Art. 1. (Fauna selvatica)
1. La fauna selvatica è patrimonio
indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della
comunità nazionale ed internazionale.
2. L’esercizio dell’attività
venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza
di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo
alle produzioni agricole.
3. Le regioni a statuto ordinario
provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela
di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla
presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive
comunitarie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome
provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti
dai rispettivi statuti. Le province attuano la disciplina regionale
ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lettera f), della legge 8 giugno
1990, n. 142.
4. Le direttive 79/409/CEE del Consiglio
del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985
e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi
allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici,
sono integralmente recepite ed attuate nei modi e nei termini previsti
dalla presente legge la quale costituisce inoltre attuazione della
Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge
24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre
1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.
5. Le regioni e le province autonome
in attuazione delle citate direttive 70/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE
provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell’avifauna,
segnalate dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica di cui
all’articolo 7 entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, zone di protezione finalizzate al mantenimento
ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat
interni a tali zone e ad esse limitrofi; provvedono al ripristino
dei biotopi distrutti e alla creazione di biotopi. Tali attività
concernono particolarmente e prioritariamente le specie di cui all’elenco
allegato alla citata direttiva 79/409/CEE, come sostituito dalle
citate direttive 85/411/CEE e 91/244/CEE. In caso di inerzia delle
regioni e delle province autonome per un anno dopo la segnalazione
da parte dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, provvedono
con controllo sostitutivo, d’intesa, il Ministro dell’agricoltura
e delle foreste e il Ministro dell’ambiente.
6. Le regioni e le province autonome
trasmettono annualmente al Ministro dell’agricoltura e delle foreste
e al Ministro dell’ambiente una relazione sulle misure adottate
ai sensi del comma 5 e sui loro effetti rilevabili.
7. Ai sensi dell’articolo 2 della
legge 9 marzo 1989, n. 86, il Ministro per il coordinamento delle
politiche comunitarie, di concerto con il Ministro dell’agricoltura
e delle foreste e con il Ministro dell’ambiente, verifica, con la
collaborazione delle regioni e delle province autonome e sentiti
il Comitato tecnico faunistico- venatorio nazionale di cui all’articolo
8 e l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, lo stato di conformità
della presente legge e delle leggi regionali e provinciali in materia
agli atti emanati dalle istituzioni delle Comunità europee
volti alla conservazione della fauna selvatica.
Art. 2. (Oggetto della tutela)
1. Fanno parte della fauna selvatica
oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi
e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente
o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio
nazionale. Sono particolarmente protette, anche sotto il profilo
sanzionatorio, le seguenti specie:
a) mammiferi: lupo (Canis lupus),
sciacallo dorato (Canis aureus), orso (Ursus arctos), martora (Martes
martes), puzzola (Mustela putorius), lontra (Lutra lutra), gatto
selvatico (Felis sylvestris), lince (Lynx lynx), foca monaca (Monachus
monachus), tutte le specie di cetacei (Cetacea), cervo sardo (Cervus
elaphus corsicanus), camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica, 0, 0);
b) uccelli: marangone minore (Phalacrocorax
pigmeus), marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis), tutte
le specie di pellicani (Pelecanidae), tarabuso (Botaurus stellaris),
tutte le specie di cicogne (Ciconiidae), spatola (Platalea leucorodia),
mignattaio (Plegadis falcinellus), fenicottero (Phoenicopterus ruber),
cigno re- ale (Cygnus olor), cigno selvatico (Cygnus cygnus), volpoca
(Tadorna tadorna), fistione turco (Netta rufina), gobbo rugginoso
(Oxyura leucocephala), tutte le specie di rapaci diurni (Accipitriformes
e falconiformes), pollo sultano (Porphyrio porphyrio), otarda (Otis
tarda), gallina prataiola (Tetrax tetrax), gru (Grus grus), piviere
tortolino (Eudromias morinellus), avocetta (Recurvirostra avosetta),
cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), occhione (Burhinus oedicnemus),
pernice di mare (Glareola pratincola), gabbiano corso (Larus audouinii),
gabbiano corallino (Larus melanocephalus), gabbiano roseo (Larus
genei), sterna zampenere (Gelochelidon nilotica), sterna maggiore
(Sterna caspia), tutte le specie di rapaci notturni (Strigiformes),
ghiandaia marina (Coracias garrulus), tutte le specie di picchi
(Picidae), gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax, 0, 0);
c) tutte le altre specie che direttive
comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di
estinzione.
