Il Teatro di alcuni ”tutti”.

Pubblico o privato?
Le soluzioni vengono da vecchie leggi "fasciste" e dal
buon senso. E alla fine c’è sempre la possibilità
dell’esproprio…

di enzo colonna

 

Nulla di buono si profila all’orizzonte.
Ci auguriamo sinceramente di essere smentiti dai fatti, ma i termini
del possibile accordo che si sta profilando tra il Consorzio Teatro
Mercadante e l’Amministrazione comunale per il ripristino del
Teatro non concedono margini sufficienti alla speranza ed all’interesse
collettivo.

La situazione

Schematicamente riepiloghiamo la situazione:
1) il Teatro Mercadante, bisognoso di radicali e costosi interventi
di recupero, è chiuso da anni (quasi un decennio, 0, 0); 2) coloro
che rivendicano la proprietà (privata) dell’immobile,
vale a dire i consorziati, non dispongono o, meglio, non sono disponibili
ad investire proprie risorse economiche (private anch’esse, 0, 0);
3) i consorziati hanno richiesto che sia il comune ad impegnarsi
economicamente per il recupero; 4) sinora è mancata una risposta
da parte dell’amministrazione comunale; 5) la latitanza di
quest’ultima è da addebitare a congenita idiosincrasia
per le vicende culturali ed anche, forse soprattutto, all’oggettiva
difficoltà di configurare un nuovo assetto giuridico della
proprietà del Teatro: il Comune, infatti, non può
impegnare considerevoli risorse pubbliche a beneficio di privati
cittadini per un immobile che, nelle pretese dei consorziati, continuerebbe
ad essere nella loro (cioé, privata) proprietà e gestione;
6) è necessario, dunque, dar vita ad un nuovo soggetto giuridico,
frutto dell’apporto e collaborazione del Consozio, del Comune
ed eventualmente di altri soggetti pubblici e privati; 7) circa
tre anni fa’, questo giornale con altre associazioni suggerirono,
anticipando quella che sarebbe stata la soluzione adottata per gli
enti lirici nazionali (come la Scala di Milano) dal legislatore
nazionale (la cosiddetta legge Veltroni del 1996), di dar vita ad
una fondazione (quindi un ente di diritto privato, ma non a scopo
di lucro), il cui patrimonio fosse costituito in primo luogo dagli
apporti del Comune e del Consorzio (rispettivamente, il denaro necessario
per i lavori e l’immobile) ed in cui, però, il controllo
della gestione (vale a dire, la maggioranza del consiglio di amministrazione)
fosse affidata alla città nelle sue varie articolazioni (quindi,
a rappresentati del Comune, delle associazioni culturali, ecc., 0, 0);
8) si suggeriva, in altri termini, un ritorno al coinvolgimento
ed al sentimento collettivo (un fatto di popolo, si potrebbe dire)
che animarono l’edificazione, oltre un secolo fa’, del
Teatro: questa fu possibile grazie alla concessione da parte dell’amministrazione
comunale dell’epoca di un suolo pubblico, all’iniziativa
nobile di un gruppo di cittadini facoltosi (i cui discendenti sono
in buona parte gli attuali consorziati) che promossero una pubblica
sottoscrizione, ed appunto alle sottoscrizioni di centinaia di semplici
cittadini che consentirono di raccogliere le venticinquemilalire
necessarie per la costruzione.

Le trattative in corso

Quel suggerimento è caduto
nel vuoto. La triste e modesta realtà di questi ultimi anni
ha visto contrapposte, in uno sterile gioco a due, le (forse buone)
ragioni del Comune e del Consorzio. Quell’invito a "ridare"
il Teatro alla "Città", si badi, non al Comune,
sembra definitivamente rifiutato dai due protagonisti della trattativa.
Stando alle indiscrezioni, la triste e modesta soluzione, che si
va profilando in questi giorni di incontri a due, consisterebbe
nella costituzione di una società il cui capitale sarebbe
costituito dall’immobile e dai soldi pubblici messi a disposizione,
rispettivamente, dal Consorzio e dal Comune.

