Martedì, 28-05-2002
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Indice degli argomenti
Libri Feltrinelli/ATTAC Italia, Collana Nuova Serie:
Il Granello di Sabbia. I pro e i contro della Tobin Tax, a cura di Emiliano
Brancaccio e Riccardo Bellofiore (Pagine: 140, prezzo: Euro 8,0).
1 – Un Trattato europeo sulla Tobin tax
La Tobin tax è uno degli obiettivi più rinomati del movimento
anti-globalizzazione, un obiettivo acquisito si potrebbe dire. Attac Italia,
che ha promosso una campagna per una legge di iniziativa popolare, ha già
raccolto 80 mila firme per portare il provvedimento in Parlamento e farne
oggetto di una discussione generale. (.)di Francesco Ruggeri (tratto da
Liberazione)
2 – Per la difesa e l’estensione dell’art. 18 Attac nella battaglia
referendaria per un altro mondo possibile
La centralità del tema del lavoro nel dibattito di Attac non sta solo nella
capacità dell’associazione di coinvolgere nel proprio percorso di
autoeducazione popolare orientata all’azione diverse componenti del mondo
sindacale e delle reti che lottano contro la precarietà e l’esclusione. La
proposta di Attac, anche a livello internazionale, è quella di promuovere
nel dibattito sulla cittadinanza e per la promozione della democrazia
partecipativa la questione del lavoro, dei diritti, dei tempi e dell’
esclusione (.) Consiglio nazionale ATTAC Italia.
3 – Perché aderire alla battaglia referendaria per l’abolizione della legge
di parità scolastica.
Tra i temi degli ultimi mesi di mobilitazioni e di lotte sociali, il diritto
a un’istruzione pubblica, laica, gratuita ha avuto un peso determinate,
capace di spingere nuovamente all’azione politica settori che da anni
sembravano avere abbandonato la lotta e la militanza; un ruolo determinante,
anche nella formazione di un nuovo movimento che ha saputo scardinare le
logiche televisive e antidemocratiche del ministro all’istruzione Letizia
Moratti. (.)Consiglio nazionale ATTAC Italia.
4 – Nel decennale delle stragi .
A dieci anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio che hanno cambiato la
nostra vita è triste e doloroso ammettere che, con ogni probabilità ,
soltanto i macellai che di tanto orrore furono gli esecutori materiali sono
oggi in galera, mentre sui mandanti esistono solo ipotesi e inchieste
archiviate per insufficienza di prove (.) di Ernesto Burgio (ATTAC Palermo)
5 – Il neoliberismo fa bene alla mafia
Il decennale della strage di Capaci va celebrato nella consapevolezza di
quanto è stato fatto – in positivo e in negativo – e di quanto è diventato
difficile il da farsi in una fase storica caratterizzata, a livello europeo,
dal dominio del pensiero e della pratica neoliberista. (.) di Giuseppe Di
Lello (ex magistrato, parlamentare europeo)
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Il Granello di Sabbia. I pro e i contro della Tobin Tax
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a cura di Emiliano Brancaccio e Riccardo Bellofiore
Libri Feltrinelli/ATTAC Italia, Collana Nuova Serie:
(Pagine: 140, prezzo: Euro 8,0).
Fornisce una esauriente definizione della proposta di Tobin, offre un
sintetico resoconto delle fondamentali questioni di economia politica in
essa richiamate ed è articolato in tre sezioni: una “introduzione” che
presenta i diversi aspetti della questione, argomentandone le ragioni; un’
antologia di scritti di James Tobin (tra cui il suo famoso primo articolo
del 1978) che delinea il retroterra culturale e politico dell’economista
americano e, infine, una scelta di saggi che presenta le più autorevoli
posizioni di critica (da destra e da sinistra) e di sostegno della Tobin
tax.
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1 – Un Trattato europeo sulla Tobin tax
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di Francesco Ruggeri (tratto da Liberazione)
La Tobin tax è uno degli obiettivi più rinomati del movimento
anti-globalizzazione, un obiettivo acquisito si potrebbe dire. Attac Italia,
che ha promosso una campagna per una legge di iniziativa popolare, ha già
raccolto 80 mila firme per portare il provvedimento in Parlamento e farne
oggetto di una discussione generale. Quando si pensa al movimento no-global,
la Tobin è senz’altro uno degli elementi identificativi più immediati,
frutto di una elaborazione da parte di una antesignana del movimento stesso,
come Attac France.
