“BENI COMUNI” E NUOVA DISCIPLINA DEI BENI PUBBLICI. PRESENTATA PROPOSTA DI LEGGE AL PARLAMENTO DI INIZIATIVA REGIONALE CHE RIPRENDE IL LAVORO DELLA COMMISSIONE RODOTÀ.

Ho presentato ieri al Consiglio regionale una proposta di legge statale da presentare al Parlamento, destinata a modificare le norme del codice civile sulla disciplina dei beni in generale e a introdurre, tra l’altro, uno statuto giuridico dei “beni comuni”.

Dal seguente link, in basso alla pagina, è possibile leggere e scaricare la proposta di legge e la relazione che ho depositato: http://www.consiglio.puglia.it/…/Nuova-disciplina-dei-beni-…

La possibilità di proporre disegni di legge alle Camere è una prerogativa espressamente attribuita alle Regioni (art. 121 della Costituzione).
La proposta di legge recepisce il disegno di legge-delega elaborato dalla Commissione sui Beni Pubblici istituita presso il Ministero della Giustizia nel 2007 e presieduta dal Prof. Stefano Rodotà, recentemente scomparso.
La mia iniziativa nasce dalla condivisione delle ragioni giuridiche e dei motivi ispiratori di questo disegno di legge.

Da tempo, infatti, si avverte la necessità di un quadro normativo in grado di fornire criteri generali, adeguati strumenti giuridici e direttive sulla gestione dei beni pubblici nell’interesse della collettività e sulla eventuale dismissione degli stessi qualora non siano più funzionali a soddisfare interessi ed esigenze di natura collettiva.
L’obiettivo è disporre di strumenti giuridici che tengano conto del nuovo quadro normativo che ha visto modificarsi la disciplina di beni pubblici già noti, emergere nuove tipologie di beni e avvertire come attuali nuovi bisogni e interessi che quei beni sono chiamati a soddisfare. Si pensi alle risorse naturali, che richiamano una necessità di protezione di lungo periodo e una gestione che le preservi anche nell’interesse delle generazioni future e alle c.d. “reti” necessarie per assicurare servizi pubblici. Il tutto in un quadro in cui la sostenibilità economica è divenuta un presupposto imprescindibile per l’efficacia nel tempo delle politiche di conservazione e valorizzazione. Per un verso, dunque, si rischia di continuare a doversi occupare di beni economici inutilizzati e inutili, per l’altro occorre evitare di cedere, senza adeguate garanzie, beni pubblici per finanziare spese correnti, in difetto di una consapevole scelta strategica.
Quando, poi, si è tentato, mossi da ragioni eminentemente finanziarie, di aprire una stagione di dismissioni, la mancanza di adeguati strumenti giuridici che consentissero di identificare immediatamente i diversi tipi di interessi collettivi meritevoli di tutela ha impedito, di fatto, la realizzazione di tali operazioni. In difetto di un serio ripensamento delle nozioni fondamentali l’intero settore è destinato a restare ingovernabile, perché lo stesso legislatore non dispone degli strumenti essenziali che gli consentano di calibrare i suoi interventi selezionando obiettivi coerenti.

Al riguardo, la proposta di legge presenta una revisione dei criteri di classificazione dei beni, nella convinzione che il mero statuto giuridico delle singole tipologie consegnato al diritto italiano vigente, fornisce criteri arbitrari o meramente formali (beni privati e beni pubblici; tra questi, demanio e patrimonio).
Per superare gli arbitrari formalismi che dominano la materia, dunque, all’esito di una fase di studio di altissimo profilo scientifico, la Commissione Rodotà decise di proporre una ricostruzione della classificazione dei beni pubblici che riflettesse la realtà economica e sociale delle diverse tipologie di beni, a partire dalle utilità che – secondo la legge – ciascun tipo di bene esprime, ovvero a partire dagli interessi connessi a quei beni che la legge intende tutelare. Proprio per meglio chiarire che con la locuzione “bene in senso giuridico” si indica il punto di riferimento obiettivo per la tutela di interessi meritevoli, si è ritenuto di intervenire anche sull’articolo 810 del Codice Civile, che ne contiene una definizione, in modo da estendere espressamente la nozione di bene anche alle cose immateriali cui la legge ricollega interessi degni di considerazione.

Nello specifico, la proposta di legge intende conferire al Governo la delega ad adottare un decreto legislativo che modifichi alcune norme contenute nel Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile e altre norme collegate in materia di diritto della proprietà e dei beni.