Un modo per camuffare ipocritamente
e maldestramente la concessione di fondi pubblici a semplici privati
perché: a) le quote della costituenda società
sarebbero assegnate in proporzione agli apporti dei due soggetti:
secondo un dubbio calcolo, al Comune (che verserebbe la somma necessaria
per il recupero, un miliardo circa) ed al Consorzio (che metterebbe
a disposizione l’immobile del valore di circa quattro miliardi,
secondo la stima degli stessi consorziati), spetterebbero rispettivamente
circa il 20% e l’80% del capitale sociale; b) con buona
pace degli interessi collettivi, l’operazione giuridica in
cantiere, in un colpo solo, escluderebbe la "città"
(associazioni culturali, gruppi teatrali, movimenti civili, forze
imprenditoriali) dal controllo della società, limiterebbe
ad una quota minoritaria la presenza dell’ente comunale ed
assicurerebbe agli attuali consorziati il controllo pieno della
società e la possibilità di continuare a gestire,
con i limiti manifestati in questi decenni, un Teatro finalmente
ristrutturato con denaro pubblico.

Promemoria per gli amministratori

Ci auguriamo che l’esito delle
trattative in corso non sia davvero questo. Ci limitiamo ora a denunciarne
la contraddittorietà con il tanto declamato interesse della
Città, sia quella che lavora e vive sulla propria pelle le
decisioni pilotate dall’alto, sia quella che, senza fini di
lucro, fa attività culturale. Forse è davvero giunto
il momento di deporre gli strumenti della mera denuncia civile e
democratica, rivelatasi sinora inefficace, e di intraprendere le
ben più efficaci azioni legali (in sede civile ed amministrativa)
che la legge assicura ai semplici cittadini nell’interesse
della collettività.

Desistiamo ancora, solo per un momento,
e ci limitiamo per ora a predisporre una sorta di promemoria,
confidando che ci sia un amministratore comunale per il quale abbia
ancora senso l’espressione "interesse generale".

Gli ricordiamo allora che: 1) se gli
attuali consorziati si ostinano a parlare di una loro proprietà
piena del Teatro, è cosa buona e utile chiedere loro quale
sia il loro titolo di proprietà; 2) il suolo su cui fu eretto
il teatro era ed è di proprietà pubblica, quindi nel
conteggio delle quote della costituenda società dovrebbe
essere computato; 3) né nella convenzione del 1895 con cui
il Comune concedeva il suolo al Comitato promotore della sottoscrizione,
né nello Statuto del 1895 di tale comitato si parlava ad
una proprietà piena dell’immobile; 4) si dovrebbe preliminarmente
fare chiarezza sulla natura giuridica dell’attuale Consorzio
che non è assolutamente ben definita (chi scrive può
averne una idea, ma resta un’opinione, 0, 0); 5) esso è nato
come comitato promotore di una sottoscrizione, le sottoscrizioni
furono centinaia, ma gli attuali consorziati si sono ridotti, in
virtù di una selezione operata con dubbie clausole statutarie,
via via adottate e modificate nei decenni, a poche decine; 6) allora
chi sono e quanti sono i consorziati?; 7) lo Statuto del comitato
del 1895 attribuiva ai sottoscrittori delle somme più consistenti
unicamente un diritto di palco, non la proprietà dell’immobile
che è cosa ben diversa; 8) lo Statuto adottato nel 1955,
infatti, continuava a parlare unicamente di un Consorzio per la
"gestione, amministrazione e conservazione del Teatro"
(art. 1), di cui facevano parte i proprietari di palchi e poltrone
(art. 2), non dunque i proprietari dell’immobile; 9) sempre
lo Statuto del 1955 distingueva tra un diritto di proprietà
assoluto ed uno relativo: quello assoluto (che si sostanziava nel
diritto di accedere ed usare gratuitamente del posto) era riconosciuto
unicamente al Comune (che aveva concesso gratuitamente il suolo)
ed agli eredi dell’ing. Striccoli (che aveva gratuitamente
progettato il teatro), quello relativo (che si sostanziava semplicemente
in un diritto ad essere preferiti nell’acquisto degli abbonamenti
stagionali) era riconosciuto a tutti gli altri eredi degli originari
titolari del mero diritto di palco; 10) la distinzione è
di sostanza, soprattutto perché esprimeva statutariamente
la distinzione operata dalla legge n. 1336 del 1939 che regolava
appunto i rapporti tra i proprietari degli edifici adibiti a teatri
ed i semplici titolari del diritto di palco; 11) solo nello Statuto
del 1993 i consorziati, autonomamente ed unilateralmente, hanno
operato una dubbia equiparazione o sovrapposizione tra titolarità
del diritto di palco e titolarità del diritto di comproprietà
sull’intero immobile; 12) l’impressione che se ne ricava
è che originariamente la proprietà del teatro appartenesse
alla città (da qui l’espressione di "Teatro Comunale"
contenuta nello Statuto del 1895) e che ai sottoscrittori di certe
somme fosse assicurato solo il diritto di palco.

