La recente approvazione, da parte del Commissario Straordinario del Consorzio di Bonifica “Terre d’Apulia”, delle liste di carico relative al contributo per la difesa idraulica riferite all’anno 2015 (cosiddetto “cod. 630”) e al recupero delle quote “sottominimi” relative all’anno 2014 (ovvero delle imposizioni di importo esiguo che, sommandosi con il contributo 2015, superano il minimo esigibile pari a € 12,00), con la conseguente trasmissione ai contribuenti interessati degli avvisi di pagamento, sta riaccendendo, in questi giorni, un dibattito diffuso tra i proprietari di immobili ricompresi nel territorio consortile, gli operatori agricoli, le associazioni di categoria e, più in generale, i cittadini coinvolti, sull’utilità stessa di questi Enti e sulla loro effettiva capacità di rispondere tempestivamente alle esigenze per cui sono stati istituiti.
A tale riguardo, prima di avanzare qualche proposta su questa controversa questione, ritengo necessario chiarire il quadro normativo di riferimento, anche al fine di comprendere i reali margini di operatività della Regione Puglia in questo contesto.
Come noto, i Consorzi di Bonifica sono previsti dal Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215 che, per quanto risalente, è ancora vigente, e sono enti di diritto pubblico obbligatoriamente partecipati dai proprietari dei beni immobili situati entro il perimetro dei relativi comprensori; proprietari che, ai sensi dell’art. 860 del Codice Civile, “sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica”.
Questi enti, pertanto, essendo previsti da una normativa statale, nell’ambito di una materia – quale quella del “governo del territorio” – attribuita dall’art. 117 della Costituzione alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, non sono sopprimibili come da taluni proposto, ma possono svolgere (se efficacemente gestiti) un ruolo di fondamentale importanza per la difesa del suolo e delle campagne da esondazioni o inondazioni, o per un corretto e razionale utilizzo della risorsa idrica a fini irrigui o per altre destinazioni, con innegabili benefici per i proprietari dei beni immobili ricompresi nei Consorzi stessi.
Con la legge regionale che approvammo poco più di un anno fa (n. 1 del 3 febbraio 2017: da qui una mia nota oppure leggi qui), la Puglia si è dotata di un’articolata e aggiornata disciplina dei Consorzi di bonifica, mettendo soprattutto fine a ben 13 anni di commissariamenti, creando le condizioni per restituire a questi enti e ai proprietari consorziati una prospettiva certa per il futuro.
Con la legge regionale n. 1/2017, infatti, si è proceduto, tra le altre cose, a disciplinare la definizione, concordata con i creditori, della pesante situazione debitoria degli enti commissariati che, al netto delle anticipazioni della Regione, ammontavano a circa 145 milioni di euro. Si è poi provveduto a istituire un unico Consorzio di Bonifica (“Centro-Sud Puglia”) in sostituzione dei precedenti quattro commissariati (“Arneo”, “Ugento Li Foggi”, “Stornara e Tara” e “Terre d’Apulia”) in modo da determinare una semplificazione del sistema e un considerevole risparmio sui costi di gestione. Si è anche attribuito un importante ruolo strategico ad AQP, assegnando a questa società regionale, senza oneri aggiuntivi e in considerazione della grande competenza nel settore, la direzione tecnica delle funzioni in materia di irrigazione e acquedotti rurali del nuovo Consorzio di Bonifica “Centro-Sud Puglia”.
L’obiettivo era e rimane quello di passare il più rapidamente possibile, e in via definitiva, da una fase transitoria ancora in corso ad una gestione “a regime”, come previsto dalla nuova legge regionale.
In questo contesto si inseriscono gli avvisi di pagamento inviati in questi giorni dal commissario straordinario del Consorzio di Bonifica “Terre d’Apulia”. Si tratta del contributo imposto ai proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio e finalizzato a consentire la realizzazione, la manutenzione e l’esercizio delle opere necessarie a garantire la bonifica delle aree o la corretta gestione della risorsa idrica.
Il contributo, però, può essere imposto solo nel caso in cui si sia effettivamente generato, per il singolo proprietario, quel particolare beneficio, specifico e diretto, finalizzato a migliorare la qualità e ad incrementare il valore del terreno inserito nel comprensorio del consorzio. Altra condizione indispensabile è che sia stato approvato il cosiddetto “Piano di Classifica” e cioè lo strumento tecnico-amministrativo per mezzo del quale il Consorzio provvede alla individuazione, sulla base di precisi indici tecnici ed economici, dei benefici specifici che gli immobili ricadenti all’interno del comprensorio consortile traggono dall’attività di bonifica posta in essere.
Per quanto riguarda il Consorzio “Terre d’Apulia”, il Piano di Classifica è stato approvato dalla Giunta regionale con Deliberazione n. 1148 del 18 giugno 2013 e, sulla base di questo, il Consorzio procede ad emettere gli avvisi di pagamento.
Questo, però, ritengo non sia sufficiente, da solo, a giustificare l’imposizione del contributo, dovendosi verificare in concreto se l’attività svolta ha determinato effettivamente quel beneficio previsto per i singoli consorziati che possa rendere legittima la pretesa economica.
Da questo punto di vista, lungi dalle semplificazioni populiste e demagogiche, ritengo necessario che sia fatto un approfondimento. Le molte segnalazioni che sto ricevendo in questi giorni inducono a ritenere che, in mancanza di opere o interventi effettivamente efficaci, siano scarsi (quando non proprio inesistenti) i benefici apportati.
Occorre altresì dire che da verifiche e approfondimenti condotti presso il Consorzio di Bonifica, proprio a seguito delle molte sollecitazioni ricevute, ho avuto modo di verificare che l’ente, complessivamente, dovrebbe ricavare da questi contributi circa 3 milioni di euro l’anno. Sulla base di quanto avvenuto negli anni precedenti, può dirsi che di questi potrebbe incassare, in realtà, circa la metà (1,5 milioni di euro), largamente insufficienti a far fronte alle opere e agli interventi necessari, anche perché in parte assorbiti dal significativo contenzioso legale che drena cospicue risorse.
L’esiguità delle risorse concretamente incamerate riduce fortemente la capacità operativa del Consorzio, limitando così gli effettivi benefici per i proprietari consorziati. Tanto determina che l’imposizione del contributo appaia, in assenza di interventi, un insopportabile balzello.
A questo proposito mi limito a formulare due proposte.
La prima è quella di aggiornare il “Piano di Classifica” del 2013 in modo da renderlo coerente alla realtà, procedendo ad una verifica della puntuale rispondenza tra le opere e gli interventi effettivamente realizzati o a realizzarsi e il concreto beneficio tratto dai proprietari.
La seconda proposta è quella di procedere all’abolizione del contributo di bonifica per gli immobili in aree urbane. Tanto si impone, in particolare, per quelli ubicati in ambiti serviti da pubblica fognatura, a condizione che, come previsto dall’art. 19 della legge regionale n. 4/2012, le acque trovino recapito nel sistema scolante del comprensorio di bonifica esclusivamente attraverso le opere e gli impianti di depurazione oppure non siano sversate affatto nel sistema scolante del comprensorio di bonifica. In tal modo verrebbero esonerati dal pagamento di una imposizione obiettivamente ingiusta e non dovuta i proprietari di immobili che non beneficiano affatto delle opere o degli interventi del Consorzio di Bonifica.
Su questo garantisco il mio impegno nelle competenti sedi istituzionali al fine di approfondire la questione e arrivare ad una risoluzione di un problema sentito da molti cittadini pugliesi.