Alta Murgia Story

ALTAMURA- Si fa presto a dire Parco. Si fa presto a dire «è fatta».
Sì, mentre a Bari come a Roma si è già  messa in moto la macchina che dovrebbe dare l’accelerazione definitiva all’istituzione dell’Ente parco nazionale dell’Alta Murgia, mentre gli ambientalisti di mezza Italia – e non solo loro – esultano per il «sì» espresso a maggioranza anche dal consiglio comunale di Altamura, mentre, in pratica, ogni casella sembra essere stata sistemata nel posto giusto per risolvere definitivamente una questione che si trascina da almeno dieci anni, ecco che nuovi e vecchi fantasmi riprendono ad aleggiare su questo immenso e straordinario territorio situato nel cuore della Puglia.
Fantasmi, spesso anche in carne ed ossa, che da sempre costituiscono l’ossatura più o meno evanescente di quel grande e potente partito trasversale che in questi anni, con l’alibi di voler produrre lo «sviluppo», si è opposto nei fatti al Parco e che qui, in tutta l’Alta Murgia, prima di puntare in massa e con successo sul mobile imbottito, ha privilegiato insediamenti di tutti i tipi: discariche più o meno autorizzate, poligoni militari, polveriere, insediamenti industriali non sempre ecocompatibili, improbabili invasi per il contenimento dell’acqua destinata all’irrigazione dei campi e persino (negli anni Settanta-Ottanta) le centrali nucleari e lo stoccaggio delle scorie radioattive (quest’ultima «idea», da realizzare in un’area attigua alla polveriera di Poggiorsini, è ancora agli atti).
IL PASTICCIO
Fantasmi che hanno ripreso a materializzarsi proprio dalla notte fra lunedì e martedì della scorsa settimana, quando, quasi all’alba, il consiglio comunale di Altamura (buon ultimo fra i tredici Comuni interessati) ha votato a favore del Parco. Perché? Perché con quel voto è stato consumato un autentico «pasticcio». Un «pasticcio» degno della peggiore – e per tanti versi vitalissima – Prima Repubblica. Un «pasticcio», che ha indotto i 16 consiglieri presenti (tutti della maggioranza di centrosinistra, che ne vanta, sulla carta, 19) a votare, fra uno sbadiglio e l’altro, una delibera molto diversa da quella che era stata portata in aula e che, presto o tardi, come giura la minoranza di centrodestra, «diventerà  oggetto di indagini e di esame della magistratura ordinaria e di quella amministrativa».
È accaduto, infatti, che, durante una delle tante pause, la delibera – ma soprattutto un suo allegato indispensabile (la cartografia) – sia stata letteralmente stravolta. Con il risultato che ciò che sino ad un attimo prima aveva un barlume di coerenza (si era deciso di escludere dal perimetro del Parco un’intera area di circa 500 ettari a ridosso del centro abitato di Altamura lungo la direttrice per Bari, area denominata «Parco Priore») si è trasformato nel «gioco delle tre carte».
UN AFFARE
DI FAMIGLIA

In pratica, gli ettari esclusi sono diventati appena 150 circa. E mentre nella perimetrazione del Parco è rimasta una vasta area nella quale molti imprenditori locali hanno chiesto (ed alcuni già  ottenuto) i decreti ai sensi della legge regionale 34 del ’94 (quella, per intendersi, che prevede gli accordi di programma in deroga agli strumenti urbanistici), è stata esclusa una piccola porzione nella quale si trova una delle proprietà  della famiglia Ferri (in città  nota per essere fra quelle in espansione nel settore del salotto), strettamente imparentata con un consigliere comunale della maggioranza, Franco Tafuni della Margherita, presente all’atto della votazione sul Parco e determinante ai fini della sua regolarità  (come s’è detto, hanno votato in 16, ovvero con il minimo numero consentito, essendo assenti tre consiglieri della maggioranza ed essendo usciti dall’aula quelli della minoranza).
IL MISTERO
DELLA CARTOGRAFIA

Un autentico «pasticcio», aggravato, come se non bastasse, dalla misteriosa «scomparsa» (ma sarebbe più giusto dire: mancata produzione agli atti) di una cartografia coerente con il voto dell’aula. Ancora fino a ieri mattina, infatti, la delibera e l’allegata cartografia non erano state affisse all’albo pretorio. La quale cosa ha dato ulteriore linfa alla minoranza di centrodestra e ad alcuni pezzi della stessa maggioranza (a cominciare dal circolo cittadino della Margherita, il partito del sindaco, Rachele Popolizio), che, sin dalle ore immediatamente successive al voto, avevano gridato allo scandalo.
E così, mentre la Margherita – che qui fa capo al consigliere regionale Pietro Pepe – ha preso le distanze dal sindaco e pubblicamente si è «dissociata» dalla decisione assunta dal gruppo e dalla maggioranza; mentre il consigliere dei Ds, Enzo Colonna, da sempre legato al Centro studi Torre di Nebbia, ovvero al gruppo promotore del Parco, si «vergogna» per quel voto pasticciato, la Casa delle Libertà  ha già  affidato all’avvocato Enzo Siani (consigliere dell’Udc eletto nella lista di Democrazia Europea) l’incarico di redigere un ricorso al Tar ed un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica nel quale – sono parole di Siani – «si ravvisa il reato di abuso d’ufficio».
Di concreto, comunque, al momento, non c’è nulla. «L’esposto-denuncia – dice il coordinatore cittadino della Cdl, Pasquale Lomurno – è già  quasi pronto. Ma, alla pari del ricorso alla magistratura amministrativa, potremo depositarlo solo quando prenderemo visione della delibera e della cartografia».
ERRORE
O DOLO?

Ma perché la maggioranza di centrosinistra ha commesso un errore così madornale? Perché su una questione così delicata, così esposta, da sempre, ad attacchi concentrici di ogni tipo, ha scelto una «strada tanto tortuosa e pasticciata» (sono parole di Pietro Pepe)? Perché? «È stato il frutto di una mediazione – risponde il sindaco Rachele Popolizio -. Di una mediazione che abbiamo ritenuto accettabile. Era tardi. Era notte fonda. Se avessimo rinviato il voto alla prossima seduta di consiglio, stia pur certo che non ne avremmo fatto più nulla».
Ma davvero? «Noi, in fondo – osserva la Popolizio – abbiamo votato una delibera di indirizzo. Ora tocca alla Regione decidere. Può accogliere la nostra indicazione, ma può anche correggerla. A Bari, ad esempio, potrebbe passare la richiesta sulla quale insiste così tanto il mio partito, cioè di escludere dal parco tutta quella fascia a ridosso del centro abitato che noi abbiamo indicato come Zona 3 (circa 4.000 ettari nei quali non vi sarebbero vincoli se non quelli previsti dal piano regolatore generale – ndr). Ripeto, la nostra è una delibera di indirizzo. E mi sembrano del tutto infondate anche le osservazioni sulla presunta incompatibilità  del consigliere Franco Tafuni. Noi, sinceramente, non ce lo siamo nemmeno posto questo problema».
Meno diplomatiche, invece, sono le risposte del diessino Enzo Colonna: «Abbiamo sbagliato. Punto e basta. Non siamo nemmeno stati capaci di dare un criterio oggettivo a questa delibera. Abbiamo subìto le pressioni di un singolo. E alla fine, anch’io, esausto, ho votato a favore. Ma è chiaro che si tratta di un pasticcio. E me ne vergogno».
LA POSTA
IN GIOCO

Ma c’è anche un’altra risposta, taciuta, o meglio mascherata, che potrebbe dare un senso a quello che appare un errore inspiegabile. Da questo momento, ad Altamura, chiusa, in qualche modo, la partita del Parco, è possibile, per quanto appaia paradossale, risolvere il grande problema degli insediamenti produttivi, ovvero la questione dei 134 accordi di programma (poi diventati 105 e poi ancora 77 già  decretati) sottoscritti dalla precedente amministrazione di centrodestra e ora, tranne uno, tutti al vaglio della Procura della Repubblica di Bari. Ora – e l’avv. Popolizio si dichiara pronta a «concertare» – è possibile trovare una soluzione. È possibile persino dare dignità  giuridica a tante richieste, anche alle più stravaganti, degli imprenditori. Come? Innanzitutto – ed un primo passo è già  stato fatto – accelerando l’iter del Pip (piano per gli insediamenti produttivi) previsto dal piano regolatore sull’asse viario che porta a Gravina e che è già  sede di numerosi opifici. E poi, visto che lo spazio disponibile si sa già  che sarà  insufficiente, pensando ad una nuova zona Pip, da dislocare su via Bari, ovvero proprio dove hanno pensato di insediarsi, attraverso gli accordi di programma, i due grandi consorzi di imprese (in tutto sono 45), entrambi facenti capo all’Assopim, il cui presidente è l’ing. Carlo Martino, coordinatore di Forza Italia.
LA PRUDENZA
DEGLI IMPREDITORI

Prove tecniche di inciucio? Peraltro favorite dal fatto che sempre su via Bari ha presentato richiesta di accordo di programma una cosiddetta cooperativa rossa, «L’internazionale», vicina ai Ds? Pasquale Lomurno e ancor di più il consigliere comunale dell’Udc Michele Colonna, già  assessore di Forza Italia nella precedente giunta di centrodestra, lo escludono nella maniera più categorica. Lo esclude anche il consigliere comunaleVito Di Benedetto, che in Forza Italia rappresenta soprattutto gli interessi della Coldiretti, da sempre l’organizzazione che più di tutte si è opposta al Parco. Lo esclude pure il funzionario del Corpo Forestale di Matera, Giuseppe Giove, di An, non pregiudizialmente contrario al Parco («ma chi lo ha pensato non ci ha messo né anima né cuore»), già  sindaco democristiano all’epoca in cui, nel ’93, fu approvato l’adeguamento del piano regolare alla legge 56 (piano regolatore che, fra l’altro, prevede di utilizzare, per gli insediamenti industriali, un’area di 257 ettari in zona Jesce, fra i Comuni di Matera, Altamura, Santeramo e Laterza, dove, però, non ci vuole andare più nessuno).
Ma non è un caso che il vicepresidente dell’Assopim, Antonio Traetta, che pure è schierato con la Cdl, metta in guardia dal «rischio di aggiungere ulteriore carta bollata». E il riferimento è alla volontà  della Cdl di denunciare alla magistratura la presunta illegittimità  della delibera sul Parco.
Una prudenza, quella degli imprenditori, che, unita alla disponibilità  a concertare da parte del sindaco, ma anche di altri pezzi della maggioranza, lascia intravedere più di un margine di trattativa.
IL PARCO
PUO’ ATTENDERE

E il Parco? E i nodi tutti ancora da sciogliere, a cominciare dalle servitù militari (cinque enormi poligoni di tiro e una polveriera) che da sole, visto che coprono quasi il 50 per cento dell’area, bastano a dire che la strada da percorrere è ancora lunghissima? E le insidie esterne: ai margini del perimetro sono già  stati previsti, fra l’altro, ma non solo, un impianto di compostaggio in agro di Grumo e un campo da golf con annesse 200 villette in agro di Toritto (un altro campo da golf, in agro di Santeramo, è stato appena bocciato dal Tar)? E poi, bastano – da sole – le norme di salvaguardia, peraltro contestate soprattutto dagli agricoltori e dai cacciatori, a garantire che davvero non vi saranno abusi? E infine, come ne esce l’idea di Parco dopo il «pasticcio» dell’altra settimana?
Nella sede del Coordinamento per lo sviluppo e la qualità  della vita (nuova denominazione del Centro studi Torre di Nebbia), Nino Perrone e Aldo Creanza, che in questi giorni sono rimasti «di guardia» (il leader storico, Piero Castoro, è in ferie), provano ad accennare una risposta. Ma per quanto si sforzino, per quanto da Bari l’assessore provinciale alla pianificazione del territorio, il Verde Cesare Veronico, continui ad incoraggiarli, loro il cammino lo vedono ancora in salita.
«Questo pasticcio – spiegano – davvero non ci voleva. Quel voto favorevole del consiglio comunale doveva essere una vittoria. Una grande vittoria. Ora non sappiamo davvero come potrà  andare a finire. Noi, di sicuro, continueremo ad andare per la nostra strada. Continueremo a batterci per il Parco. Ma non c’è dubbio che i nodi restano e che molti, a cominciare proprio da quelli che riguardano le forze armate e i loro interessi, non sono stati nemmeno accennati. Certo, se la Regione, prima, e il Ministero dell’Ambiente, dopo, confermassero la volontà  di istituire il Parco come ci è stato promesso, molti nodi si scioglierebbero da soli. O, comunque, finirebbero per attenuarsi. Noi ci crediamo. Noi ci credevamo. Pasticci a parte».
Eh sì. Si fa presto a dire Parco. Si fa presto a dire «è fatta». Ma la realtà , qui come negli altri Comuni della Murgia, è tutta un’altra storia. E, per molti versi, ancora tutta da esplorare.

Stefano Boccardi