Il nuovo Statuto comunale di Altamura.

Due righe sul nuovo Statuto
di
enzo colonna
consigliere comunale di Altamura
enzo@altamura2001.com

Per giorni non ho capito perché Nicola Berloco, direttore di Leonessa di Puglia, insistesse, con affetto e pazienza, affinché io (proprio io, tra i trenta consiglieri di questo Comune!) scrivessi “due righe di presentazione o di commento del nuovo Statuto Comunale”. Cercavo di comprendere perché mi avesse chiesto questo servizio per meglio adempierlo, umilmente e se possibile efficacemente. Ma non ci riuscivo. Leggevo e rileggevo il nostro ultimo Statuto, compiendo i gesti della preparazione a una critica, a un giudizio, a una presentazione. Il tutto risultava difficile, impraticabile, essendomi speso in consiglio comunale in prima persona, con i miei trenta e passa emendamenti (molti presentati assieme a Vito Menzulli, consigliere di Rifondazione Comunista), a tentare di rendere il più decoroso possibile il nuovo testo statutario.
In realtà , non si voleva che io rievocassi la soddisfazione per l’accoglimento, da parte del Consiglio, di una parte di quegli emendamenti, in particolare l’idea di prevedere un Preambolo (con un secondo capoverso a mio parere significativo, 0, 0); l’inserimento di una definizione di ”˜comunità  cittadina’ come quella di cui al secondo comma dell’art. 1; l’introduzione della figura del rappresentante della comunità  degli immigrati residenti ad Altamura in seno al consiglio comunale (art. 25, comma 6, 0, 0); il rafforzamento di meccanismi e procedure di iniziativa popolare e di consultazione della comunità  (artt. 59 e 60). O che confermassi le perplessità  all’epoca manifestate sulla laconicità  e timidezza con cui si è disciplinato l’istituto referendario (artt. 62-64) o sui requisiti e sul sistema di designazione del difensore civico (art. 66), se non addirittura lo sconcerto provato dinanzi all’approvazione di disposizioni come l’art. 6 [quello sui finanziamenti alle scuole non statali e che riserva per i “disabili” la formazione tecnico professionale (non altro?!)].
Ho capito, in altri termini, che ciò che mi si chiedeva era altro: un tipo di correità  (mi si passi il termine) che non è quella di chi in qualche modo ha contribuito a determinare un ”˜fatto’ (in questo caso, la redazione del nuovo Statuto), ma di chi, leggendo, è inevitabilmente costretto ad essere testimone e complice di quello che sta succedendo o è successo. Come per ogni testo scritto, basta allora una parola (in questo caso, un articolo, un capoverso, un comma) a generare quel senso di complicità  che lega chi ha scritto e chi legge. Intendiamoci: non siamo in presenza di un capolavoro, di un lavoro di particolare raffinatezza giuridica, né tantomeno si segnala per meriti letterari; anzi, da questo punto di vista, il nuovo Statuto presenta inquietanti (sebbene in numero ridotto rispetto al precedente) svarioni concettuali, lessicali e sintattici (sic!).
Voglio solo dire che ogni regola, ogni disciplina ha il proprio discorso, che bisogna cogliere e comprendere. A me si chiedeva ”” ho concluso ”” di aiutare ad esplicitare questo discorso, almeno nei termini in cui io lo avevo inteso. Il diritto regola conflitti sociali, ha un approccio necessariamente dialogico (“ubi societas, ibi jus”) e considera l’uomo non astrattamente ma nella sua vita di relazione. Ogni disciplina è sempre portatrice di un discorso che può essere definito rigorosamente storico-politico. Questo perché il soggetto che parla in questo discorso non occupa la posizione del filosofo, del moralista, dell’esteta, del religioso, vale a dire la posizione del soggetto universale, totalizzante o neutrale. Chi parla e scrive una norma è un soggetto collocato in un preciso momento storico, è situato in un preciso (particolare) contesto sociale e culturale, è all’interno di una lotta politica generale, da una parte o dall’altra: è nella battaglia, ha degli avversari, si batte per ottenere una vittoria che è e resta particolare.
Abbiamo indubbiamente a che fare con un diritto (di rango minore, quando parliamo di uno statuto) ancorato ad una storia e, al contempo, decentrato rispetto a un’universalità  giuridica. E se il soggetto che parla del diritto parla della verità  o dei valori, sarà  di quel genere di verità  o valori che non sono la verità  o i valori universali del filosofo o del religioso. Questo discorso, dunque, non è un discorso forte, ma stabilisce un legame fondamentale tra rapporti di forza (sociali, culturali, politici, ecc., 0, 0); non dice la verità , ma istituisce relazioni di verità ; non fa la storia, ma è espressione di contesti storici. In un discorso come questo, allora, si dirà  tanto più la verità  quanto più si è situati all’interno di un certo campo. In altri termini, dobbiamo essere consapevoli della relatività  delle verità  nelle quali crediamo giorno per giorno, ma dobbiamo pure sapere che l’unica cosa che possiamo fare è di dare ad esse rigore, continuità , forma, e di comportarci come se queste verità  storiche, parziali, fossero la sola verità  che abbiamo.
È stata questa consapevolezza ”” credo ”” a spingere molti consiglieri (di maggioranza e, soprattutto, di minoranza), in sede di esame ed approvazione consiliare del nuovo testo, a sottolineare la necessità  di un approccio non burocratico, meno sbrigativo, a proporre emendamenti che rendessero più puntuale il testo rispetto alla bozza statutaria inizialmente predisposta, più penetrante e meglio caratterizzata almeno nella prima parte (quella sulle “Disposizioni generali”) magari con la previsione di un preambolo.
