Comunicato del ”Comitato per la difesa del Teatro cittadino”

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La situazione

Il consiglio comunale e l’assemblea
dei consorziati sono chiamati ora a esaminare e ratificare l’intesa
sottoscritta dai rappresentanti dell’amministrazione comunale
e del consorzio. La loro responsabilità morale e giuridica
è grave e grande. Devono deliberare con l’urgenza che
il degrado e la chiusura decennale dell’immobile immediatamente
esigono. Ma hanno dinanzi una proposta ipocrita, contraddittoria
e soprattutto giuridicamente illegittima, moralmente indegna ed
irrispettosa degli interessi dell’intera città. Una
proposta di soluzione che recepisce principi e falsità contro
cui buona parte dell’associazionismo culturale (in primo luogo
i periodici Carta Libera e Piazza) ha lottato, da quasi dieci anni,
nell’indifferenza generale dei partiti.

Accordo illegittimo
e nullo

Senza ipocrisie ed infingimenti, l’accordo
che si vuol proporre è palesemente nullo sul piano del diritto
civile ed illegittimo dal punto di vista amministrativo e contabile.
L’intesa prevede che il Comune rilevi una quota pari al 30%
della proprietà del teatro, acquisendo lo status di condomino
al pari di tutti gli altri attuali consorziati. Dov’è
la stranezza, la causa di invalidità? Per essere sufficientemente
chiari ed obiettivi, ragionerò secondo tre differenti moduli
argomentativi. Secondo un’opinione condivisa da molti, il teatro
già appartiene alla città: fu edificato su suolo comunale
e con le somme raccolte in una sottoscrizione cittadina promossa
da un comitato di cittadini costituito per l’occasione. A quella
sottoscrizione pubblica aderirono centinaia di persone che sapevano
ed accettavano quanto stabilito nello statuto del comitato promotore
e cioè: il denaro sarebbe stato destinato alla costruzione
di un teatro cittadino; i sottoscrittori delle somme più
consistenti, una volta edificato il teatro, avrebbero acquistato
unicamente il diritto di palco o di poltrona (espressamente disciplinato
dalla legge n. 1336 del 1939), vale a dire il diritto ad essere
preferiti nell’acquisto degli abbonamenti stagionali, non dunque
una quota della comproprietà del teatro; tra tutti i titolari
di tali diritti sarebbe sorto un consorzio (l’attuale consorzio)
a cui non era attribuita la proprietà del teatro, che restava
alla città, ma unicamente il compito di "amministrare,
gestire e conservare il teatro" (art. 1 dello Statuto). In
altri termini, il consorzio nasceva e si faceva tutore della buona
conservazione e gestione di un bene che restava definitivamente
acquisito al patrimonio della collettività di cui è
espressione il Comune. Che questo fosse il senso di tutta l’intelligente
e lungimirante iniziativa è confermato da una circostanza
marginale, ma non irrilevante: il sipario, di notevole pregio artistico
stando anche al provvedimento ministeriale che a metà degli
anni ‘80 ha sottoposto a vincolo storico-architettonico l’intero
immobile, non era altro che quello proveniente dal precedente teatro
comunale S. Francesco. Alla luce di questa ricostruzione storico-giuridica,
è evidente che sarebbe del tutto illogico, oltrecché
giuridicamente invalido, un qualunque accordo diretto all’acquisto,
da parte del Comune, di una quota della comproprietà del
teatro. Il Comune acquisterebbe una parte di una cosa già
interamente sua.

Non tutti
condividono questa ricostruzione

Proviamo allora a valutare l’accordo
che si propone alla luce degli altri due schemi ricostruttivi a
cui accennavo. Si può ritenere, a mio parere con sufficiente
fondamento giuridico, che la proprietà dell’immobile
spetti al consorzio, inteso però come persona giuridica,
sebbene non riconosciuta, autonoma e distinta dai singoli consorziati.
Sarebbe una sorta di fondazione di fatto o un’associazione
che riunisce i titolari del diritto di palco. La proprietà
unica ed indivisa, nemmeno pro quota, sarebbe di tale fondazione
o associazione. Se così è, non è giuridicamente
ammissibile un contratto diretto ad acquistare lo status di associato
o di fondatore. In una fondazione, fondatore o lo si è dal
principio, o non lo si è: non lo si può certo diventare
per contratto, al massimo si può contribuire e sostenere
dall’esterno e per puro spirito di liberalità l’attività
della fondazione stessa. Ad un’associazione ci si può
iscrivere, versando magari, se è prevista dallo Statuto,
una quota associativa, ma certo non si può divenire associato
comprando una quota delle proprietà dell’associazione.
Ma diamine… un miliardo e mezzo: altro che quota associativa…
nemmeno la Fiat versa una simile cifra alla Confidustria! In ogni
caso, è nozione elementare del diritto civile che gli associati
non possono vantare un diritto di comproprietà sui beni che
costituiscono il fondo comune. Queste nozioni minime, i funzionari
comunali preposti al controllo di legittimità degli atti
amministrativi presumo che, se ricoprono quel ruolo, le sappiano
ed allora… perché stanno avallando questa manovra, inducendo
peraltro il Sindaco all’adozione di un atto palesemente nullo
che lo esporrebbe a gravi conseguenze sul piano amministrativo e
contabile? Eppoi, si tace una circostanza fondamentale e risolutiva:
il Comune è già membro del consorzio e per di più,
secondo lo statuto, un consorziato estremamente qualificato. Anche
per questa via interpretativa, quindi, si approderebbe, con l’intesa
raggiunta ed ora al vaglio degli organi assembleari, al peregrino
risultato che il Comune acquisterebbe uno status che già
gli è riconosciuto per statuto.

