NON SI MUORE TUTTE LE MATTINE

NON SI MUORE TUTTE LE MATTINE



Reading del cantautore Capossela alla Feltrinelli di Bari


 



di Francesco Dezio



“A lungo mi sono rinchiuso in uno scantinato, tra una caserma dei carabinieri e una casa geriatrica, tenendomi ben alla larga dagli editori, perché già  nella musica avevo pagato lo scotto” racconta. “Volevo che le cose si espandessero, si confondessero. La svolta? Tre anni di chiacchiere con Carlo Feltrinelli, e, non mi vergogno a dirlo, molti aperitivi. Mettere un punto è difficile, ma adesso che mi sono amputato mi sento liberato”.



Devo, dovrei disquisire della visita feltrinelliana di Capossela e del suo libro, ovvero partiture musicali in forma scritta (ha parlato di splendido vestito di parole morte, o parole abbigliate nella maniera migliore e definitiva in quello che però è una tomba una bara, che sarebbe poi il libro/contenitore “e non solo quello, vi do tutto, la bara, ma pure il corpo, il qui presente”… la feltrinelli definita una teca contenente tutte queste splendide farfalle-parole che sono i saperi).. si è portato anche il piano formato mignon appresso – e, tra una lettura sonata e l’altra, si dava una trincata di vin bianco).. quindi tra una lettura e l’altra, dicevo pocanzi, c’erano questi intermezzi musicali (ad esempio ha proposto la
classica “what a wonderful world”)… A metà  performance (durata un’ora circa) si è vestito in tenuta da ussaro (con tanto di colbacco e divisa arancione a mostrine dorate)… Pubblico (specie le ragazze) in deliquio, ubbriacato.. e risolini (specie le ragazze) quando legge cosa vuole un uomo:
fartelo sentire tutto dentro fino in fondo, fin dentro lo stomaco… ihihih… – risatelle… – che ondeggiava a comando (la ola) e canticchiava.. Capossela (esaltatissimo – e bevutissimo).. quest’uomo del novecento immerso nel mondo della riproducibilità  tecnica… che pare non averlo toccato… tra sonerie, scatti, flash, riprese dal cellulare, essemmesse digitati da ragazzotte con il jeans a cavallo basso…
per un reading applauditissimo… la letteratura a Bari smuove le masse, a quanto pare… – ammenocché non provengano dal suo seguito di fan… – a voler esser cinici potrebbe trattarsi di un buon 60 per cento (variegata come fauna giovanile: fighetti, intellettualini con gli occhiali, rastafari e perfino qualche darkettona in  su con gli anni) a richiamarli è stato sì il libro – che il suo fascino ce l’ha, indipendentemente da – ma soprattutto, lasciatemi dire, il personaggio, la popstar (ormai parrebbe avviato su questa china)… Capossela ha letto ed è andato via, senza concedere altro che la sua presenza, niente autografi (anche per un problema di tempi – dovevano chiudere – e logistico.. stavamo ammassati… boccheggianti… – sentivo le bodyguard lamentarsi, che da qualche parte avevano divelto scaffali… c’era la conta dei danni)…

Il libro (ovvero le capitolazioni) si compra a peso (trattasi, come da retrocopertina di gr 400 prezzo al kg euro 40.00 – ne costa invece – facendo la tara, euro 16.00) – esperienza visiva prima ancora che scritta… un investimento di memoria notevole da parte di Vinicio (ci ha messo sette anni per partorirlo). Lui stesso definisce la scrittura come uno sforzo di depurazione; dopo un periodo di dolori, di spasmi, di vino, di “coliche immaginative”, di otturazioni del flusso della vita, nascono questi residui fissi, questi “spurghi” sulla carta. Da questo concertato di scritture (e stili diversi) traccia le rotte di questa apocalisse sensoriale. E lo sforzo dentro la strozzatura a imbuto che è il farneticare che chiede la quantità , solo la quantità  sfusa: è lì che Dio, God, Tutt’ Quant si fa intravedere. Ed è là  che va cercato.



Come il vino rosso dà  alla testa per quanto è ricco di terminazioni paesaggistico nervose e fondali interiori… i territori musicali spandono su carta… geografica che mappa la solitudine dell’artista nei motel, dove tutto scorre, la vita, nel suo pulsare asincrono e si avverte meglio quando ci si trova nei luoghi di passaggio, i cosiddetti non luoghi… dove al chiuso di una stanza la percezione aumenta, si dilata, fermenta nella testa. Gorgogliano i tubi e le storie che scorrono intorno e arrivano da ognidove… e piove e poi una lama di luce e poi ancora notte alla luce rossa dell’insegna a neon… e di giorno nell’afa, la nebbiola del livore bianchiccia tra le città  spopolate in estate, vuote, in cui si staglia la gigantesca piana ipermecata… Quelle tangenziali enormi che solcano il cuore di un posto dove le fabbriche hanno lasciato spazio ad altro, ma non al cielo”.



Si viene continuamente sballottati, dirottati… si attraversa la banchisa urbanistica… è lo scroscio dell’acqua sulle auto… o gli allarmi in funzione… che segnalano ancora la vita… e poi il repentino inabissarsi nel passato: dalla macroscopica cavalcata degli ussari a quella microscopica dell’esercito dei soldatini di piombo allineati tutti in fila.



L’epopea consta di 48 capitoli, ha la musicalità  dei tanghi e delle rumbe… piccole ouverture e “baraonde” celiniane (stessa febbre elencativa)… come quando arrivano i bersaglieri… il trapestìo… le tangenziali (che a bar-bari-bar usano chiamare cumblanari), le bielle i pistoni e le epopee, la bosnia… bicchiere in mano.. ne ingolla un altro… preda del cinematismo, sulle note di Glenn Gould, dai motel a Napoleone, a Kerouac.. disserta sul mestiere degli antennisti, o le sfide, come tra i sollevatori di pesi bulgari… e viaggi.. tantissimi viaggi…



Scolane un altro Vinicio, per stasera… è la, adesso, che suona al piano, lo vedo ancora assalito dai ricordi… dal “superbo ragionar”… la voce impastata dall’alcol… in questa giostra di spurghi, riflussi e rifiati melmostosi… il pubblico agganciato alla girandola, che pende dai rimuginii, dalle fornicazioni con le parole messe in atto e che a volte non sempre si lasciano comprendere: a mio avviso troppe… farneticazioni. Se gli si può muovere una critica è che si tratta – a volte – di innesti per lo più privi di trama… altrimenti si và  avanti; non bisogna chiedersi, né farsi troppe domande, solo lasciarsi trasportare dalle architetture verbali e sonore, il segreto è quello. Come in una serenata, prima la resa, poi la grazia.