Autonomia differenziata: non basta l’abrogazione della Legge Calderoli. Rischi, insidie e ambiguità del referendum.

L’azione di contrasto alla parcellizzazione del Paese, in corso da decenni, non può ridursi al referendum per la abrogazione di una legge che non introduce né riconosce alcuna maggiore autonomia alle regioni, ma fissa principi, condizioni, procedure per addivenire alle intese che la riconoscono. Bisogna considerare i rischi e gli effetti del referendum: la possibile inammissibilità; la possibile invalidazione per mancato raggiungimento del quorum; il vuoto e il possibile ritorno al passato, peggiore della nuova disciplina, in caso di successo.
La vera partita è la piena attuazione di ciò che di buono ha introdotto la Riforma della Costituzione del 2001: livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per rendere effettivi ed esigibili diritti sociali e civili in tutto il Paese e per tutti; costituzione del fondo perequativo a favore dei territori con minore capacità fiscale o con maggiori esigenze. Strumenti concreti di uguaglianza sostanziale e uniformità, garanzia per i territori e i soggetti più deboli. È tempo di disegnare qualche certezza per il futuro, non di difendere l’esistente.

(immagine ripresa dalla rete; ignoto l’autore)

Il tema dell’autonomia differenziata ha messo a nudo, per l’ennesima volta, tutta la fragilità del quadro politico italiano. Un’immaturità di fondo che spinge l’attuale classe politica, con rare eccezioni, a cercare continue conferme e legittimazione presso i propri elettorati. L’ansiosa ricerca della “prestazione” muove da contingenze politiche e, con disinvoltura, passa da una posizione al suo opposto fidando nella smemoratezza degli elettori. Conta il qui e ora, non la linea che traccia una direzione attraverso impegni seri e l’aggiornamento delle idee.

I leader hanno serrato i ranghi di partiti e coalizioni, innescando prove muscolari e chiusure a prescindere, solleticando umori e rinfocolando divisioni tra Sud e Nord che sembravano superati, dispiegando logore e antistoriche bandiere. Gli uni, di un autonomismo senza storia né futuro. Gli altri, un sudismo rivendicazionista, corrente storicamente ben presente nelle classi dominanti meridionali che ciclicamente hanno soffiato sul “vento del Sud” e che di una versione bignamizzata del meridionalismo hanno fatto ora un gadget retorico ed elettorale, ora strumento per la conservazione del potere consentendo di muoversi su un doppio livello: la rivendicazione delle “mani libere” nei propri territori e l’alleggerimento delle proprie incapacità su responsabilità esterne (Stato, UE).

Non sottovaluto la portata politica del referendum abrogativo, ma il disegno di parcellizzazione del Paese non passa solo dalla legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata. L’azione di contrasto, quindi, non può ridursi alla sua abrogazione. In questo senso, la campagna referendaria presenta insidie e ambiguità che vanno affrontate o, almeno, esplicitate con franchezza.

1) L’ammissibilità del referendum, si è paventato, potrebbe essere a rischio stante il dichiarato collegamento della legge con il bilancio (su cui è preclusa l’iniziativa referendaria, art. 75 Cost.). Opportuna, quindi, è l’iniziativa delle cinque regioni di richiedere non solo un referendum abrogativo di tutta la legge ma anche uno che abroga specifiche parti della legge. Della circostanza eventualmente ostativa hanno poco da dolersi i maggiori soggetti politici dell’opposizione, in quanto l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni è un tema introdotto per la prima volta nei documenti di programmazione economica nazionale nel settembre 2018, presentata come una “priorità” nella Nota di aggiornamento al DEF (p. 112) deliberata dal Governo Conte I e i relativi disegni di legge sono stati stabilmente dichiarati “collegati alla decisione di bilancio” dai governi che si sono succeduti dal 2019 (p.11) in poi.

2) Il referendum è valido solo con la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto. Considerato il trend di affluenza registrato negli ultimi anni, il raggiungimento di tale quorum è a rischio, soprattutto se nelle regioni del Nord l’elettorato disertasse le urne. Se così dovesse essere, si avrebbero due effetti devastanti: il Paese sarebbe ulteriormente diviso, in modo artificioso; il fallimento del referendum verrebbe letto come la legittimazione, anche da parte dell’elettorato, del disegno autonomistico che avrebbe così una spinta decisiva e irreversibile.