Però la Tobin deve ancora riuscire ad affermarsi come legge e soprattutto
come proposta per un’altra idea di società : molti parlamenti anche in Europa
ne hanno già discusso, ma non è stata ancora mai approvata in un paese
importante. La battaglia quindi ha bisogno di essere condotta con
determinazione e con nuove idee.
Su questo si è interrogato il convegno di due giorni organizzato da Attac
Italia (oggi la conclusione dei lavori), che ha cercato di analizzare i
possibili sviluppi di una campagna – che comunque in Italia è già stata un
successo – che ha bisogno di divenire sempre più europea, soprattutto mentre
ci si avvicina al primo Forum sociale europeo. Asse centrale del convegno è
stato quindi proprio l’idea di un “Trattato europeo” sulla Tobin tax in
direzione di una vera e propria convenzione europea capace di coinvolgere
altre campagne e altre iniziative. Da questo unto di vista significativo è
stata la presenza e l’interesse dimostrati dalla “Campagna per
l’annullamento del debito” desiderosa di condividere con le reti di Attac
l’ipotesi di un utilizzo dei fondi reperibili attraverso questa tassa sui
capitali per lo sviluppo dei paesi poveri. In particolare l’economista
francese, Bruno Jetin, si è detto convinto che «i fondi della Tobin vanno
impiegati al 100 per cento per lo sviluppo dei paesi terzi e non nei paesi
occidentali perché altrimenti ci sarebbe il rischio di ulteriori diminuzioni
di fondi verso lo stato sociale». L’allargamento della Tobin è però anche
funzionale ad una maggiore “corposità sociale” della campagna stessa. Nella
tavola rotonda che si è svolta ieri mattina è stato Riccardo Bellofiore a
ricordare come la Tobin sia «una misura molto piccola su una strada giusta»
di cui va valorizzato il possibile contenuto sociale «soprattutto in
direzione del mondo del lavoro». Questa possibilità della Tobin è stata
ripresa fortemente anche dagli altri intervenuti, in particolare Gianni
Rinaldini, segretario nazionale della Fiom, il quale ha colto l’occasione
del convegno per ribadire “l’internità ” del sindacato metalmeccanico dentro
il movimento dei movimenti anche se Rinaldini ha sottolineato l’importanza
di consolidare le alleanze sociali soprattutto per quanto riguarda la difesa
dei diritti del lavoro. Questo nesso, del resto, è sempre stato presente tra
i promotori della campagna: Attac Italia ha sempre rivendicato la propria
funzione di cerniera tra il mondo del lavoro e quello del non lavoro, ma
anche tra le diverse anime del movimento. Certamente, uno dei limiti della
campagna stessa è che il movimento non l’ha fatta del tutto propria,
“appaltandola” ad Attac e quindi rinunciando a svilupparne le potenzialità .
Ora però, anche nel vivo della campagna referendaria per l’estensione
dell’articolo 18, che vede impegnati quasi tutti i soggetti del movimento,
questo nesso può essere riproposto offrendo così una nuova possibilità di
sviluppo all’intero movimento. E’ Fausto Bertinotti, segretario nazionale di
Rifondazione comunista, a insistere su questa tonalità esaltando la platea
quando ribadisce che «si può vincere: sia sulla Tobin, che sosterremo con
forza quando arriverà in Parlamento, ma anche ora nell’immediato nella
campagna referendaria sia per quanto riguarda la raccolta delle firme che
successivamente, quando il referendum bisognerà vincerlo nelle urne».
La Tobin quindi arriverà , probabilmente in autunno, nelle aule del
Parlamento e, sottolinea Fiorino Iantorno che del convegno è uno degli
organizzatori, «noi cercheremo di costruire un caso politico». La proposta
infatti dovrà permettere di verificare le reali intenzioni del
centrosinistra rappresentato ieri al convegno sia dal vice-presidente del
Senato, Cesare Salvi, che dal presidente della Regione Toscana, Claudio
Martini – peraltro fischiato quando ha rivendicato la giustezza del vertice
Ocse previsto proprio a Siena il prossimo luglio. Dalle ambiguità del
centrosinistra, in effetti, bisognerà guardarsi: «la Tobin tax non deve
essere una moda» ha detto ad esempio Gigi Malabarba, capogruppo al Senato di
Rifondazione, anche lui convinto dell’importanza di consolidare le possibili
alleanze sociali che la Tobin può realizzare anche in direzione del mondo
del precariato «il primo a proporla».