2. Le norme della presente legge non
si applicano alle talpe, ai ratti, ai topi propriamente detti, alle
arvicole.
3. Il controllo del livello di popolazione
degli uccelli negli aeroporti, ai fini della sicurezza aerea, è
affidato al Ministro dei trasporti.
Art. 3. (Divieto di uccellagione)
1. E’ vietata in tutto il territorio
nazionale ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di
mammiferi selvatici, nonchè il prelievo di uova, nidi e piccoli
nati.
Art. 4. (Cattura temporanea e inanellamento)
1. Le regioni, su parere dell’Istituto
nazionale per la fauna selvatica, possono autorizzare esclusivamente
gli istituti scientifici delle università e del Consiglio
nazionale delle ricerche e i musei di storia naturale ad effettuare,
a scopo di stu- dio e ricerca scientifica, la cattura e l’utilizzazione
di mammiferi ed uccelli, nonchè il prelievo di uova, nidi
e piccoli nati.
2. L’attività di cattura temporanea
per l’inanellamento degli uccelli a scopo scientifico è organizzata
e coordinata sull’intero territorio nazionale dall’Istituto nazionale
per la fauna selvatica;
tale attività funge da schema
nazionale di inanellamento in seno all’Unione europea per l’inanellamento
(EURING). L’attività di inanellamento puo’ essere svolta
esclusivamente da titolari di specifica autorizzazione, rilasciata
dalle regioni su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica;
l’espressione di tale parere è subordinata alla partecipazione
a specifici corsi di istruzione, organizzati dallo stesso Istituto,
ed al superamento del relativo esame finale.
3. L’attività di cattura per
l’inanellamento e per la cessione a fini di richiamo puo’ essere
svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione siano
titolari le province e che siano gestiti da personale qualificato
e valutato idoneo dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica.
L’autorizzazione alla gestione di tali impianti è concessa
dalle regioni su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica,
il quale svolge altresì compiti di controllo e di certificazione
dell’attività svolta dagli impianti stessi e ne determina
il periodo di attività .
4. La cattura per la cessione a fini
di richiamo è consentita solo per esemplari appartenenti
alle seguenti specie: allodola; cesena;
tordo sassello; tordo bottaccio; storno;
merlo; passero; passera mattugia; pavoncella e colombaccio. Gli
esemplari appartenenti ad altre specie eventualmente catturati devono
essere inanellati ed immediatamente liberati.
5. E’ fatto obbligo a chiunque abbatte,
cattura o rinviene uccelli inanellati di darne notizia all’Istituto
nazionale per la fauna selvatica o al comune nel cui territorio
è avvenuto il fatto, il quale provvede ad informare il predetto
Istituto.
6. Le regioni emanano norme in ordine
al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione
di fauna selvatica in difficoltà .
Art. 5. (Esercizio venatorio da
appostamento fisso e richiami vivi)
1. Le regioni, su parere dell’Istituto
nazionale per la fauna selvatica, emanano norme per regolamentare
l’allevamento, la vendita e la detenzione di uccelli allevati appartenenti
alle specie cacciabili, nonchè il loro uso in funzione di
richiami.
2. Le regioni emanano altresì
norme relative alla costituzione e gestione del patrimonio di richiami
vivi di cattura appartenenti alle specie di cui all’articolo 4,
comma 4, consentendo, ad ogni cacciatore che eserciti l’attività
venatoria ai sensi dell’articolo 12, comma 5, lettera b), la detenzione
di un numero massimo di dieci unità per ogni specie, fino
ad un massimo complessivo di quaranta unità . Per i cacciatori
che esercitano l’attività venatoria da appostamento temporaneo
con richiami vivi, il patrimonio di cui sopra non potrà superare
il numero massimo complessivo di dieci unità .
3. Le regioni emanano norme per l’autorizzazione
degli appostamenti fissi, che le province rilasciano in numero non
superiore a quello rilasciato nell’annata venatoria 1989-1990.
4. L’autorizzazione di cui al comma
3 puo’ essere richiesta da coloro che ne erano in possesso nell’annata
venatoria 1989-1990. Ove si realizzi una possibile capienza, l’autorizzazione
puo’ essere richiesta dagli ultrasessantenni nel rispetto delle
priorità defi- nite dalle norme regionali.
5. Non sono considerati fissi ai sensi
e per gli effetti di cui all’articolo 12, comma 5, gli appostamenti
per la caccia agli ungulati e ai colombacci e gli appostamenti di
cui all’articolo 14, comma 12.
6. L’accesso con armi proprie all’appostamento
fisso con l’uso di richiami vivi è consentito unicamente
a coloro che hanno optato per la forma di caccia di cui all’articolo
12, comma 5, lettera b). Oltre al titolare, possono accedere all’appostamento
fisso le persone autorizzate dal titolare medesimo.
7. E’ vietato l’uso di richiami che
non siano identificabili mediante anello inamovibile, numerato secondo
le norme regionali che disciplinano anche la procedura in materia.
8. La sostituzione di un richiamo
puo’ avvenire soltanto dietro presentazione all’ente competente
del richiamo morto da sostituire.
9. E’ vietata la vendita di uccelli
di cattura utilizzabili come richiami vivi per l’attività
venatoria.
Art. 6. (Tassidermia)
1. Le regioni, sulla base di apposito
regolamento, disciplinano l’attività di tassidermia ed imbalsamazione
e la detenzione o il possesso di preparazioni tassidermiche e trofei.
2. I tassidermisti autorizzati devono
segnalare all’autorità competente le richieste di impagliare
o imbalsamare spoglie di specie protette o comunque non cacciabili
ovvero le richieste relative a spoglie di specie cacciabili avanzate
in periodi diversi da quelli previsti nel calendario venatorio per
la caccia della specie in questione.
3. L’inadempienza alle disposizioni
di cui al comma 2 comporta la revoca dell’autorizzazione a svolgere
l’attività di tassidermista, oltre alle sanzioni previste
per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette o per
chi cattura esemplari cacciabili al di fuori dei periodi fissati
nel calendario venatorio.
4. Le regioni provvedono ad emanare,
non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della presente
legge, un regolamento atto a disciplinare l’attività di tassidermia
ed imbalsamazione di cui al comma 1.
Art. 7. (Istituto nazionale per
la fauna selvatica)
1. L’Istituto nazionale di biologia
della selvaggina di cui all’articolo 35 della legge 27 dicembre
1977, n. 968, dalla data di entrata in vigore della presente legge
assume la denominazione di Istituto nazionale per la fauna selvatica
(INFS) ed opera quale organo scientifico e tecnico di ricerca e
consulenza per lo Stato, le regioni e le province.
2. L’Istituto nazionale per la fauna
selvatica, con sede centrale in Ozzano dell’Emilia (Bologna), è
sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con le regioni,
definisce nelle norme regolamentari dell’Istituto nazionale per
la fauna selvatica l’istituzione di unità operative tecniche
consultive decentrate che forniscono alle regioni supporto per la
predisposizione dei piani regionali.
3. L’Istituto nazionale per la fauna
selvatica ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito
dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l’evoluzione ed i
rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare progetti
di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità
animali sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica
del territorio nazionale, di effettuare e di coordinare l’attività
di inanellamento a scopo scientifico sull’intero territorio italiano,
di collaborare con gli organismi stranieri ed in particolare con
quelli dei Paesi della Comunità economica europea aventi
analoghi compiti e finalità , di collaborare con le università
e gli altri organismi di ricerca nazionali, di controllare e valutare
gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province
autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo
Stato, dalle regioni e dalle province autonome.
4. Presso l’Istituto nazionale per
la fauna selvatica sono istituiti una scuola di specializzazione
post-universitaria sulla biologia e la conservazione della fauna
selvatica e corsi di preparazione professionale per la gestione
della fauna selvatica per tecnici diplomati. Entro tre mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge una commissione istituita
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, composta
da un rappresentante del Ministro dell’agricoltura e delle foreste,
da un rappresentante del Ministro dell’ambiente, da un rappresentante
del Ministro della sanità e dal direttore generale dell’Istituto
nazionale di biologia della selvaggina in carica alla data di entrata
in vigore della presente legge, provvede ad adeguare lo statuto
e la pianta organica dell’Istituto ai nuovi compiti previsti dal
presente articolo e li sottopone al Presidente del Consiglio dei
ministri, che li approva con proprio decreto.
5. Per l’attuazione dei propri fini
istituzionali, l’Istituto nazionale per la fauna selvatica provvede
direttamente alle attività di cui all’articolo 4.
6. L’Istituto nazionale per la fauna
selvatica è rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti l’autorità
giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative
e speciali.
Art. 8. (Comitato tecnico faunistico-venatorio
nazionale)
1. Presso il Ministero dell’agricoltura
e delle foreste è istituito il Comitato tecnico faunistico-venatorio
nazionale (CTFVN) composto da tre rappresentanti nominati dal Ministro
dell’agricoltura e delle foreste, da tre rappresentanti nominati
dal Ministro dell’ambiente, da tre rappresentanti delle regioni
nominati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da tre
rappresentanti delle province nominati dall’Unione delle province
d’Italia, dal direttore dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica,
da un rappresentante per ogni associazione venatoria nazionale riconosciuta,
da tre rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole
maggiormente rappresentative a livello nazionale, da quattro rappresentanti
delle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio
nazionale per l’ambiente, da un rappresentante dell’Unione zoologica
italiana, da un rappresentante dell’Ente nazionale per la cinofilia
italiana, da un rappresentante del Consiglio internazionale della
caccia e della conservazione della selvaggina, da un rappresentante
dell’Ente nazionale per la protezione degli animali, da un rappresentante
del Club alpino italiano.
2. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio
nazionale è costituito, entro un anno dalla data di entrata
in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri sulla base delle designazioni delle organizzazioni
ed associazioni di cui al comma 1 ed è presieduto dal Ministro
dell’agricoltura e delle foreste o da un suo delegato.
3. Al Comitato sono conferiti compiti
di organo tecnico consultivo per tutto quello che concerne l’applicazione
della presente legge.
4. Il Comitato tecnico faunistico-venatorio
nazionale viene rinnovato ogni cinque anni.
Art. 9. (Funzioni amministrative)
1. Le regioni esercitano le funzioni
amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della
pianificazione faunistico-venatoria di cui all’articolo 10 e svolgono
i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla
presente legge e dagli statuti regionali. Alle province spettano
le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione
della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n.
142, che esercitano nel rispetto della presente legge.
2. Le regioni a statuto speciale e
le province autonome esercitano le funzioni amministrative in materia
di caccia in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti
dai rispettivi statuti.
Art. 10. (Piani faunistico-venatori)
1. Tutto il territorio agro-silvo-pastorale
nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria
finalizzata, per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione
delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale
di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento
della densità ottimale e alla sua conservazione mediante
la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione
del prelievo venatorio.
2. Le regioni e le province, con le
modalità ai commi 7 e 10, realizzano la pianificazione di
cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio.
3. Il territorio agro-silvo-pastorale
di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per
cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il
territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce una zona
faunistica a sè stante ed è destinato a protezione
nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono
compresi i territori ove sia comunque vietata l’attività
venatoria anche per effetto di altri leggi o disposizioni.
4. Il territorio di protezione di
cui al comma 3 comprende anche i territori di cui al comma 8, lettera
a), b) e c). Si intende per protezione il divieto di abbattimento
e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad
agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole.
5. Il territorio agro-silvo-pastorale
regionale puo’ essere destinato nella percentuale massima globale
del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi
dell’articolo 16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della
fauna selvatica allo stato naturale.
6. Sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale
le regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia,
secondo le modalità stabilite dall’articolo 14.
7. Ai fini della pianificazione generale
del territorio agro-silvo- pastorale le province predispongono,
articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori.
Le province predispongono altresì piani di miglioramento
ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica
nonchè piani di immissione di fauna selvatica anche tramite
la cattura di selvatici presenti in soprannumero nei parchi nazionali
e regionali ed in altri ambiti faunistici, salvo accertamento delle
compatibilità genetiche da parte dell’Istituto nazionale
per la fauna selvatica e sentite le organizzazioni professionali
agricole presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale
tramite le loro strutture regionali.
8. I piani faunistico-venatori di
cui al comma 7 comprendono:
a) le oasi di protezione, destinate
al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;
b) le zone di ripopolamento e cattura,
destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale
ed alla cattura della stessa per l’immissione sul territorio in
tempi e condizioni utili all’ambientamento fino alla ricostituzione
e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale
per il territorio;
c) i centri pubblici di riproduzione
della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione
delle popolazioni autoctone;
d) i centri privati di riproduzione
di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di
azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è
vietato l’esercizio dell’attività venatoria ed è consentito
il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili
da parte del titolare dell’impresa agricola, di dipendenti della
stessa e di persone nominativamente in- dicate;
e) le zone e i periodi per l’addestramento,
l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale
o con l’abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie
cacciabili, la cui gestione puo’ essere affidata ad associazioni
venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati;
f) i criteri per la determinazione
del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per
i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole
e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui
alle lettere a), b) e c, 0, 0);
g) i criteri della corresponsione
degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi
rustici, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al
ripristino degli habitat naturali e all’incremento della fauna selvatica
nelle zone di cui alle lettere a) e b, 0, 0);
h) l’identificazione delle zone in
cui sono collocabili gli appostamenti fissi.
9. Ogni zona dovrà essere indicata
da tabelle perimetrali, esenti da tasse, secondo le disposizioni
impartite dalle regioni, apposte a cura dell’ente, associazione
o privato che si preposto o incaricato della gestione della singola
zona.
10. Le regioni attuano la pianificazione
faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali
di cui al comma 7 secondo criteri dei quali l’Istituto nazionale
per la fauna selvatica garantisce la omogeneità e la congruenza
a norma del comma 11, nonchè con l’esercizio di poteri sostitutivi
nel caso di mancato adempimento da parte delle province dopo dodici
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
11. Entro quattro mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, l’Istituto nazionale
per la fauna selvatica trasmette al Ministro dell’agricoltura e
delle foreste e al Ministro dell’ambiente il primo documento orientativo
circa i criteri di omogeneità e congruenza che orienteranno
la pianificazione faunistico-venatoria. I Ministri, d’intesa, trasmettono
alle regioni con proprie osservazioni i criteri della programmazione,
che deve essere basata anche sulla conoscenza delle risorse e della
consistenza faunistica, da conseguirsi anche mediante modalità
omogenee di rilevazione e di censimento.
12. Il piano faunistico-venatorio
regionale determina i criteri per la individuazione dei territori
da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie,
di aziende agri-turistico-venatorie e di centri privati di riproduzione
della fauna selvatica allo stato naturale.
13. La deliberazione che determina
il perimetro delle zone da vincolare, come indicato al comma 8,
lettere a), b) e c), deve essere notificata ai proprietari o conduttori
dei fondi interessati e pubblicata mediante affissione all’albo
pretorio dei comuni territorialmente interessati.
14. Qualora nei successivi sessanta
giorni sia presentata opposizione motivata, in carta semplice ed
esente da oneri fiscali, da parte dei proprietari o conduttori dei
fondi costituenti almeno il 40 per cento della superficie complessiva
che si intende vincolare, la zona non puo’ essere istituita.
15. Il consenso si intende validamente
accordato anche nel caso in cui non sia stata presentata formale
opposizione.
16. Le regioni, in via eccezionale,
ed in vista di particolari necessità ambientali, possono
disporre la costituzione coattiva di oasi di protezione e di zone
di ripopolamento e cattura, nonchè l’attuazione dei piani
di miglioramento ambientale di cui al comma 7.
17. Nelle zone non vincolate per la
opposizione manifestata dai proprietari o conduttori di fondi interessati,
resta, in ogni caso, precluso l’esercizio dell’attività venatoria.
Le regioni possono destinare le suddette aree ad altro uso nell’ambito
della pianificazione faunistico-venatoria.
Art. 11. (Zona faunistica delle
Alpi)
1. Agli effetti della pr