3) Prendiamo ora in considerazione l’ipotesi che il referendum abbia successo. Con il primo quesito deliberato dalle regioni e, identico, quello di iniziativa popolare su cui è stata avviata la raccolta delle firme, il voto favorevole abrogherebbe l’intera legge che, contrariamente a quanto si è fatto passare nell’opinione pubblica, non introduce e non riconosce alcuna maggiore autonomia. La scelta di ricorrere a una legge per fissare principi, condizioni e procedure per addivenire alle intese che riconoscono maggiore autonomia è stata, per certi versi, sorprendente, considerata la paternità. Per nulla scontata, né obbligata, in quanto l’art. 116 Cost. prevede un solo passaggio parlamentare, quello che approva l’intesa fra Stato e Regione interessata. Il referendum, dunque, cancellerebbe la legge ma non la possibilità di attribuire “forme e condizioni particolari di autonomia”, perché fissata dal 2001 nella Costituzione, né il rischio della sua futura attuazione per altre vie, ben peggiori, come quella battuta nel recente passato attraverso negoziati e accordi diretti tra governo e regioni (le intese preliminari sottoscritte da Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e il Governo Gentiloni nel febbraio 2018, poi sviluppate dal Governo Conte I sino agli schemi di intesa definitiva del febbraio 2019 concordati con Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto; procedimento poi interrotto con la fine di quell’esperienza governativa).

4)  L’abrogazione totale cancellerebbe i principi, le condizioni, le procedure, il sistema di monitoraggio, che la legge prevede per l’attribuzione di maggiore autonomia. In particolare, la legge non si limita a confermare quanto già previsto nella legge di bilancio 2023 (n. 197/2022), cioè che “l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia … è consentita subordinatamente alla determinazione” dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard), che “costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi” i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, “per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale”, per “il pieno superamento dei divari territoriali” (art. 1). Puntualizza che, qualora i LEP richiedano maggiori risorse, queste devono essere garantite per tutte le regioni e non solo per quelle che chiedono maggiore autonomia; senza tale copertura, le funzioni restano in capo allo Stato (art. 4). Inoltre, per le singole Regioni che non siano parte delle intese “è garantita l’invarianza finanziaria nonché il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all’articolo 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione”: vale a dire, fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale,risorse aggiuntive e interventi speciali per rimuovere squilibri economici e sociali a favore di determinati territori (art. 9).
Bisogna riconoscere, dunque, che la legge offre un livello di cautele del tutto inedito e affatto banale. Sicuramente di gran lunga superiore a quello offerto da precedenti riferimenti normativi e tentativi di disciplina. Laconicamente, la legge di stabilità per il 2014 (Governo Letta) si limitava a impegnare il governo ad attivarsi entro 60 giorni dalla richiesta di maggiore autonomia avanzata dalle regioni (art. 1, comma 571, legge n. 147 del 2013). I disegni di legge dei Ministri Boccia (2019) e Gelmini (2022), rispettivamente Governi Conte II e Draghi, antecedenti diretti dell’attuale legge, prevedevano il trasferimento di ulteriori e maggiori funzioni alle regioni a prescindere dalla determinazione dei LEP uniformi su tutto il territorio, nel primo caso (v. art. 1, co. 1, lett. e, della bozza di DDL Boccia), e dalla copertura a favore di tutte le regioni, nel secondo caso.
È vero che per 9 delle 23 materie (rapporti internazionali, commercio con l’estero, professioni, protezione civile, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale, organizzazione della giustizia di pace) è possibile chiedere maggiore autonomia senza attendere la definizione dei Lep. Si tratta, però, di materie “non configurabili come prestazioni in favore dei cittadini, perché attengono a funzioni regolatorie e di controllo” o “non associabili alla tutela dei fondamentali diritti civili e sociali” o non esigono “la determinazione di livelli essenziali” (a tale conclusione è arrivato il Comitato tecnico per la definizione dei Lep, composto da una sessantina di esperti e presieduto dall’ex giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese: v. Rapporto, 30.10.2023, p. 7). Per queste materie, comunque, l’autonomia può essere concessa solo “nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente” (art. 4).

