Le ultime settimane sono state trascorse esclusivamente e intensamente con i nostri cari. Anche quando la distanza fisica ci ha tenuti separati, i pensieri sono stati ai nostri affetti. Un nucleo primigenio, irriducibile, insopprimibile.
Diciamocelo. Da quanto tempo non accadeva? Quando mai con tale intensità, durata, autenticità? Quante volte, in queste settimane, nella nostra mente ci siamo ritrovati a formulare pensieri come il signor O’Brien di Malick (“The Tree Of Life”):《Siete l’unica cosa che ho. Siete tutto quello che ho, tutto quello che voglio avere. … Se non ami, la tua vita passerà in un lampo.》
Sì, quante volte, questi pensieri, nella nostra mente, in queste settimane?! Quante volte, in questi giorni sospesi, di nuda essenzialità, ci siamo sorpresi a concludere:《Ho atteso una vita nell’attesa che accadesse qualcosa e quel qualcosa era l’attesa.》
Un’attesa, un pezzo di strada. All’inizio e alla fine, una scintilla, l’unità ‘santa’ che lega una madre o un padre al figlio, la capacità “materna”, che genera, spiega, comprende tutto.
Ecco, basterebbe questa presa di consapevolezza, che ci fa tutti uguali davvero, per ripartire, rinascere, andare l’oltre i nostri limiti, egoismi, orgogli, le nostre certezze, sicurezze, assolutezze, per ritrovare energia, nuovo entusiasmo, rinnovata passione e solidarietà.
Un nuovo ordine. Essenziale ed esistenziale. Così, avremo dato senso e valore al dolore, alla sofferenza, ai sacrifici di questo tratto della nostra vita.
Perché, come scriveva Giuseppe Berto, “non è possibile che la tenebra sia soltanto tenebra, né forse la luce soltanto luce”.