Vedremo nei prossimi mesi, soprattutto intorno alla preparazione e allo
svolgimento del Forum sociale europeo, se questa indicazione di un
allargamento dei contenuti e degli strumenti a disposizione del movimento –
dalla Tobin, ai referendum, alla questione dei diritti sociali più in
generale – permetterà di costruire piattaforme più complessive che facciano
muovere il movimento stesso più compattamente. Per ora rimane l’auspicio di
Riccardo Petrella, presidente onorario di Attac Italia che, chiudendo i
lavori del convegno, si è detto convinto che la Tobin deve essere inserita
«tra quegli strumenti a disposizione dei cittadini per affermare
concretamente il diritto alla vita».
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2 – Per la difesa e l’estensione dell’art. 18. Attac nella battaglia
referendaria per un altro mondo possibile
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Consiglio nazionale ATTAC
“La centralità del tema del lavoro nel dibattito di Attac non sta solo nella
capacità dell’associazione di coinvolgere nel proprio percorso di
autoeducazione popolare orientata all’azione diverse componenti del mondo
sindacale e delle reti che lottano contro la precarietà e l’esclusione. La
proposta di Attac, anche a livello internazionale, è quella di promuovere
nel dibattito sulla cittadinanza e per la promozione della democrazia
partecipativa la questione del lavoro, dei diritti, dei tempi e dell’
esclusione. La democrazia nei luoghi di lavoro, la difesa dei salari e dei
diritti, la dignità e la protezione sociale per i nuovi soggetti del non-
lavoro, la lotta per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti,
sono i terreni su cui Attac può dare un significativo contributo alle
battaglie del mondo sindacale (.)”.
Così recita il documento politico approvato all’unanimità dall’Assemblea
Nazionale costitutiva di Attac Italia nel gennaio scorso a Bologna.
Oggi nel nostro Paese è in atto uno scontro sociale senza precedenti e
destinato da qui al prossimo autunno a radicalizzarsi: il governo
neoliberista e confindustriale di Berlusconi ha deciso di lanciare una sfida
frontale al movimento dei lavoratori e alle conquiste sociali di tutti. Il
neoliberismo è in crisi, e proprio per questo esaurisce tutte le sue
possibili mediazioni, mostrando il volto più duro della globalizzazione e
mirando alla desertificazione dei diritti sociali e ambientali, fino a
mettere a repentaglio la stessa salvaguardia del vivente.
Da questo punto di vista, l’attacco all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori
costituisce la testa d’ariete per un più generalizzato e sistematico
tentativo di minare alla base ogni diritto collettivo e ogni conquista
sociale acquisita: dai contratti nazionali ai diritti sindacali, dalla
protezione sociale alla sanità , dalla scuola pubblica alla previdenza,
dall’autodeterminazione di genere ai diritti dei migranti, dall’ambiente
agli spazi di democrazia.
Contro tutto questo da tempo un nuovo movimento – e Attac con esso – si è
prepotentemente affacciato sulla scena politica nazionale e internazionale,
proponendo un “altro mondo possibile”, ovvero la necessità di una
trasformazione sociale attraverso la radicale fuoriuscita dalle politiche
neoliberiste, nonché la consapevolezza del fallimento di ogni illusione di
governabilità delle stesse.
È un movimento la cui capacità di tenere aperto lo spazio pubblico della
mobilitazione e della speranza ha favorito la ripresa di un nuovo
protagonismo del movimento dei lavoratori che, attraverso la grande
mobilitazione del 23 marzo e lo sciopero generale e generalizzato del 16
aprile scorso, ha ridato fiato alle lotte contro le politiche neoliberiste e
riattualizzato il tema della necessità di una trasformazione sociale.
Da tempo riteniamo mature le condizioni per il passaggio da una fase di pura
resistenza alle politiche di disgregazione sociale ad una fase di offensiva
antiliberista, attraverso la messa in campo di vertenze capaci di produrre
conflitto e di spostare in avanti le lotte per un orizzonte diverso e
possibile.
Da questo punto di vista la campagna di Attac per l’introduzione della Tobin
Tax (campagna per la quale chiediamo a tutti i comitati locali la produzione
di un ultimo sforzo a coronamento del positivo risultato sin qui prodotto)
ha avuto la funzione di apripista, dimostrando la praticabilità e la
capacità di aggregazione di vertenze in grado di produrre uno sbocco in
avanti alle contraddizioni presenti.
È con la medesima convinzione che oggi riteniamo centrale l’adesione di
Attac al referendum per l’estensione dell’art. 18, così come a quelli per la
difesa del diritto alla salute e dell’ambiente e per il carattere pubblico
dell’istruzione, lanciati da diversi soggetti, ma di per sé in grado di
divenire terreno d’incontro tra forze politiche, sociali, sindacali e di
movimento che intendano muoversi nella direzione della costruzione di un’
alternativa.
Difendere ed estendere l’art. 18 significa, oltre che una battaglia di
giustizia contro la libertà di licenziamento, la possibilità di aprire una
nuova stagione di diritti, per affermare da una parte come “a stesso lavoro
debbano corrispondere stessi diritti”, e dall’altra porre le premesse per
una tutela generalizzata dall’arbitrarietà di tutte le posizioni lavorative
precarie, atipiche e flessibili.
È per questo orizzonte che come CN di Attac abbiamo risposto favorevolmente
alla proposta formulataci di partecipare al Comitato nazionale promotore del
referendum per l’estensione dell’art. 18. Ed è il medesimo orizzonte che ci
spinge a invitare tutti i comitati locali di Attac – compatibilmente con le
energie di ciascuno – a farsi parte protagonista nei propri territori per la
riuscita della stagione referendaria, partecipando alla costituzione dei
comitati territoriali ed abbinando ai quesiti referendari la nostra campagna
per la Tobin Tax.
Per sconfiggere l’arroganza delle politiche neoliberiste, per riappropriarci
dei nostri diritti.
E perché tutti insieme è possibile.
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3 – Perché aderire alla battaglia refendaria per l’abolizione della legge di
parità scolastica
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Consiglio nazionale ATTAC
Tra i temi degli ultimi mesi di mobilitazioni e di lotte sociali, il diritto
a un’istruzione pubblica, laica, gratuita ha avuto un peso determinate,
capace di spingere nuovamente all’azione politica settori che da anni
sembravano avere abbandonato la lotta e la militanza; un ruolo determinante,
anche nella formazione di un nuovo movimento che ha saputo scardinare le
logiche televisive e antidemocratiche del ministro all’istruzione Letizia
Moratti.
Nei mesi di novembre e dicembre le scuole e le facoltà si sono riempite di
studenti, insegnanti, lavoratori della scuola e esponenti della società
civile, tornando ad essere, dopo anni di silenzio, luogo di dibattito e di
partecipazione. Tale movimento ha avuto un punto di forte visibilità con la
mobilitazione autorganizzata degli studenti che il 20 dicembre, con un
imponente corteo, hanno messo in luce le contraddizioni della kermesse
mediatica degli “stati generali” dell’istruzione, nati per legittimare la
pretesa “morattiana” di demolire la scuola pubblica e ridurla a un modello
aziendalistico e competitivo. Altri punti salienti di queste lotte sono
state le manifestazioni e gli scioperi, primo tra tutti quello del sindacato
di base, che vedeva la scuola come tema centrale, del 15 febbraio 2002.
Tuttavia, la battaglia per la difesa e l’estensione del diritto
all’istruzione è lontana dall’essere vinta. La campagna referendaria per
l’abolizione della legge di parità scolastica può diventare un altro momento
decisivo di questa lotta, un nuovo momento per coagulare diverse forze di
mobilitazione ed esperienze, e per cominciare anche a proporre dei
cambiamenti concreti.
La legge di parità scolastica, voluta dal ministro all’istruzione del
centro-sinistra Luigi Berlinguer, rappresenta una delle teste di ariete con
cui sono stati introdotti i nuovi principi ispiratori della svendita della
scuola pubblica. La sua abolizione avrebbe non solo un valore simbolico
fortissimo, ma soprattutto evidenti ricadute concrete, poiché quella legge è
uno dei presupposti giuridici della nuova scuola liberista, ed è avvalorata
e compiuta nei suoi effetti proprio dall’anti-scuola berlusconiana.