5) Il percorso delineato dalla legge è dunque difficile, incerto e comunque lungo. È sufficiente richiamare la difficoltà “di operare una definizione completa, materia per materia, ambito per ambito, di ciascun livello essenziale delle prestazioni” rilevata dal Comitato Lep, tanto da definire l’attività svolta «come un’esplorazione “in terre incognite”, collocate tra previsioni normative più o meno parziali, interpretazioni giurisprudenziali, veri e propri vuoti di disciplina, indicazioni rinvenibili al più solo implicitamente» (Rapporto, 30.10.2023, p. 22).
Il referendum abrogativo di tutta la legge, cancellando le cautele e le garanzie che comunque offre, ci riporta, a Costituzione invariata, alla stessa situazione in cui sono maturate le iniziative autonomistiche e legislative degli anni scorsi. A dare forza a simili preoccupazioni vi sono alcune circostanze sintomatiche. Nessuno dei principali partiti di opposizione (PD, M5S) mette in discussione l’assetto costituzionale definito dagli artt. 116 e 117 della Costituzione, anzi, si difende la possibilità di riconoscere forme particolari di autonomia senza però spiegare quale sarebbe il modo alternativo di attuarla. L’Emilia-Romagna, nella sua deliberazione di richiesta di indizione del referendum, rivendica e conferma la bontà della proposta di autonomia avanzata pochi anni fa (che riguardava 16 materie), con una procedura che ometteva qualsiasi riferimento ai Lep e al fondo perequativo, definiti su scala nazionale; si è peraltro guardata bene dal revocare la preintesa sottoscritta nel 2018, né ha messo in discussione gli esiti del negoziato che ne è seguito (lo schema di intesa concordato del febbraio 2019).
Senza un’esplicita ammissione di un netto cambio di posizione rispetto al recente passato da parte del PD e del M5S, senza impegni politici chiari sul futuro approccio all’autonomia differenziata, l’abrogazione della legge rischia, pur nelle buone e condivisibili motivazioni di tanti altri promotori e dei sottoscrittori, di rivelarsi un salto nel vuoto, senza le garanzie della legge ora in vigore. È necessario tener presente che l’abrogazione referendaria preclude la possibilità di riproporre una normativa di contenuto simile a quella abrogata (divieto ribadito più volte dalla Corte costituzionale). Tale vuoto, in assenza di un’esplicita presa di distanza rispetto all’autonomia differenziata, potrebbe indurre ad attuarla per altre vie, più semplificate e spicce, come le intese perseguite negli anni scorsi.
Risulta allora tatticamente più utile il secondo quesito referendario deliberato dalle regioni che, attraverso l’abrogazione di singole parti della legge, punta a condizionare il trasferimento delle funzioni per tutte le 23 materie alla determinazione dei Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard (quindi, anche per le nove materie su cui, in realtà, di Lep non è possibile parlare, come ha rilevato il Comitato tecnico). In tal modo, l’impianto della legge, con le sue condizioni, procedure, garanzie, resterebbe in piedi.

Certo è che il tema dell’autonomia differenziata – agitata come un feticcio salvifico o maligno – non spiega e non giustifica politiche e prassi di governo, inadeguatezze di pubbliche amministrazioni e classi dirigenti, che nei decenni e senza rafforzare alcuna autonomia non hanno allineato i livelli infrastrutturali, non hanno superato la disomogeneità dei servizi ai cittadini, né affrontato lacerazioni sociali e squilibri territoriali, non riconducibili solo alla dicotomia Nord-Sud. Le faglie (sociali, economiche, culturali, strutturali) che attraversano il Paese superano i confini geografici e amministrativi, sono più profonde, più subdole, sono presenti all’interno di singole regioni e anche di territori limitrofi.
È necessaria una presa di distanza rispetto al vissuto degli ultimi 23 anni, durante i quali non si è stati capaci di dare attuazione a ciò che di buono la riforma costituzionale del 2001 aveva introdotto: non si sono individuati i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, Cost.) e i relativi costi/fabbisogni standard e non si è costituito il fondo perequativo a favore dei territori con minore capacità fiscale o con maggiori esigenze (art. 119, Cost.), continuando, invece, a far ricorso ai criteri quali la spesa storica o il costo medio per abitante, di per sé iniqui, penalizzanti per i territori storicamente più deboli e per le amministrazioni più capaci.
La guerra va fatta a questo andazzo, che nega diritti e servizi fondamentali e mortifica ideali democratici e costituzionali – di sinistra, mi permetto – perché LEP e perequazione sono strumenti concreti di uguaglianza sostanziale e uniformità, garanzia per i territori e i soggetti più deboli.
È tempo di disegnare qualche certezza per il futuro, non di difendere l’esistente.