Ricordiamo ancora all’amministratore
pubblico, se ve n’è qualcuno attento e di buon senso
dalle nostre parti, che: a) per quanto si è detto,
si rende necessaria un’indagine o un’accertamento preliminare
sull’assetto proprietario dello stabile, prim’ancora di
parlare della costituzione di una società mista; b)
se ci si riducesse (fors’anche a buon ragione, ma comunque
dopo la necessaria verifica) a parlare di una comproprietà
dello stabile tra i consorziati, trascurando quella distinzione
tra diritto di proprietà dell’edificio e diritto di
palco, in ogni caso l’amministrazione comunale dovrebbe far
valere ed esercitare (cosa che sinora non ha mai fatto) i diritti
che spettano al Comune (in modo incontestato ed incontestabile)
nella sua qualità di consorziato e, quindi, di comproprietario
dell’edificio, oltreché proprietario esclusivo del suolo
su cui sorge; c) ne consegue che il Comune dovrebbe preliminarmente
accertare l’entità della sua quota di comproprietà
all’interno del Consorzio; d) in altri termini, nell’attribuzione
delle quote della costituenda società si deve tener conto
non solo della somma destinata al recupero che andrebbe ad erogare
il Comune (il miliardo), ma anche della considerevole (se si tiene
presente che l’immobile sorge su suolo pubblico) quota di comproprietà
che esso già detiene sull’immobile.

Esproprio? Le leggi ci sono

E’ indispensabile, dunque, che
si accerti la situazione giuridica attuale e si definiscano gli
obiettivi, prima di pensare ad individuare gli strumenti per superare
le difficoltà che si frappongono alla riapertura del Teatro;
il consiglio vale soprattutto per alcuni funzionari (solerti factotum
del Comune, nonché affettuosi padri di famiglia) che sembrano
essersi scoperti, improvvisamente ed improvvidamente, votati alla
causa del teatro.

Aggiungiamo che la rivendicazione
e la difesa ad oltranza da parte dei consorziati del proprio status
di comproprietari, trascurando che il "loro" bene "privato"
ha per sua natura precise valenze e funzioni pubbliche, rischiano
di rivelarsi addirittura controproducenti per i loro stessi interessi.

Si potrebbero dischiudere scenari
del tutto nuovi e sinora non considerati dalla pubblica amministrazione,
se solo questa si preoccupasse di quantificare la propria quota
di comproprietà.

Infatti, l’art. 1 del R.D.L.
n. 579 del 1937, convertito con la legge n. 1221 del 1937 ("Norme
per disciplinare la risoluzione, da parte dei comuni ed enti pubblici
in genere, dei condominii teatrali"), riconosce ai comuni la
possibilità di "chiedere al prefetto la espropriazione
per causa di pubblica utilità dei palchi e relativi camerini,
con la rispettiva quota di altre parti del teatro e dell’area
di esso spettante ai palchettisti, esistenti sia nei teatri comunali,
sia in quei teatri dei quali i comuni abbiano almeno la quarta parte
in proprietà". L’indennità? Poca cosa: in
base all’art. 16 della legge n. 1336 del 1939, "l’indennità
dovuta ai proprietari dei palchi espropriati consiste nella somma
corrispondente al reddito annuo netto di ciascun palco capitalizzato
in ragione del cento per otto. Il reddito si determina prendendo
a base la media dei fitti percepiti o che avrebbero potuto percepirsi
da una locazione continuativa nell’ultimo quinquennio…".

