Di seguito, la nota stampa e il documento che ho sottoscritto assieme, per ora, ad altri nove colleghi consiglieri. È il testo che proponiamo per una presa di posizione del Consiglio regionale della Puglia contro il progetto di autonomia rafforzata ora all’esame del governo nazionale, che rischia di aggravare e costituzionalizzare il divario tra Nord e Sud, rendere irreversibile la sperequazione, disgregare unità e solidarietà della Nazione, nella Nazione. Ho più volte ripetuto che l’Unità nazionale, come qualunque alleanza tra diversi, richiede capacità, forza, dedizione, condivisione, tolleranza, pazienza, infinitamente maggiori rispetto all’alleanza di eguali. La Costituzione non si accontenta di registrare la mera esistenza di una “unità e indivisibilità” della Repubblica (art. 5). Proprio perché si tratta di un’alleanza tra diversi, pretende che sia fondata su un patto ordinato sull’eguaglianza di tutti i cittadini e preordinato ad assicurare eguali diritti civili e sociali, eguali livelli di prestazioni e servizi pubblici. (enzo colonna)
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“Ecco il nostro documento contro l’autonomia delle regioni del nord. Chiediamo a tutti i colleghi consiglieri regionali di proporre modifiche e sottoscriverlo, così come chiediamo a tutti i cittadini di farci conoscere la loro opinione”.
Lo comunicano i consiglieri regionali Fabiano Amati, Sergio Blasi, Napoleone Cera, Enzo Colonna, Gianni Liviano, Peppino Longo, Michele Mazzarano, Ruggiero Mennea, Mario Pendinelli e Donato Pentassuglia.
“La nostra Costituzione prevede di trattare a livello locale ciò che ha una dimensione locale alla condizione che siano preservate l’unità del Paese e l’eguaglianza dei cittadini. In questo senso, la proposta di autonomia del nord ci sembra che presenti profili d’incostituzionalità e un conto salato per le regioni meridionali e anche per l’intero Paese.
Ci sembra di poter dire, inoltre, che la richiesta di trasferimento delle materie comporta un incremento di sprechi e di inefficienze, voci classiche della spesa pubblica improduttiva, perché prevedono compartecipazione delle regioni ai tributi statali e un autonomo potere di tassare che per sua natura è in grado di mettere in crisi il rapporto elettorale.
In termini critici e contabili emergono la sanità, con i minori introiti per la Puglia stimati in 682 milioni, la scuola, con la decurtazione di 1 miliardo a danno delle altre regioni e con una riduzione degli stipendi agli insegnanti del sud e le infrastrutture, con il trasferimento di numerose tratte stradali, autostradali e ferroviarie.
Per questo auspichiamo che il Consiglio regionale voti l’impegno a contrastare l’autonomia del nord contro il sud”.
MOZIONE
“Contrasto all’iniziativa di autonomia c.d. rafforzata, avanzata dalle regioni settentrionali”.
d’iniziativa dei Consiglieri regionali Fabiano Amati, Sergio Blasi, Napoleone Cera, Enzo Colonna, Gianni Liviano, Peppino Longo, Michele Mazzarano, Ruggiero Mennea, Mario Pendinelli e Donato Pentassuglia.
VISTO
L’articolo 61 del regolamento interno del Consiglio regionale della Puglia.
PREMESSO
La Costituzione italiana prevede la possibilità per le regioni di richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (articolo 116 della Costituzione, con riferimento all’articolo 117 comma secondo – per alcune lettere – e terzo). Il tutto però con la cautela inderogabile di un fondo di perequazione privo di vincolo di destinazione e a beneficio dei territori con minore capacità fiscale per abitante (articolo 119 comma 3).
La Legge fondamentale, dunque, configura l’autonomia come una possibilità offerta alle regioni, previa intesa con lo Stato e approvazione delle Camere a maggioranza assoluta, per trattare a livello locale ciò che ha una dimensione locale, così da rimuovere inefficienze e recuperare economicità nell’azione della pubblica amministrazione; sempre e comunque nel rispetto del superiore obiettivo al raggiungimento di una più forte unità del Paese ed eguaglianza dei cittadini.
L’applicazione delle richiamate norme costituzionali, a chiaro contenuto discrezionale, comporta una decisione politica accordata con l’attualità (cultura, realtà sociale, mercato, scienza, tecnica) e con la responsabilità sui conti, talché diventa abbastanza difficile riconoscere nei tempi che viviamo la sopravvivenza di problemi o soluzioni a contenuto prevalentemente locale.
Per meglio comprendere la difficoltà a riconoscere nell’attualità l’esistenza di problemi a dimensione locale, e quindi a sancire con maggiore obiettività l’eventuale incongruenza (anche per gli interessi del nord del Paese) delle ipotesi di maggiore autonomia, valga considerare: a) l’ordinamento dell’Unione europea e la relativa necessità per l’ordinamento italiano di mutarsi per acquisire maggiore somiglianza con gli standard continentali; b) il progresso tecnologico e digitale sempre più esteso; c) la conseguente irrilevanza e inefficacia di ogni politica diretta a rinchiudersi (o a difendersi) in un confine amministrativo.
Più la cultura, la realtà sociale, il mercato, la scienza, la tecnica e le regole sulla responsabilità nei conti si fanno più evoluti, complessi e stringenti, più si stabilisce una forte interdipendenza tra popoli, stati e continenti. E se per propaganda o per mera ideologia prive di consapevolezza della realtà si prova a resistere con gli strumenti della politica ridotta all’ambito stretto della nazione o addirittura della regione, finisce che la politica – con le sue decisioni – si condanna da sola all’irrilevanza, cioè a non esercitare l’efficacia del comando su cui si fonda l’utilità del gesto elettorale compiuto dai cittadini, con tutto il suo carico di speranza.