(ENZO COLONNA, luglio 2024)

 

Sono fuori, ormai da molto tempo, da quanto avviene in Comune

Come sapete, come avrete capito, penso, sono fuori, ormai da molto tempo, da quanto avviene in Comune. Sin dai primi mesi successivi alle elezioni comunali del giugno 2018, per scelte non mie, si è consumato il mio progressivo allontamento dal vissuto e dalle vicende della maggioranza, quindi dell’amministrazione. Da un anno non ho ruoli istituzionali e non svolgo attività in movimenti o partiti, anche se ho cercato di assicurare massima disponibilità, per confronti e consigli, a chiunque mi abbia contattato. Ho continuato, però, a difendere, mettere a frutto e a cercare di sviluppare il lavoro impostato e programmato durante i miei anni in Regione, a seguire e dare impulso, con le modalità limitate che mi sono date, alla attuazione e allo sviluppo delle numerose azioni e progettualità, di varia natura, che sono riuscito a creare o a sostenere e accompagnare e finanziare dalla Regione (per un valore, in termini di risorse finanziarie impegnate, stimabile in circa 50 milioni di euro, limitandomi alla nostra città e solo agli interventi e progetti su infrastrutture e beni cittadini, pubblici o di interesse pubblico, direttamente finanziati dalla Regione e realizzati o ancora da realizzare a cura della regione stessa, del comune o di altri enti pubblici e privati no profit).
Quindi non so cosa abbia indotto prima alla revoca di tutta la giunta comunale (a poco più di un anno dalla precedente) e poi, addirittura, alle dimissioni della sindaca.
Anche perché, prima di queste due drastiche decisioni, non ci sono stati dibattiti in sedi istituzionali, pubblici, non ci sono stati segnali o parole di sfiducia nei confronti degli assessori revocati, non ci sono stati voti di sfiducia o dissensi manifestati da partiti o consiglieri su atti di programmazione comunali o su scelte fondamentali dell’amministrazione, non ci sono stati comunicati, volantini, insomma nulla da cui emergesse una situazione di estremo disagio della compagine al governo della città.
Come pure, tra la revoca di tutta la giunta e le dimissioni della sindaca, per un mese, a parte un comunicato stampa di un partito, nessuna presa di posizione, nessuno che spiegasse.
Riportata la situazione su scala nazionale, si sarebbe definita una “crisi extraparlamentare”, cioè una di quelle determinate e consumate fuori dalle aule della democrazia. Ma, appunto per questo, ancor più necessariamente, le ragioni di una crisi si sarebbero dovute spiegare ai cittadini, dai protagonisti e dai partiti e movimenti.
Ancora in questi giorni, dopo le dimissioni della sindaca, dai rappresentanti istituzionali, dai partiti e movimenti non è stata espressa nessuna traccia di lavoro, nessuna esplicitazione delle soluzioni, dei tentativi di riprendere lo spirito e le ragioni che consentirono l’affermazione elettorale oltre tre anni e mezzo fa circa.
È stata, a partire dal consiglio comunale di lunedì scorso, una settimana di contumelie, voci su cambi di fronte, su ingressi in maggioranza di consiglieri di minoranza, insinuazioni e allusioni, incontri e trattative tra gruppi e singoli, spole verso il capoluogo e verso i rispettivi riferimenti baresi politici e di corrente.
Come ho sempre fatto, rispetto tutto e tutti, anche se non comprendo, ma non avendo ruoli politici o istituzionali e soprattutto trattandosi di voci, su questo non scrivo nulla.
