Grottammare, la Porto Alegre italiana.

…da un’amministrazione della sinistra alternativa che guida da alcuni anni una città  adriatica marchigiana a prevalente economia turistica, di oltre 14.000 abitanti.
Non vi è decisione importante, non vi è bilancio o scelta urbanistica rilevante che non sia sottoposta ad un originale percorso democratico che si impernia essenzialmente su di una serie di assemblee di quartiere.
Assemblee sistematicamente organizzate da comitati spontanei di cittadini, sorti particolarmente nelle zone periferiche della città , ai quali il Comune attraverso un apposito Assessorato alla partecipazione, ha solo fornito uno statuto tipo, adattato ogni volta sulla base delle specifiche esigenze.
Questo è “il segreto” del un forte consenso che ha consentito di compiere scelte coraggiose in ogni campo della vita amministrativa (dal taglio dei volumi del PRG, al forte incremento della spesa sociale, alla netta divaricazione tra le aliquote minime e massime del prelievo tributario, ”¦).
Questa la ragione per cui nel novembre ’98, in piena rottura tra Rifondazione e il Governo Prodi, la lista di “Solidarietà  e Partecipazione”, guidata dal sindaco uscente del PRC, vinse con un clamoroso 62%, lasciando il magro resto dei voti alle due liste rivali del Polo e dell’Ulivo.
Furono in molti dall’esterno a non capire come fosse possibile che una città  liberatasi da un lunghissimo dominio della DC e della destra solo quattro anni prima, con la vittoria di misura di una coalizione di sinistra, potesse eleggere tredici consiglieri comunali (su venti) comunisti, ambientalisti e indipendenti, spazzando via forti compagini di potenti e rappresentativi uomini politici di governo del passato, di ogni altra estrazione politica.
In realtà  è successo che i cittadini di Grottammare, in quei quattro anni di governo locale vivace ed appassionato, hanno semplicemente provato il gusto della democrazia e della partecipazione.
Si sono accorti di aver conquistato potere reale e pertanto l’hanno difeso con il voto, impedendo un ritorno al passato.
Dopo decenni in cui si era fatto credere loro che il voto fosse una delega in bianco e che il governo della città , i bilanci annuali, i piani regolatori, l’organizzazione dei servizi, fossero, ineluttabilmente, un “affare” per pochi (depositari delle “indispensabili competenze”), sono stati chiamati a pronunciarsi, a decidere sulle principali scelte di governo.
La stragrande maggioranza dei protagonisti di questi processi non sono stati cittadini e lavoratori già  dotati di una coscienza politica ma persone senza alcuna esperienza del genere alle spalle, ovviamente libere da pregiudizi nei confronti dell’amministrazione comunale, che si sono impegnate ad organizzare una sempre più larga partecipazione alle decisioni, via via che hanno avuto la possibilità  di sperimentare (non senza stupore!) la piena attuazione delle decisioni piccole e grandi adottate collettivamente.
Certo, non poco è stato lo sforzo iniziale volto a superare la sfiducia nelle istituzioni cresciuta nei decenni precedenti a causa della grande distanza tra la politica e i problemi reali della gente. Così come non è stato agevole demistificare la presunta complessità  delle scelte di bilancio e di pianificazione da sempre riservate agli “addetti ai lavori” per farne cogliere la loro reale semplicità  e stretta relazione con i bisogni dei cittadini.
Questi processi di formazione delle decisioni innescano dibattiti e conflitti nella città , che risentono ovviamente del clima politico-culturale generale, il cui esito, pertanto, non è mai scontato. Conflitti che fanno emergere in ogni caso, con chiarezza, il segno degli interessi in gioco e contribuiscono a farne crescere la consapevolezza e la coscienza.
Una coscienza sicuramente preziosa oltre che per costruire una città  più giusta, anche per opporsi localmente alla globalizzazione, tentando di delineare da basso un modello alternativo di democrazia e di società .
(Massimo Rossi, sindaco di Grottammare, AP)

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Solidarietà  e Partecipazione a Grottammare:
un progetto di governo locale “in controtendenza”

Governare il territorio ponendo al centro i bisogni reali della gente e la sostenibilità  dello sviluppo è possibile.
L’esperienza della mia cittadina, Grottammare, sulla costa adriatica marchigiana, poco più di 14.000 abitanti, lo dimostra. Questa esperienza, avviata quasi sette anni fa con l’avvento di un’amministrazione della sinistra alternativa alla guida della città , dimostra altresì che la gente può ritrovare il gusto della partecipazione se si aprono le porte del Palazzo per consentirne l’accesso, ma anche le finestre, per guardare fuori dai propri confini municipali.
Quattro progetti di cooperazione allo sviluppo verso il Sud del mondo, un centro polivalente degli immigrati, una consulta per la fratellanza tra i popoli, vari centri di aggregazione giovanile e per anziani, una discreta rete di associazioni, una efficiente gestione diretta e democratica di servizi strategici o meno (quali ad esempio la depurazione delle acque o la farmacia comunale), una grande attenzione per il recupero del patrimonio storico e per la prevenzione di ogni forma di inquinamento”¦

