelo, ancor più in questa fase di estrema difficoltà per il Paese.
ENZO COLONNA