So, però, e di questo posso parlare e scrivere, per averlo seguito e vissuto intensamente, fuori e dentro il consiglio, dall’opposizione, per anni e poi, senza risparmiarmi, dando tutto, nei mesi di preparazione e sviluppo della campagna elettorale del 2018 (formazione della coalizione e delle liste, programma e iniziative, comizi e incontri con elettori) cosa ha generato entusiasmo e riconoscimento da parte degli altamurani, conosco in prima persona la vitalità che abbiamo espresso e generato in quella fase. So, insomma, cosa ci fece vincere, con un mix di storia di movimenti e civismo (alimentati, tra difficoltà enormi, sacrifici, sconfitte elettorali, durezze e asprezze determinate dal ruolo ingrato, per molti anni, di forza minoritaria, numericamente minoritaria) e di tradizione di partiti di sinistra.
Per questo non mi rassegno (e credo non si rassegni chi ha vissuto quella storia) all’assenza della politica, a uno stato impolitico in cui tutto viene ridotto a un mortale e mortifero pissi pissi bau bau.
Non ci si può rassegnare – come non lo abbiamo fatto per una vita e l’elettorato lo ha riconosciuto nelle tornate elettorali per la Regione, oltre sei anni fa, e per il Comune, oltre tre anni fa – all’impulso automatico a negare la complessità della situazione e delle sfide di portata ben superiore all’adeguatezza delle singole forze in campo, all’immiserimento del dibattito politico alla sterile prova muscolare o alla negoziazione, nemmeno esplicita, di posizioni di potere.
Vincemmo, politicamente prima ed elettoralmente poi, perché abbiamo fatto e vissuto la Politica come il luogo di ragionamenti e sentimenti, non di umori e istinti. Di lealtà e non di opportunismo. Di dialoghi pubblici e trasparenza, non di manovre di palazzo e scorciatoie procedimentali. Di esercizio quotidiano, faticoso ed estremo, del possibile e non di esercizio del potere. Luogo di passione e ragione, di errori anche. Di vita insomma, autentica, e non un artefatto in cui la vita si ingabbia e viene oscurata.
Sono i fondamentali, nostri, di coloro che si sono riconosciuti in una “piccola” storia politica di provincia che ha attraversato un trentennio.
Senza il ritorno a questi fondamentali, che poi fanno la differenza tra gli uni e gli altri e rendono diversi gli uni dagli altri, le sconfitte sono sicure. Non le cadute contingenti o le sconfitte elettorali, queste si superano. Ma quelle culturali, politiche e storiche. E da queste, non ci si rialza.
E allora, direte? Non ci sono macchine del tempo che possano cancellare l’ultimo mese e mezzo dal calendario politico locale o, addirittura, riportare le lancette degli orologi mentali, sentimentali, motivazionali, politici alla primavera/estate 2018. Lo so. E le parole, i gesti e i silenzi segnano profondamente. Lo so bene, anche perché conosco sulla mia pelle e carne questo genere di parole, gesti e silenzi.
Ma ci sono la politica, con la sua capacità creatrice e rigenerativa, e soprattutto la volontà degli uomini e delle donne che rende quasi tutto possibile.
Tornare a vedere o continuare a vedere con gli occhi di una vita. Come in un libro di Saramago. Come in un’Apocalisse (dal greco, “rimozione del velo”) che, al termine del percorso, ci fa “vedere” (come tuona la voce che Giovanni sente: “Guarda e scrivi quello che vedi”) non le sciagure prossime a venire, ma il male e il bene di cui siamo capaci e di cui siamo stati capaci. Ciò che è, è stato e potrà essere. Dipende da noi, da come spendiamo la nostra capacità di generare, creare, non solo cose, costruzioni, ricchezze, potere, ma soprattutto relazioni.
È necessario allora avvertire il dovere e l’umiltà di rinnovare gesti antichi, di una vita. Ri-cominciare a vedere con gli occhi di una vita. Il futuro appartiene a chi “ri-comincia”, a chi tiene aperta una storia, proprio quando questa si ripiega su sé stessa.

Un grandissimo lavoro di tutta l’équipe. Una grandissima conquista per la Murgia. Orgoglio!

 

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Quasi 700 procedure di emodinamica e cardiostimolazione in un anno di attività. Il servizio di Emodinamica-Utic dell’Ospedale di Altamura, dopo la prima procedura eseguita esattamente il 10 settembre 2020, taglia il suo primo importante traguardo: «Dietro questi numeri – spiega il direttore f.f. della Cardiologia-UTIC, Francesco Massari – ci sono persone, e sono diverse centinaia, per le quali la sala di Emodinamica è stata davvero utile, garantendo tecnologie e prestazioni sanitarie elevate per la salute del loro cuore. Un risultato straordinario considerando che in quest’anno abbiamo dovuto affrontare l’emergenza Covid, con riduzione dei posti letto ed impiego del personale in prima linea nei reparti di Malattie Infettive».
Il team di cardiologi-emodinamisti ha eseguito in totale 483 procedure di tipo interventistico e diagnostico, di cui 152 nel 2020 e 331 nel 2021. Analizzando i dati si evince come dei 483 pazienti che hanno eseguito la coronarografia, molti erano infartuati, 164 hanno avuto necessità di un intervento percutaneo di angioplastica, mentre 21 hanno usufruito di una rivascolarizzazione miocardica chirurgica (bypass) presso un centro di cardiochirurgia. Ulteriore slancio è stato dato all’attività di elettrostimolazione, che nell’ultimo anno ha totalizzato circa 200 interventi tra impianti di pacemaker, defibrillatori e loop recorder.
«Con l’avvio di Emodinamica-UTIC – spiega la dr.ssa Annalisa Altomare della Direzione medica di presidio – abbiamo ulteriormente elevato l’asticella della qualità del nostro Ospedale e aumentato la capacità di offrire assistenza sanitaria adeguata ad un territorio vasto e popoloso. I risultati di questo primo anno confermano che la strada intrapresa è quella giusta. Ora l’obiettivo è fare di più e ancora meglio, perché il modernissimo angiografo ha aperto una nuova frontiera e tocca a noi esplorarne tutte le opportunità».
Esprime soddisfazione per questi risultati il dr. Pasquale Caldarola, direttore del Dipartimento Cardiovascolare della ASL Bari e «in prospettiva – aggiunge – speriamo di avere risorse tali da poter allargare le attività sino a coprire l’arco delle 24 ore, in modo da far rientrare l’Emodinamica dell’Ospedale della Murgia nella rete del 118 per le emergenze-urgenze cardiovascolari».
✅ Clicca qui per approfondire https://bit.ly/3tuhYhq

Del vivere insieme

In politica, come in tutti gli ambiti del “vivere insieme” (dimensione sociale), spesso, quasi sempre, ricorriamo a un approccio, quindi a un linguaggio, a “somma zero”. Si affronta la realtà e lo “stare insieme” con uno schema ipersemplificato, binario: vincitori e vinti, amici e nemici, dentro o fuori, con noi o contro di noi. Ma la realtà è complessa e siamo tutti diversi. Fortunatamente, tutti diversi, perché ci alimentiamo reciprocamente proprio da queste differenze. Ogni comunità, a partire dalle più piccole, non è una società di amici eguali. È una società di persone che si riconoscono per le differenti qualità e quindi si riconoscono, reciprocamente, per i doveri, i diritti e le responsabilità. Una società di eguali non esiste, se non al cimitero.
L’approccio a “somma zero”, scrivevo. Ecco, con questo, le due componenti (vincitori e vinti) si compensano, si annullano, rendendo il ‘gioco’ improduttivo, quindi perdente per tutti.
Vedendo l’insieme, invece, vediamo che nessun momento e nessuna parte è più importante di altri, come pure vediamo che ogni momento e parte sono parimenti necessari.
Lo sforzo, allora, dovrebbe essere quello di utilizzare un approccio e un linguaggio che consentano a tutti e da tutti di trarre vantaggio. Agire e parlare creando contesti (comunitari) in cui tutti generino e traggano benefici (come le parti comuni in un condominio).
Approcci e linguaggi che ci permettano di vedere il mondo nel suo insieme e di riconoscere, allo stesso modo, tutte le sue parti e l’importanza e la necessità in tutte le sue parti.
Abbiamo bisogno di questo per progredire.
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《Keuner, interrogato sul modo di lavorare di due uomini di teatro, fece questo confronto: Conosco un autista che conosce bene le regole della circolazione, le rispetta e sa servirsene a suo favore. Sa scattare avanti abilmente, poi sa tornare a mantenere una velocità regolare, risparmiando il motore, e così si fa strada, audace e prudente al tempo stesso, tra gli altri veicoli. Un altro autista di mia conoscenza procede diversamente. Più che alla sua strada si interessa al traffico generale e si sente una particella di esso. Non approfitta dei suoi diritti e non si mette in mostra. Marcia mentalmente insieme all’automobile che lo precede e a quella che lo segue, sempre compiacendosi dell’avanzata di tutte le automobili nonché dei pedoni.》 (da “Le storie del Signor Keuner” di Bertolt Brecht)

SCUOLA ALL’APERTO, CONTINUA E SI SVILUPPA IL PROGETTO DEL CIRCOLO DIDATTICO “RONCALLI” DI ALTAMURA, DA DUE ANNI CON IL SOSTEGNO DELLA REGIONE.