A quanto detto potrebbe muoversi l’obiezione che tali considerazioni di metodo nel formarsi della decisione politica paiono subordinare gli uomini e le loro identità territoriali al mercato, alla scienza, alla cultura, alla tecnica, alla responsabilità nei conti e – in definitiva – all’economia. Non è così, perché la centralità dell’uomo è preservata nelle cose che crea e nelle mutazioni che genera, per apportare miglioramenti alle condizioni di vita e alle relazioni sociali.
In questo contesto, dunque, risulta azzardato spingersi in opinioni sul progetto di autonomia rafforzata in via di discussione senza effettuare un’analisi ponderata sulle norme e sui costi (economici e sociali), il cui esito potrebbe portare ad affermare – invece – che i bisogni dell’Italia si potrebbero appagare attraverso una minore autonomia delle regioni, così come peraltro non molti anni fa l’opinione pubblica sembrava propendere, portandosi dietro il carico normativo stabilito dal Parlamento nazionale e dai Consigli regionali per mitigare ciò che s’indicava con la metafora di “rimborsopoli”.
A questo si aggiunga, sempre sotto il profilo metodologico e per quanto attiene ai costi, che un trasferimento di materie dallo Stato alle regioni comporta un incremento di sprechi e inefficienze, voci classiche della spesa pubblica improduttiva, se i fondi per gestire tali materie arrivano dalla compartecipazione delle regioni ai tributi statali (è questa l’ipotesi che si sta avanzando) e non attraverso un autonomo potere di tassare che per sua natura è in grado di mettere in crisi il rapporto elettorale, assumendo quindi il valore di calmiere della spesa pubblica inutile e improduttiva.
Allo stato emerge a riflessione, rendendosi oggetto di analisi, il progetto di autonomia rafforzata presentato da alcune regioni settentrionali. Certo, non tutte le proposte hanno uguale portata al cospetto del procedimento di compatibilità con i superiori obiettivi di unità del Paese, eguaglianza dei cittadini e responsabilità nei conti. Ma in questa sede valga una riflessione di ordine generale, che già di per sé giustifica più d’una critica, all’interno dei già detti parametri di valutazione.
In disparte i pur importanti dettagli, risulta in contrasto con i dettami costituzionali riservare ad alcune regioni una parte del gettito maturato nel territorio, depauperando il fondo di perequazione nazionale, nato proprio per ridurre le differenze nell’erogazione dei servizi e senza una preliminare definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni condotta su base nazionale e tenendo conto dei limiti “storici” delle regioni meridionali.
In termini di maggiori criticità emergono la sanità, la scuola e le infrastrutture, così come poste dalle bozze di intese filtrate.
Per la sanità le regioni meridionali subirebbero, detto in termini di primissima stima, una severa decurtazione del fondo di perequazione, che per la Regione Puglia si attesterebbe in una riduzione di € 682 milioni.
Per la scuola, invece, si prevede la legislazione regionale concorrente e il relativo trasferimento di risorse (è stato stimato 1 miliardo in più), al fine di intervenire sulle funzioni e sull’organizzazione del sistema scolastico e del processo educativo, oltre alla regionalizzazione del Fondo ordinario delle università. Ciò comporterebbe uno stipendio maggiore per gli insegnanti delle regioni del nord – e uno minore per quelli del sud – e un aumento delle risorse per le università del nord.
Per le infrastrutture, infine, è stato richiesto il trasferimento di numerose tratte stradali e autostradali, comprese quelle in convenzione, già realizzate o in via di realizzazione, e l’ingresso in qualità di concedenti sulle reti ferroviarie. Ciò determinerebbe un maggior gettito tributario trattenuto dalle regioni del nord, a discapito delle altre regioni.
Il quadro così riassuntivamente descritto, anche con le accennate esemplificazioni e stime, valutato sulla base del metodo di responsabilità sui costi e compatibilità costituzionale complessiva, comporta la conseguenza che le richieste di maggiore autonomia sono dannose per l’Italia in generale e per le regioni meridionali in particolare, e rappresentano una rottura dell’unità del Paese, una fucina di disuguaglianze tra i cittadini e un atto di presunzione egoistico e fuori dal tempo, almeno nell’Italia che guarda all’Europa.
L’autonomia proposta dalle regioni del nord rischia di aggravare e costituzionalizzare il divario tra Nord e Sud, di rendere irreversibile la sperequazione, di dissolvere unità e solidarietà della Nazione, nella Nazione.
L’Unità nazionale, invece, come qualunque alleanza, richiede capacità, autonomia, dedizione, condivisione, tolleranza, infinitamente maggiori rispetto all’alleanza di eguali. La Costituzione non si accontenta di registrare la mera esistenza di una “unità e indivisibilità” della Repubblica (articolo 5). Proprio perché si tratta di una alleanza, pretende che sia fondata su un patto ordinato sull’eguaglianza di tutti i cittadini e preordinato ad assicurare eguali diritti civili e sociali, eguali livelli di prestazioni e servizi pubblici.
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Tutto ciò visto e premesso,
il Consiglio regionale della Puglia
impegna tutti gli organi regionali ad intraprendere ogni iniziativa per contrastare il procedimento avviato da alcune regioni italiane ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, perché lesivo delle stesse disposizioni costituzionali che lo regolano e di quelle che impongono il dovere di preservare l’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei cittadini.
I consiglieri proponenti:
Fabiano Amati, Sergio Blasi, Napoleone Cera, Enzo Colonna, Gianni Liviano, Peppino Longo,Michele Mazzarano, Ruggiero Mennea, Mario Pendinelli, Donato Pentassuglia.
Nelle immagini, la mozione: