Altro dato (parere personale, quindi opinabilissimo) è che gli elettori ormai si identificano più che con gli schieramenti o nei partiti, con candidati, riferimenti e idee di governo credibili o che riescano ad apparire tali. Come, se non con questo criterio, interpretare risultati diversi e disomogenei?
Il sindaco uscente Zedda (di sinistra a capo di una coalizione di centrosinistra) viene confermato a Cagliari al primo turno. De Magistris di Napoli (coalizione con movimenti, verdi, sinistra) ha un ottimo riscontro. Buono il risultato della Meloni a Roma. Insperato il 25% di Giachetti in un contesto disperato. Parisi (centrodestra) e Sala (centrosinistra), pur con proposte sbiadite, riescono a convincere il 40% dell’elettorato milanese ciascuno. Riccardo Rossi, con una candidatura solitaria fuori dal perimetro PD, ottiene un lusinghiero 14% a fronte, invece, degli irrilevanti risultati raggiunti dalle candidature a sinistra di Fassina a Roma, Airaudo a Torino e Rizzo a Milano (tra il 3,5 e il 4,5%).
Anche il risultato del M5S non mi pare un dato omogeneo. Certo, ha colpito i più il risultato di Roma (35%). A me, invece, ha più impressionato quello di Torino con Chiara Appendino, una candidata di qualità e autenticità nettamente superiori ad una artificiale proposta come la Raggi, che raggiunge il 30% in un contesto di gran lunga più difficile e competitivo di quello romano. Ma poi ci sono i risultati modesti dei 5S a Milano, Napoli e Cagliari (9%) o a Crotone con il 4% o ancora, qui vicino, a Gioia del Colle con il 5%.
Non si spiegano risultati così differenziati e distanti tra loro se non con la valenza, sempre più determinante e incisiva, della credibilità delle esperienze in campo e delle storie politiche e personali dei candidati.
Di questo dovrebbero prendere atto tutti, soprattutto quelli che non condividono la linea renziana, dentro e fuori il partito democratico. Perché, Renzi, di tutto questo è invece perfettamente consapevole. E infatti lui si gioca la sua partita, tutta personale, ostentando persino disinteresse sulla sorte dei territori e delle comunità politiche locali che in quel partito o in quell’area politica si sono riconosciute per lungo tempo.
In un quadro desertificato, indifferenziato, informe e banalizzato, ognuno fa quello che gli pare, i territori lasciati al proprio destino, magari condizionato da cacicchi locali. Quello che conta è vincere la sua competizione: con il “sì” nel referendum sulla riforma costituzionale di ottobre e con un segno su un simbolo non più evocativo di una politica, di una storia, di volti e persone, di una comunità, ma solo in grado di identificare lui e solo lui.
L’Italicum, l’indegna legge elettorale da lui promossa e approvata, in linea peggiorativa con il Porcellum, serve proprio a questo: rompendo definitivamente qualsivoglia collegamento tra base elettorale ed eletti, mortificando la necessaria forza rappresentativa di forze politiche e territorio, assegnando al segretario nazionale di partito il controllo totale sugli eletti, anche le elezioni saranno un referendum su questo o su quel candidato alla presidenza del consiglio.
[Per questo, assieme ad altre forze politiche, da alcune settimane siamo impegnati nella raccolta di firme per chiedere un referendum abrogativo di alcune sue parti: sinora sono state raccolte ben oltre duemila firme solo ad Altamura]
O si parte da questa consapevolezza, dalla necessità di abbandonare calcoli e logiche di apparato, mettendo in campo energie ed esperienze attive sui territori, individuando rappresentanti e riferimenti ben riconoscibili e soprattutto credibili agli occhi degli elettori… o di quella che un tempo si chiamava sinistra o centrosinistra non resterà più nulla.
Nemmeno Renzi, che, vado ripetendo da tempo, a mio parere i calcoli li ha pure fatti male.
Rottamando rottamando, riuscirà a rottamarsi.