Il lavoro (di programmazione e impostazione) svolto un anno e mezzo fa in Regione continua a dare frutti. Tra i 13 progetti scolastici, da realizzare nel corso dell’anno scolastico 2021/2022, su tematiche di interesse sociale, culturale, educativo e finalizzati alla sperimentazione di metodologie e didattiche innovative, selezionati e finanziati recentemente dalla Giunta regionale (con complessivi 220mila euro), c’è quello proposto 3° Circolo Didattico ‘Roncalli’ di Altamura dal titolo “Scuola all’aperto / Percorsi di educazione attiva”. Ha ottenuto un finanziamento di 25mila euro.
È lo sviluppo, con un maggiore sforzo organizzativo, con un numero maggiore di ore, alunni e docenti impegnati, del progetto che la stessa scuola si vide finanziato poco più di un anno fa sempre dalla Regione.
👉 Ne scrissi qui, il 4 agosto 2020:
✅ Nello specifico, il progetto del 3° Circolo Didattico “Roncalli” è incentrato su un approccio didattico all’aperto, attraverso l’impiego di risorse e strumenti non reperibili in una tradizionale aula scolastica, anche con la realizzazione di una vera e propria aula all’aperto nel giardino del plesso scolastico in via Minniti. Il progetto sarà sviluppato dal personale scolastico in collaborazione con il Centro Educativo e di Attività Assistite con gli Animali ‘L’Asino che Vola’ di Altamura, una realtà particolarmente attiva, da diversi anni, sui temi della didattica fuori dalle aule e dell’interazione, a fini educativi, di bambini e ragazzi con la natura e gli animali.
“Fare scuola all’aperto – è scritto nella relazione del progetto – fa bene, migliora l’apprendimento, rende felici ed è uno strumento in più nella lotta sanitaria in questo tempo difficile. All’aperto i bambini si muovono tra gli alberi, inventano dal niente, si divertono giocando con i materiali naturali, imparano l’uno dall’altro in un ambiente infinitamente ricco di stimoli. … Non è più sufficiente educare sull’ambiente … occorre educare nell’ambiente, permettere alle nuove generazioni di instaurare un vissuto profondo con il luogo che chiediamo loro di rispettare e proteggere.”
Grazie al contributo regionale dello scorso anno, si legge ancora nella relazione, “siamo riusciti a mettere in rete più scuole, enti pubblici e privati, e insieme abbiamo dato inizio a un processo di innovazione nel territorio murgiano di didattica all’aperto che, ne siamo certi, non potrà più tornare indietro. Le famiglie che hanno richiesto per il prossimo anno l’outdoor school per i loro figli in classe prima sono veramente tante! È il caso dire che la sperimentazione …ha dato buoni frutti.”
Lo scorso anno, 50 sono stati i docenti impegnati, 115 le ore di formazione, 90 le ore dedicate ai laboratori pratici, 100 gli alunni coinvolti con le rispettive famiglie.
Proprio grazie a questo lavoro, il Circolo ‘Roncalli’ è ormai divenuto un punto di riferimento in Puglia della Rete nazionale di istituti scolastici “Innovazione, sperimentazione e ricerca per un’educazione all’aperto” (con sede a Bologna), della cui collaborazione si avvale.
Con lo sviluppo del progetto e grazie a questa seconda tranche di finanziamento regionale, il 3° Circolo si propone di creare un “centro pilota di didattica all’aperto” in Puglia. Per questo, sarà “necessario formare più insegnanti per dare una adeguata risposta a tutte le famiglie che hanno chiesto la didattica all’aperto per i loro figli” e “riqualificare gli ampi spazi esterni della nostra scuola” (per questo l’istituto scolastico si avvale della competenza dell’agronomo Paolo Direnzo) così da “trasformarla in centro di riferimento per le scuole del territorio regionale, con la supervisione dell’Università di Bologna”.