I consorziati ed anche
la bozza di accordo parlano di un condominio

Alla luce di quanto ho detto, questa
è proprio l’interpretazione più infondata ed
inconsistente, nonostante i consorziati con una recente modifica
statutaria abbiano tentato di accreditare. Non sta nè nel
cielo, nè nella terra del diritto. E’ nozione, anche
questa elementare, che uno statuto ha un’efficacia meramente
interna ed ovviamente, nei confronti dei terzi (in questo caso di
un’intera città), non può costituire di per sé
un titolo di acquisto o proprietà. Il titolo, in questo caso,
è costituito sia dallo statuto originario a cui i sottoscrittori
dell’epoca aderirono, sia dalla convenzione con cui il Comune
concesse l’uso del suolo di sua proprietà per l’edificazione
del teatro. Allora come oggi, era chiaro che i singoli associati
o fondatori che dir si voglia divenivano titolari unicamente del
diritto di palco, non di una quota della comproprietà del
teatro.

Pericoli ed ambiguità
dell’intesa

Un’amministratrore pubblico può
decidere, se le leggi lo consentono (ma non credo proprio!) e se
in tal modo ritenesse di perseguire un interesse collettivo, di
concedere a privati cittadini soldi pubblici. Ciò che sicuramente
non può fare è contrabbandare la regalia per un contratto,
invalido giuridicamente e patrimonialmente svantaggioso per il Comune.
Il vero pericolo è che il Comune, con l’accordo in esame,
andrebbe a legittimare, ora e per sempre, una situazione infondata
giuridicamente e non corrispondente a quella determinata un secolo
fa’: una situazione che, semplicemente, non esiste. Eppoi,
ragioniamo solo per un attimo e per assurdo come se effettivamente
ci trovassimo dinanzi ad un condominio e domandiamoci: perché
il Comune, disposto ora a rilevare il 30% della proprietà,
non chiede alla sua controparte, i consorziati, di esibire il proprio
titolo di proprietà, cioè non verifica, come fa chiunque
voglia acquistare qualcosa, se chi vende è effettivamente
proprietario? Inoltre, se si tratta, come sostengono, di un condominio
mi sembra logico, anzi indispensabile, che prima di acquistarne
una quota si conosca e sia disponibile uno stato di riparto dell’attuale
proprietà, cioè, come in tutti i condominii, una tabella
millesimale da cui si desuma la ripartizione delle quote di proprietà
dei singoli consorziati e la eventuale presenza di quote libere
e disponibili all’acquisto: non si può certo acquistare
alla cieca. Ed ancora e sempre se ragioniamo in termini di condominio,
il Comune, essendo già consorziato per aver tra l’altro
concesso il suolo ed il sipario, vanta già la proprietà
di una consistente quota di quel condominio: ne deriva che il Comune,
ad esito dell’accordo, dovrebbe risultare proprietario di una
quota pari alla somma di quella già attualmente detenuta
e della nuova pari al 30 %. Perché dunque si trascura, nell’accordo,
che il Comune è già titolare di una quota? Perché
si trascura che qualche consorziato, come l’avvocato De Stefano,
si è mostrato disponibile a donare la propria quota al Comune?