Il tutto si inquadra in un progetto alternativo rispetto alle regole dell’attuale sviluppo. Un progetto che non intende subordinare alla rincorsa del massimo profitto e della più esasperata “competitività “, il diritto di tutti i cittadini di decidere sull’uso delle risorse collettive al fine perseguire, ora e nel futuro, l’universalità  dei diritti sociali.
Può apparire impossibile tagliare un milione di metri cubi dalle previsioni edificatorie dal precedente piano regolatore, riportando ad uso agricolo la metà  delle aree che si potevano urbanizzare, se non si inquadrano queste scelte in un vivace e coinvolgente processo democratico di elaborazione di un progetto di sviluppo basato sulle principali risorse, vocazioni e tradizioni locali (nel nostro caso: il turismo e la coltivazione della flora arbustiva mediterranea).
Può sembrare assurdo proporre di limitare la sosta ed il transito delle auto sul lungomare, ricco di hotel e pubblici esercizi, al fine di recuperare spazi per lo svago, le relazioni, la qualità  della vita, se non si inseriscono queste scelte in una coerente ed ininterrotta iniziativa tesa a delineare una diversa idea di città ; un’idea che vuole coniugare le esigenze di spazi e relazioni a misura d’uomo espresse dalla parte più debole e sensibile della popolazione, con un’offerta turistica centrata sull’ambiente, la cultura, la pulizia, la tranquillità  e la possibilità  di socializzazione.
Può sembrare strano, per una piccola cittadina, destinare impegno e risorse locali a progetti per realizzare pozzi d’acqua potabile contro la sete e la desertificazione nel sud del mondo o regole democratiche di gestione del territorio in Albania, se non si inquadrano tali azioni in una costante e coinvolgente iniziativa sui temi della pace, della mondialità  e dell’immigrazione; un’azione tesa a far cogliere ai cittadini l’interdipendenza del futuro dei popoli della terra, valorizzando a tal fine la presenza degli immigrati, con una consulta, un consigliere aggiunto, un centro servizi e una fitta serie di iniziative: come l’annuale festa antirazzista (ogni 25 Aprile) e il capodanno multietnico che cresce ad ogni nuova edizione.
Può apparire anacronistico, in un quadro di forte spinta ideologica alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, ottenere, con gestioni dirette o controllate da parte del Comune, risultati di efficienza, qualità  ed economicità  in importanti servizi di interesse pubblico se non si collocano questi risultati in una prassi di controllo democratico degli stessi servizi, esercitata in un quadro di grande trasparenza, che vede i quartieri e le forze sociali coinvolte nei momenti salienti della programmazione a partire dal bilancio comunale.
E’ importante rilevare come tutto ciò non venga calato dall’alto in termini “ideologici” ma proposto i stretta relazione con i bisogni dei cittadini; bisogni, in qualche caso mistificati e deformati dalle sirene consumistiche, che però, spesso si “depurano” nel confronto e nella riflessione collettiva.
Certo tutte queste scelte innescano accesi dibattiti e conflitti nella città , il cui esito non è stato e non è mai scontato; conflitti, però, in cui via via, emerge con chiarezza il segno delle posizioni e degli interessi in gioco.
Sul Piano regolatore, ad esempio, forte è stata l’azione della speculazione fondiaria e dei settori che da sempre intendono il territorio come risorsa da consumare per ottenerne il massimo profitto. Sulla riqualificazione urbana ci si scontra con i soggetti portatori di modelli consumistici secondo i quali le strade, le piazze e i lungomare debbono essere spazi ove spostarsi velocemente in auto per acchiappare affari, spendere denaro e consumare rapidamente persino la bellezza dei luoghi.
Ma sono proprio questi conflitti a far crescere la coscienza tra i cittadini e, se si opera con passione ed intelligenza, a portare la maggioranza di essi a schierasi dalla parte di chi prospetta una città  più giusta, vivibile e solidale.
Solo così può spiegarsi il ripetuto e schiacciante successo di una lista della sinistra antagonista ed ambientalista, “da sola” contro i Poli, in una realtà  locale non certo molto diversa dal 90% delle nostre città  (con popolazione inferiore ai 15.000), ove vive quasi la metà  della popolazione del nostro Paese.
Se poi gli abitanti di queste città , come avviene a Grottammare, perdono motivazioni, fiducia ed orientamento quando sono chiamati ad esprimersi per determinare il governo di questo Paese, allora bisogna riflettere.
”¦ Sarà  forse che l’unico modo per vincere e trasformare la realtà  sia quello di “osare ” invece che annacquare il proprio progetto e piangersi addosso?
(Massimo Rossi – Sindaco di Grottammare, AP)

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Riprogettare la città  “partecipativamente”
L’esperienza di Grottammare: metodi e contenuti.


La formazione del Piano Regolatore Generale è stata senza dubbio una delle esperienze più interessanti della stagione di rinnovamento amministrativo che Grottammare sta vivendo dal novembre 1994 , da quando cioè al governo della città  si insediò la prima amministrazione di sinistra, guidata dal sindaco del PRC, Massimo Rossi.
Nella consapevolezza che le scelte riguardanti il governo del territorio sono quelle in cui si manifesta in maniera più evidente la contrapposizione tra gli interessi dei ceti più forti e quelli più deboli nell’ambito della città , l’Amministrazione comunale si è innanzitutto preoccupata di coinvolgere in questo processo di pianificazione l’intera cittadinanza…
Innanzitutto, con una vera e propria campagna informativa, si è voluto far capire ai cittadini che il piano regolatore non è un’insieme di estruse elaborazioni per addetti ai lavori o, ancora peggio, un atto esclusivamente finalizzato a definire l’edificabilità  o meno di terreni di proprietà  privata.
Una volta percepito che si tratta invece di riprogettare la città , usando linguaggi ed elaborazioni comprensibili per tutti, per decidere insieme cose estremamente importanti, quali: la consistenza e la dislocazione degli spazi pubblici, delle attrezzature sportive, dell’edilizia residenziale pubblica e degli altri servizi di interesse collettivo, l’organizzazione della mobilità  urbana, ecc., non è stato difficile ottenere l’attenzione e la partecipazione dei cittadini negli incontri con i comitati di quartiere , nelle assemblee pubbliche , nella fruizione di uno speciale “ufficio di piano” , appositamente aperto durante l’elaborazione del progetto, ecc.
Queste premesse anno consentito di impostare una progettazione limpida e rigorosa, basata in primo luogo su un quadro di conoscenze indispensabili, costruito attraverso un’interesse ed approfondita analisi del territorio sotto i profili, ambientale, geologico, botanico vegetazionale, socio economico, storico, demografico, ”¦.
Da questo quadro si è potuto dimostrare che il piano precedente era di gran lunga sovradimensionato (al solo scopo di favorire la speculazione fondiaria, 0, 0); si sono potuti individuare ambiti da salvaguardare in quanto interessati ad emergenze ambientali; si è dimostrato che vi è un notevole patrimonio edilizio da recuperare senza ricorrere all’ulteriore occupazione del territorio vocato ad altri usi, si sono potute evidenziare e valorizzare attraverso scelte specifiche le vocazioni economiche e produttive del territorio (turismo, vivaismo, artigianato, servizi, 0, 0);”¦
In sostanza, puntando solo sulla trasparenza, la partecipazione e la forza dei dati scientifici si sono create le premesse per le scelte coraggiose e “sostenibili” dal punto di vista ambientale, come il “taglio” rispetto al Piano precedente, di circa un milione di metri cubi in termini di potenzialità  edificatorie e la sottrazione da processi di trasformazione già  previsti oltre 3 km quadrati di territorio attualmente destinati ad uso agricolo.
Altro elemento che ha a caratterizzato e rafforzato il progetto, è quello dell’equità .
In sostanza pur assumendo come riferimento i bisogni della collettività  per una città  più vivibile e non le esigenze della proprietà  immobiliare, tuttavia nei confronti di quest’ultima si è cercato di evitare al massimo differenti opportunità  economiche in conseguenza alle scelte del piano. Infatti, pur essendo impossibile estendere un quadro di equità , a tutta la proprietà  immobiliare (mancando una legislazione sul regime dei suoli che, nella netta separazione della proprietà  dal diritto di edificazione, realizzi una sostanziale indifferenza economica delle previsioni urbanistiche), si è riusciti di attribuire, almeno alle proprietà  coinvolte nelle scelte del piano, indici e regole identiche in situazioni analoghe, eliminando le situazioni di disparità  normalmente presenti nei Piani regolatori.
Infine, per fare in modo che le previsioni di spazi verdi, di servizi ed altre attrezzature collettive (le cui dotazioni sono state notevolmente potenziate) non rimanessero solo una carta per la mancanza delle risorse pubbliche necessarie ad acquisirle ed approntarle, attraverso una specifica normativa (“progetti norma” su comparti omogenei), si è legata in maniera indissolubile l’edificabilità  dei suoli alla cessione e spesso all’effettiva fruibilità  di tali spazi e servizi.
In pratica: rovesciando la vecchia logica in base alla quale le dotazioni di servizi pubblici si reperivano (sulla carta) solo dopo aver stabilito arbitrariamente (spesso a casa degli amministratori) l’edificabilità  dei suoli, si sono prima individuate le carenze in termini di servizi, di spazi pubblici, viabilità , per poi determinare in relazione alla soluzione di queste, la possibile edificabilità  degli spazi adiacenti.

Partecipazione, comprensibilità , sostenibilità  ambientale, equità , attuabilità ,”¦ con queste “parole d’ordine” si è quindi portato avanti, in tempi relativamente brevi (poco più di due anni), un processo politico-amministrativo che ha visto molti cittadini riappropriarsi delle scelte di governo del territorio.
Un processo che oltre a produrre un “progetto di città  più giusta e vivibile”, ha anche consentito a molti soggetti di prendere conoscenza della necessità  di lottare anche sul territorio contro le sempre più spietate leggi del mercato, del profitto e della rendita che portano inevitabilmente al deterioramento dell’ambiente urbano, per difendere così la propria qualità  della vita.

(Massimo Rossi, Sindaco di Grottammare)