Vogliamo continuare a parlare, come
fanno i consorziati, di comproprietà piena? Continuiamo,
stiamo al gioco…

Ai sensi dell’art. 12 della legge
n. 1336 del 1939 ("Norme sul condominio dei teatri e sui rapporti
tra proprietari dei teatri ed i titolari del diritto di palco")
"chi abbia la comproprietà del teatro per una parte
costituente almeno la metà del suo valore, previa autorizzazione
del ministro… può chiedere l’espropriazione della
parte spettante agli altri condomini". Il Comune ha, da solo,
la metà del teatro? Forse no, ed allora leggiamoci il secondo
comma dello stesso articolo: "l’espropriazione di cui
sopra può essere chiesta da uno o più condomini che
rappresentino almeno un terzo del valore del teatro quando, per
esigenze di pubblico interesse, sia riconosciuta l’utilità
di eseguire notevoli lavori di ricostruzione, di trasformazione
o di ampliamento del teatro e gli altri condomini si rifiutino di
concorrere nella spesa relativa"; in tale ipotesi, "qualora
il ministro… riconosca che i lavori siano urgenti ed indifferibili
-si legge nel quarto comma- … può disporre l’occupazione
dell’immobile espropriando, prefiggendo un termine per l’esecuzione
dei lavori".

Leggi fatte dall’Ulivo, dalla
Sinistra? Macchè: sono leggi fasciste e pure intelligenti.
Leggi che tutelano la proprietà, quando e nei limiti in cui
questa funziona, quando e nei limiti in cui si fa attività
con una utilità pubblica; non tutelano il diritto di lasciar
marcire quattro tufi, soprattutto quando questi formano un teatro
che ha una sua valenza sociale e generale. Sindaco, orsù,
all’opera con le Sue leggi!!

E dal momento che stiamo giocando
(ancora per un po’!), richiamiamo un’altra legge fascista,
un’altra legge fatta da gente "con le palle". E’
la n. 1089 del 1939 ("Tutela delle cose di interesse artistico
o storico"), applicabile al Teatro Mercadante in quanto dichiarato
immobile di particolare interesse storico-artistico con decreto
del Ministero per il beni culturali e ambientali del 16 aprile 1984:
gli articoli 14 e 15 dispongono che il ministro "ha facoltà
di provvedere direttamente alle opere necessarie per assicurare
la conservazione ed impedire il deterioramento delle cose"
ed in tale ipotesi, recita l’art. 17, "gli enti e privati
interessati hanno l’obbligo di rimborsare allo Sato la spesa
sostenuta per la conservazione della cosa. L’ammontare della
spesa è determinato con decreto del ministro. Qualora la
spesa non sia rimborsata, il ministro ha facoltà di acquistare
la cosa al prezzo di stima, che essa aveva prima delle riparazioni".

Pubblico o privato? Una terza via

Interessanti, queste leggi! Soprattutto
istruttive: la proprietà non è un’isola felice,
luogo di espressione di istinti individualistici ed egoistici; le
ragioni dei singoli vanno necessariamente raccordate con le ragioni
della comunità in cui quei singoli vivono ed operano. Il
gioco del "questo è mio e guai a chi me lo tocca"
è un gioco perdente e per nulla appagante: per tutti! Tutti
devono comprendere, come scrivevamo tre anni fa, che il Teatro Mercadante
è un bene privato con interessi e funzioni pubbliche o, specularmente,
un bene pubblico su cui gravano interessi privati che vanno riconosciuti
e tutelati. Superando l’asfittica contrapposizione tra pubblico
e privato, è necessario battere una "terza
via", quella diretta a sperimentare e ad individuare un assetto
giuridico che consenta di raccordare contestualmente interessi privati
e collettivi.

Il problema vero non è tanto
quello della titolarità della futura proprietà del
bene (maggioranza pubblica o privata?), quanto quello della sua
gestione, cioè del ritorno del Teatro alla sua funzione sociale
e culturale. In questa prospettiva, è ben possibile scindere
i due momenti (titolarità e gestione), ricollegandoli a due
diverse entità: da un lato, una fondazione di diritto privato,
proprietaria dell’immobile e con una maggioranza in mano dei
privati consorziati (a cui si potrebbe continuare a riconoscere
il diritto di palco per determinate manifestazioni, 0, 0); dall’altro,
una società operativa, controllata dalla città attraverso
rappresentanti delle istituzioni e delle realtà associative
ed economiche del settore, impegnata, nella gestione quotidiana,
ad assicurare il Teatro alla sua funzione ed alla comunità.