Soluzioni
alternative

La realtà è che si vuol
ridurre il tutto ad una anacronistica contrapposizione pubblico/privato.
La moderna realtà giuridica, al contrario, offre soluzioni
che consentono efficacemente di comporre quell’apparente contrasto.
In tutti questi anni non siamo stati disponibili a portare avanti
una battaglia di retroguardia: abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere
il minimo: il rispetto delle leggi e dell’interesse collettivo,
non la penalizzazione dell’interesse privato. L’assessore
alla cultura è tenuto, per legge, alla cura dell’interesse
generale ed è lui, quindi, che deve spiegare perché
deve essere il Comune a sborsare un miliardo e mezzo per un teatro
che i consorziati continuano a sostenere di essere di propria esclusiva
proprietà e disponibilità. La contraddizione è
la sua e della maggior parte dei consorziati: si riempiono la bocca
di libero mercato e di libera proprietà privata nel mentre
non hanno nessuna remora a svuotare le casse comunali. E se l’assessore,
in perfetta buona fede credo, considera quello che ha sottoscritto
sia un "buon affare" per il Comune, voglio ricordare a
lui, che è un uomo di destra, che leggi del periodo fascista
in materia di teatri gli consentirebbero di acquisire l’intera
proprietà del teatro con la stessa cifra che ora è
disposto a versare per il 30% della proprietà, e che leggi
varate recentemente da Veltroni gli consentirebbero di restaurare
il teatro cittadino con fondi statali; per non parlare della possibilità
di far ricorso a fondi comunitari disponibili per questo settore.
Il fatto è che non si sono volute considerare altre soluzioni
che pure avrebbero consentito agli stessi consorziati di essere,
sotto certi aspetti, maggiormente tutelati: una fondazione, come
suggerimmo alcuni mesi fa’, o, seguendo l’interessante
soluzione adottata per il Politeama di Prato (con i cui responsabili
siamo in contatto), una società ad azionariato popolare in
cui un terzo delle azioni potrebbe essere riconosciuto di diritto
agli attuali consorziati, un terzo potrebbe essere sottoscritto
dal Comune ed il restante terzo destinato ad un’offerta pubblica
di vendita. Una soluzione di questo tipo consentirebbe, ad un tempo,
di riconoscere il ruolo storico avuto dai consorziati (che si ritroverebbero
in mano non un evanescente ‘diritto di palco’, ma azioni
liberamente disponibili e facilmente convertibili in denaro, 0, 0); di
recuperare liquidità ben maggiori del miliardo e mezzo messo
a disposizione del Comune, in quanto un altro miliardo e mezzo si
ricaverebbe dall’offerta pubblica divendita; e, soprattutto,
consentirebbe di coinvolgere, esattamente come avvenne un secolo
fa’, l’intera città alle sorti presenti e future
del Teatro. Sarebbe, questa, un’operazione di alto livello
giuridico e, soprattutto, di altissimo profilo civile e culturale,
di cui l’amministratore pubblico dovrebbe farsi doverosamente
promotore e di cui potrebbe andare legittimamente fiero.

Le reazioni
dei partiti

Il quadro politico cittadino è
davvero allarmante. I partiti e le istituzioni si sono ridotte a
casse di risonanza attraverso cui maturano carriere e si affermano
personalismi di vario genere. Ipocrisie e contraddizioni non vengono
più nemmeno dissimulate. Penso anche, ad esempio, ad autorevoli
esponenti dell’opposizione di centro-sinistra così sinceramente
indignati nella denucia della superficialità e vessatorietà
di certi censimenti comunali in materia di tasse, che miracolosamente
ritrovano la pace interiore quando, in veste di consorziati, approvano
un accordo che – sanno bene – causerà un esborso ingiustificato
di denaro pubblico. Da nessun versante politico, nonostante le sollecitazioni
di singoli ed associazioni, si sente l’esigenza di affermare
un principio ed un’idea profondamente radicati, invece, nella
coscienza collettiva cittadina, oltrecché nella legge. Il
principio: la soluzione di problemi di natura collettiva, come la
presenza e la funzione di un teatro cittadino, e la gestione di
interessi diffusi devono vedere la partecipazione ed il coinvolgimento
dei diretti interessati, vale a dire i cittadini, gli amministrati,
sistematicamente e spudoratamente invocati solo nelle occasioni
elettorali e di propaganda. L’idea: poiché è
stato edificato, un secolo fa’, grazie ad una mobilitazione
cittadina generale, il Teatro appartiene, ora come allora, alla
città. Si tratta allora solo di tradurre il senso di quell’appartenza
collettiva in una moderna forma giuridica, capace di attirare nuovi
apporti finanziari e di valorizzare le molteplici, a volte preziose,
risorse umane disponibili, attualmente impegnate nel campo culturale
ed artistico nelle necessitate forme di un anacronistico spontaneismo
e dilettantismo. Questo, non me ne vogliano i professionisti della
politica locale è un compito prettamente affidato alla politica
ed all’amministrazione della cosa pubblica: organizzare le
risorse per fini comuni, schiodare i singoli dai lori frustranti
isolamenti ed egoismi per renderli partecipi di una dimensione altra,
eppure comune a tutti. L’interesse di tutti deve interessare
davvero di tutti.

(a cura di enzo colonna)