Non posso certo affermare che con il testo finale approvato (con i limiti a cui ho accennato) si sia riusciti a raggiungere l’obiettivo, ma esso rappresenta il tentativo di dare espressione ai principi (alle verità ) in cui l’ente comunale e la comunità  altamurana credono ed a cui intendono ispirare il proprio agire quotidiano. In questo senso, la prima parte dello statuto risulta la più efficace ed interessante, anche perché ”” confessiamolo a denti stretti ”” le norme di uno statuto comunale, nella loro quasi totalità , non hanno alcuna efficacia pratica, diretta ed immediata, nei rapporti giuridici tra Pubblica Amministrazione e Cittadini: si tratta di una Carta di Principi (non siamo in Germania, dove addirittura gli ordinamenti comunali sono chiamati kleine Verfassungen, le piccole Costituzioni), la cui unica rilevanza ”” a mio parere ”” si colloca su un piano meramente politico e culturale, quello di fornire il profilo identitario (appunto culturale e politico) di una comunità .
Uno Statuto, in questo senso, non è altro che il modo attraverso cui una comunità  cittadina rinnova aggiorna conferma, nella durata, le verità  (principi, dati identificativi) in cui crede: saranno relative, storiche, parziali, ma pur sempre le uniche ”” lo si ripete ”” che abbiamo. “La durata – credo dicesse il filosofo Bergson – è la forma delle cose”, quella lenta continuità , quella fitta (seppure leggera) trama di rapporti che lega nello spazio e nel tempo generazioni presenti passate e future, donne e uomini vicini e lontani, una continuità  che attraversa tutti noi e che non termina con noi, qui ed ora. Ecco perché mi persuadeva l’idea di far precedere le disposizioni statutarie da un preambolo e con quel tipo di contenuto. Credo che il rigore, la linearità  sia la premessa; davvero, presente (“città  del confronto, partecipe dei destini della comunità  mondiale”), passato (“città  dei moti rivoluzionari, di Tommaso Fiore, città  simbolo di libertà “) e futuro (“un futuro ed una felicità  comuni”) sono punti di riferimento dialogici necessari a verità  molto relative.
Mi si accuserà  di essere un relativista incallito, inopinatamente legato a questo concetto del “tempo che passa”. Scrivere uno statuto, però, significa proprio raccontare una comunità  o, meglio, che quella comunità  racconti di sé agli altri ed a se stessa: non solo a chi voglia scegliere Altamura “come centro delle proprie attività  di lavoro o di studio, dei propri legami affettivi, familiari, sociali e culturali” (art. 1, comma 2, 0, 0); ma anche a quella piccola cerchia di persone che sentiamo di avere intorno. Può valere anche in questo contesto, la risposta che da lo scrittore Erri De Luca, nel libro Altre prove di risposta, alla domanda: per chi scrivi? “Per le persone che mi sono care, alcune già  morte, scrivo davanti a loro, traduco in storie il mio affetto e il mio affanno. Non scrivo perché le mie pagine siano lette dai posteri ”” chi li conosce? ”” ma perché siano intese, anche amate, dai miei predecessori, da mio padre che non poteva leggerle e le ascoltava a occhi chiusi”.
Ogni buon racconto parte da lontano, da voci ed immagini lontane nel tempo, da Tommaso Fiore, dai rivoluzionari del 1799, da coloro che hanno lasciato tracce sul suolo; tracce che hanno formato quel sentiero che noi abbiamo imboccato e che lasceremo “sperando che qualcuno, percorrendolo, lo renda compiuto”. Mi vengono alla mente due versi di una poesia scritta da una persona a me vicina (Silvana Grasso, mia madre): “Le note son tornate in veste di melodie indimenticate a riparlarci d’amore”, in questo caso a riparlarci dell’amore per questa terra, per questa città , per la sua gente. D’altra parte, forse è proprio vero ”” come scrive Alain De Botton nel libro Esercizi d’amore ”” che “di fatto non esistiamo finché non c’è qualcuno che ci vede esistere e che non parliamo finché qualcuno non è in grado di comprendere ciò che diciamo; in sintesi, che non siamo del tutto vivi finché non siamo amati”.
Il richiamo nel nostro Statuto, seppure fugace e superficiale, di quei volti e di quelle voci del nostro passato collettivo consente a quei volti, a quelle voci di dire ancora una volta quello che hanno detto e di trasmetterlo alle generazioni future. In mezzo, ci siamo noi, qui ed ora, anelli di una catena molto lunga (nel senso in cui ne parla Seneca in una lettera a Lucilio) che unisce generazioni e umanità  differenti. A noi la condizione umana riserva il compito di non spezzare quella catena, anzi di rinsaldarla giorno per giorno con la nostra opera.
A me sembra che questo Statuto, almeno nella sua prima parte, ”” pur tra incertezze e contraddizioni, tra limitatezze e velleità  ”” voglia riaffermare e rinnovare questo impegno. Quanto poi tutto ciò riesca davvero a tradursi in opere e relazioni quotidiane, in azioni e condotte amministrative, 蔦 un altro discorso, di cui non mi è stato chiesto di scrivere. “I principi e la vita interiore sono degli alibi quando cessano di animare il mondo esterno e la vita quotidiana” (Merleau-Ponty).

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