Sono tre gli interventi principali previsti dalla proposta di legge:
1) Si propone in primo luogo di riformulare l’articolo 810 del codice civile in modo da ricomprendere nella nozione generale di beni anche le cose immateriali cui la legge ricollega interessi degni di considerazione.

2) L’aspetto più rilevante della proposta riguarda poi la classificazione sostanziale dei beni. L’obiettivo è quello di prevedere, accanto alle tradizionali categorie di beni pubblici e privati, una nuova e fondamentale categoria: quella dei “beni comuni”. Tali sono le cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona.
La disciplina di questi beni prescinde completamente dalla loro titolarità o dal regime di appartenenza ed è, quindi, applicabile indifferentemente sia quando tali beni siano pubblici, sia quando siano privati. Si pensi alle risorse naturali da preservare per le generazioni future (al bene “acqua”, ad esempio, tema che ha visto impegnato il Consiglio regionale della Puglia a più riprese, da ultimo con riferimento al futuro assetto gestionale del servizio idrico integrato della Puglia) e ai beni culturali, archeologici e ambientali, che espressamente sono ricondotti a questa categoria.
Occorre però fare attenzione e non cadere nella tentazione di pronunciare facili ed erronei slogan: affermare, per esempio, che i beni culturali sono beni comuni non significa che tutti i beni di interesse culturale sono di proprietà pubblica o sono di tutti. Significa, invece, riconoscere la rilevanza giuridica dell’interesse diffuso alla conservazione e fruizione di tali beni culturali e riconoscere che il proprietario – sia esso un soggetto pubblico o privato – sarà tenuto al rispetto delle regole che ne disciplinano la gestione nell’interesse della collettività.
L’attenzione per questa categoria cruciale di beni, dunque, si sposta dalla questione della titolarità (la natura e qualità del soggetto titolare) a quella della disciplina delle attività di gestione, fruizione, conservazione, valorizzazione, tutela (le utilità e le funzioni dell’oggetto, del bene). Proprio a questo fine, con la proposta si intende estendere a chiunque la possibilità di attivare la tutela giudiziale sui beni comuni, avvalendosi degli strumenti inibitori previsti dall’ordinamento.

3) L’ultimo aspetto riguarda più da vicino i beni pubblici per i quali si propone di superare l’attuale distinzione tra demanio e patrimonio introducendo una nuova ripartizione articolata in tre categorie, sulla base delle esigenze sostanziali che tali beni sono chiamati a soddisfare:
– i “beni ad appartenenza pubblica necessaria”, ossia quelli che soddisfano interessi generali fondamentali, quali, ad esempio, la sicurezza, l’ordine pubblico, la libera circolazione. Per essi si è prevista una disciplina rafforzata rispetto a quella attualmente stabilita per i beni demaniali: oltre alla impossibilità di usucapire e vendere il bene, sono previste specifiche garanzie in materia di tutela sia risarcitoria che inibitoria;
– i “beni pubblici sociali”, cioè quelli che soddisfano esigenze della persona particolarmente rilevanti nella società dei servizi. Fanno parte di tale categoria, ad esempio, le case dell’edilizia residenziale pubblica, gli ospedali, gli edifici pubblici adibiti a istituti di istruzione, le reti locali di pubblico servizio. Per tali tipologie di beni si prevede una disciplina basata su di un vincolo di destinazione qualificato che può cessare solo se venga assicurato il mantenimento o il miglioramento della qualità dei servizi sociali erogati;
– i “beni pubblici fruttiferi”, una categoria residuale che ricomprende beni di appartenenza pubblica, alienabili e gestibili, previa motivazione, con strumenti previsti dal diritto privato.

Auspico che il Consiglio regionale voglia condividere questa iniziativa. Ritengo che rappresenti anche il modo migliore per onorare la passione, l’impegno e il grande contributo fornito dal compianto Prof. Rodotà. Quello dei “beni comuni”, peraltro, è un tema su cui sono da lungo tempo impegnato. Può e dovrebbe guidare l’azione politica di tutti a condizione che sia trattato e sviluppato su serie basi scientifiche e giuridiche e senza indugiare in frasi ad effetto e slogan inconcludenti lontani dalla realtà e dalla sostanza delle cose, cioè i bisogni e gli interessi collettivi che tali beni sono in grado di soddisfare. Altrimenti il rischio è di trasformare i “beni comuni” in luoghi comuni.