Questa legge garantisce che le scuole private possano essere considerate
offerte formative espresse dalla società e in quanto tali godere degli
stessi vantaggi riservati alle scuole statali, senza però rispondere agli
stessi criteri di laicità , rispetto delle tutele sindacali e gratuità che
valgono per la scuola pubblica. L’ipocrisia con cui l’allora ministro
giustificava (e tuttora giustifica) questa legge, che nemmeno quarant’anni
di governi di Democrazia Cristiana avevano potuto concepire, era la
responsabilità che lo Stato dovrebbe assumersi nei confronti di quelle
famiglie e di quei ragazzi che scelgono un precorso differente da quello
statale. La nostra risposta è che lo stato, a quei ragazzi, ha già
provveduto assicurando loro un sevizio pubblico di qualità , ma di fronte
alla scelta di un’impostazione particolare e connotata ideologicamente, non
vi può essere alcun onere per la collettività .
In realtà le impostazione ideologiche che connotano questo disegno sono di
ben altra matrice; esse sottintendono la concezione che lo stato debba
essere eliminato dalla gestione dei servizi sociali e chiamato in causa solo
quando si tratta di proteggere e garantire la sopravvivenza e i guadagni
delle imprese private. È la stessa logica per cui diritti fondamentali come
la salute, la previdenza sociale, l’istruzione, sono visti come servizi e
beni commerciabili, per cui deve valere il principio di libera concorrenza:
più si paga, migliore sarà l’erogazione del servizio; migliore l’erogazione
di questo servizio, maggiore la stabilità dell’ente erogatore sul mercato.
Peccato che l’istruzione sia un diritto tutelato dalla nostra costituzione
(un fastidioso orpello che la legge di parità aggira e che di fatto viola).
Questi motivi ci spingono a credere che la lotta contro questa legge non sia
un fenomeno marginale che interessa solo gli studenti, gli insegnanti e
poche altre categorie coinvolte in prima persona, ma una battaglia
fondamentale di civiltà e di democrazia: un compito irrinunciabile per
contrastare il fondamentalismo dei mercati.
La trasformazione del diritto all’istruzione in un bene commerciabile, la
mercificazione del sapere che alberga dietro la filosofia della
privatizzazione scolastica è la stessa che regge il neoliberismo economico:
una trasformazione strutturale che taglia tutto ciò che appartiene all’idea
di stato sociale, imponendo un modello sociale di frammentazione e di
competizione tra individui, in nulla vincolati a un idea di collettività , e
di partecipazione democratica a ciò che spetta loro di diritto. La scuola
che emerge da questo disegno è in realtà una fabbrica di conformismo
sociale, in cui passeranno i modelli della flessibilità , della
subordinazione di ogni interesse al mercato, di una qualità vista come
efficientismo e conformità passiva a standard predefiniti. Questo modello è
il necessario apparato ideologico e pedagogico di una società fondata su
principi antisindacali, che fa leva sulla competizione tra lavoratori
singoli e tra categorie di lavoratori (padri e figli; immigrati e italiani;
clandestini e regolari, 0, 0); è anche lo strumento per costruire una società che
faccia propria una distorta idea di identità culturale, fondata
sull’ignoranza e sul disprezzo per la diversità culturale; e che imponga la
religione come il fondamentale ambito di mediazione culturale, in un attacco
globale alla laicità .
Per queste ragioni invitiamo tutti ad aderire alla campagna referendaria
contro la legge di parità scolastica, sostenendola attivamente; non possiamo
pensare di escludere la lotta per il diritto all’istruzione dal nostro
orizzonte di lotta antiliberista; non possiamo pensare che un altro mondo
sia possibile se non lavoriamo, per costruirlo, a partire dal diritto
all’istruzione, alla critica, alla consapevolezza.
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4 – Nel decennale delle
stragi .____________________________________________________________
di Ernesto Burgio (ATTAC Palermo)
A dieci anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio che hanno cambiato la
nostra vita è triste e doloroso ammettere che, con ogni probabilità ,
soltanto i macellai che di tanto orrore furono gli esecutori materiali sono
oggi in galera, mentre sui mandanti esistono solo ipotesi e inchieste
archiviate per insufficienza di prove
Ma oggi, 23 maggio 2002, nel decimo anniversario della strage che costò la
vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonino Montinaro, Rocco Di
Cillo, Vito Schifani abbiamo reputato nostro dovere adoperarci perché, se
anche sul piano giudiziario non è stato possibile portare a termine le
indagini, la gente sappia quali inquietanti scenari questa ennesima tragedia
italiana riveli a uno sguardo più attento
Convinti del fatto che, ancora una volta, non si stia facendo abbastanza
perché la gente sappia, ci limiteremo qui a indicare con chiarezza alcuni
dati di fatto su cui ormai concordano molti osservatori e testimoni attenti
e desiderosi di rispettare la memoria di chi ha dato la propria vita nella
lotta contro una criminalità internazionale che negli ultimi decenni è
riuscita a corrompere e, in taluni casi, a infiltrare governi, parlamenti e
istituzioni politico-finanziarie sopranazionali.
Crediamo in particolare che sia venuto il momento di dichiarare
pubblicamente:
– che la decisione di eliminare, con una messa in scena plateale, Falcone e
soprattutto Borsellino (la cui “esecuzione” fu subito giudicata inutile e
controproducente per la mafia siciliana) maturò con grande probabilità in
ambienti esterni a Cosa Nostra
– che parecchi collaboratori di giustizia hanno fatto in tal senso nomi
precisi: nomi di personaggi molto potenti oggi in Italia e nel mondo
– che pressioni di ogni tipo hanno costretto le procure ad archiviare i
procedimenti a carico di questi probabili assassini; ma se in sede
giudiziaria è necessario avere prove inconfutabili a carico di singoli
individui. in sede di denuncia pubblica, non è necessario fare nomi precisi
e ci si può limitare a denunciare gli scenari inquietanti che numerose
testimonianze hanno evocato (.)
– che questa è una situazione tutt’altro che nuova nel nostro paese, se è
vero che da Portella della Ginestra in poi tutte le stragi di Stato sono
rimaste impunite: nella migliore delle ipotesi hanno pagato gli esecutori,
mai i mandanti. Non si vede per quale motivo si debba supporre che le stragi
del ’92 rappresentino l’eccezione alla regola
– che Falcone aveva annotato nel suo personal computer tutto ciò che sarebbe
servito a far luce sul suo lavoro e sulla sua propria (possibile) morte. e
che il computer fu manomesso dagli inquirenti;
– che anche Borsellino aveva sempre con sé un’agenda personale in cui
annotava i fatti più significativi della sua vita. e che qualcuno si premurò
di far scomparire anche questa dalla scena del delitto
– che nel luogo della strage di Capaci fu trovato un foglietto con un numero
telefonico del Sismi
– che Riina cercò di trattare con uomini delle istituzioni la propria resa e
che è difficile non rimanere colpiti dalla constatazione che il numero 1 di
Cosa Nostra, imprendibile per decenni, si sia praticamente arreso poco dopo
le stragi e che in quegli stessi anni (’89-93) in cui l’intero ordine
planetario mutò, a seguito dell’implosione dell’Impero sovietico, saltarono
molti altri gangli del vecchio sistema di controllo politico-mafioso del
mondo (non solo Riina e Caruana-Cuntrera, ma anche personaggi quali Escobar
e Kun Sa, Marcos, Siad Barre e Noriega.)
– che già alla fine degli anni ’80 un altro giudice, Carlo Palermo, anche
lui vittima di un attentato mafioso nel quale persero la vita una donna e i
suoi due bambini, aveva rivelato l’impressionante intreccio di interessi
criminali internazionali che legava tra loro uomini politici, banchieri,
mafiosi, speculatori, faccendieri, imprenditori, massoni (P2), uomini dei
servizi segreti, ex-generali del kgb, agenti della Cia, sicari e terroristi
della destra eversiva internazionale. tutti attori e comparse, burattinai e
burattini di un dramma mondiale in cui si intrecciavano i traffici più
ignobili e micidiali: quello delle armi e quello della droga, quello dei
(nuovi) schiavi e dei migranti e quello – che tutti li permette e sostiene –
di valuta
– che lo stesso Carlo Palermo quando seppe della strage di Capaci dichiarò a
tutte lettere che la morte di Falcone doveva essere collegata a questo
senario politico-criminale globale
– che è dimostrato come da qualche tempo Falcone non solo indagasse nella
rete intricata di paradisi fiscali, finanziarie ombra e istituti di credito
off shore in cui scorreva il flusso insanguinato di narco e petrodollari che
era (ed è) frutto di questi traffici. ma avesse anche iniziato a occuparsi
di Gladio, la struttura militare clandestina organizzata dai servizi segreti
italiani su precise direttive dei servizi segreti americani e sospettata di
essere stato il tramite principale dei finanziamenti allo stragismo di Stato
e al terrorismo nero nel nostro paese (Gladio era rimasta occulta per
decenni: la sua esistenza era stata da poco ufficialmente svelata al paese
dal presidente del consiglio Giulio Andreotti e il Presidente della
Repubblica Francesco Cossiga aveva dovuto dimettersi esattamente un mese
prima della strage di Capaci, per evitare l’impeachment)
– che indagare su Gladio avrebbe portato Falcone a collegare definitivamente
tra loro alcuni fili che non bisogna(va) collegare: lo stragismo nero, la
strategia Nato in Italia e in Europa, l’utilizzo della mafia siciliana da
parte dei servizi segreti americani (l’Oss nell’immediato dopoguerra, la Cia
a partire dal 1947) e della Democrazia Cristiana, il ruolo di Gelli e della
P2 e quello di Sindona, Calvi Marcinkus e di altre figure inquietanti di
quel sottobosco criminal-polit6ico-finanziario che per decenni ha operato
nell’ombra con il fine preciso di impedire che in Italia (e in altri paesi
europei) si realizzasse una vera democrazia (e che i partiti di sinistra
conquistassero il Potere)
A questo punto crediamo di aver fornito dati sufficienti a delineare un
quadro interpretativo abbastanza chiaro e credibile: ci sembra infatti
possibile affermare sulla base di quanto appena accennato
– che le stragi del ’92 debbano essere inserite nel più ampio contesto
politico-criminale internazionale e nazionale (in questo senso è anche
importante ricordare come esse siano avvenute nel momento drammatico in cui
Mani Pulite aveva causato la crisi definitiva della Prima Repubblica e dei
partiti che per mezzo secolo erano stati i principali soggetti della vita
democratica del nostro paese; che la mafia aveva da poco decretato la morte
di alcuni ex alleati che non erano più in grado di garantirla e cercava
nuove alleanze; che si preparava a scendere in campo un nuovo soggetto
politico, che avrebbe avuto un ruolo molto significativo negli anni a
venire: Forza Italia.)
– che, come suggerito dallo stesso giudice Palermo e da molti altri
osservatori, a decidere le stragi del ’92 siano stati quei potentati
finanziari e criminali internazionali che non potevano permettere che le
indagini dei due giudici siciliani penetrassero nei misteri di Galdio/Stay
Behind, fino a svelare gli intrecci perversi tra politica, mafia, finanza
internazionale, servizi segreti più o meno deviati e destra internazionale
eversiva..
Per concludere e per chiarire quelle che a nostro parere sono le vere cause
di un silenzio colpevole che dura tuttora e dell’estrema pericolosità di
questa situazione vogliamo almeno abbozzare due importanti considerazioni:
– se oggi in Italia si minaccia quotidianamente l’indipendenza della
magistratura e si cerca di di imbrigliare e controllare l’intero sistema
dell’informazione, di disintegrare la sanità e la scuola pubbliche, di
smantellare lo Stato sociale, di annullare i diritti acquisiti dai
lavoratori in decenni di lotte, di distruggere le maggiori forze politiche e
sindacali di sinistra. è facile riconoscere in tutto questo la concreta
attuazione del cosiddetto Piano di Rinascita democratica messo a punto
proprio da quella famosa Loggia P2 che per decenni è stata la vera centrale
operativa di Gladio e probabilmente dello stragismo di destra nel nostro
paese
– da anni alcuni noti studiosi del processo di globalizzazione neoliberista,
primo fra tutti Noam Comsky, sostengono che ci sono attualmente nel mondo
alcune centinaia di personaggi (in larga misura banchieri e gestori di fondi
pensi