📌 Sono particolarmente felice per questo riconoscimento nei confronti di una formula didattica su cui da tempo sono impegnati il 3° Circolo Didattico ‘Roncalli’, diretto per tanti anni dalla dottoressa Rita Carulli (da pochi giorni passata alla direzione della Scuola secondaria di primo grado ‘Serena-Pacelli’ e a cui vanno i miei auguri per il nuovo incarico), e l’Associazione ‘L’Asino che Vola’ e su cui, un anno e mezzo fa, dalla Regione prestammo attenzione, non solo con il sostegno finanziario, ma anche facendo di questa esperienza una traccia inserita nelle schede preparatorie della nuova programmazione regionale 2021-27 dei fondi europei.
🤝 Ringrazio, per l’attenzione e il lavoro svolto in questi anni, l’Assessore regionale all’Istruzione Sebastiano Leo e lo Staff della Sezione regionale ‘Istruzione e Università’, diretta dall’arch. Marella Lamacchia. Ringrazio per stimoli e riflessioni, nonché per il lavoro appassionato dedicato, la Dirigente Rita Carulli e gli animatori dell’Associazione ‘L’Asino che Vola‘. Auguro ora buon lavoro a tutti: insegnanti e personale non docente della scuola, alunni e famiglie, associazione e formatori, la nuova dirigente scolastica dott.ssa Marilena Daraia (a cui vanno anche gli auguri per la nuova direzione e che spero di conoscere presto). A tutti loro (e, per quanto ci è possibile, a tutti noi, pur esterni alla comunità scolastica) è affidata la cura e la migliore realizzazione possibile di questo interessante e lungimirante progetto.
📌 Colgo questa occasione (scusandomi) per esprimere, ancora una volta, soddisfazione, con una buona dose di orgoglio, per i progetti e le opportunità che, nei miei quattro anni in Regione (2016-2020), sono riuscito a creare o sostenere per tante scuole del territorio. Limitandomi ad Altamura:
☑️ dal punto di vista #strutturale, ad esempio, il grande progetto del Polo Innovativo per l’Infanzia nel quartiere Trentacapilli e il Nuovo Istituto Comprensivo nel quartiere Trentacapilli, entrambi in fase di progettazione; la nuova palestra della scuola “Padre Pio” la cui realizzazione è in via di completamento; gli importanti lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento strutturale della “Ottavio Serena” di cui si attende la gara di appalto; quelli, già effettuati o in corso, per il plesso “G. Garibaldi”, “IV Novembre” e “G.B. Castelli”; i lavori, completati un anno fa, per il recupero della funzionalità della palestra della “Don Milani”; il ripristino, due anni fa, del solaio dell’auditorium e dei prospetti esterni della “Tommaso Fiore”, ecc.);
☑️ l’attivazione di nuovi #indirizzi (negli Istituti “De Nora” e “Nervi”, al Liceo Scientifico “Federico II”, ad esempio),
☑️ o di nuovi servizi e #spazi (ad esempio la Biblioteca di Comunità Agorateca presso la “Tommaso Fiore”; il “Laboratorio/Archivio degli strumenti della Scienza” presso il Liceo Cagnazzi);
☑️ il sostegno a numerosi #progetti didattici, educativi, formativi di scuole del territorio che hanno beneficiato di contributi regionali.

Pensieri lunghi. Parole semplici. Azioni concrete.

1/3 – “Pensieri lunghi. Parole semplici. Azioni concrete.” Ancora 40 mesi fa.
Per anni, sempre, le coordinate del mio senso della Politica.
2/3 – “Pensieri lunghi. Parole semplici. Azioni concrete.” Ancora 40 mesi fa!
Cosa ne è stato subito dopo le elezioni comunali del giugno 2018? Cosa resta? Si possono eludere le risposte, tenere alla larga le persone che tali domande hanno posto in questi anni, ma non si può evitare di porsi queste domande.
3/3 – “Pensieri lunghi. Parole semplici. Azioni concrete.”
Dobbiamo, presto, trovare forme e luoghi per tornare a pensare, parlare, agire assieme.

AVVISI DELLA SOCIETÀ CONSORTILE “MURGIA SVILUPPO” PER ACQUISIRE CANDIDATURE PER I RUOLI DI AMMINISTRATORE UNICO, DI PRESIDENTE E DI COMPONENTE DEL COLLEGIO SINDACALE.

Vi segnalo questi due #Avvisi di Murgia Sviluppo di cui ho appreso solo oggi, casualmente, da un conoscente. La loro pubblicazione risale a un mese fa, anche se nessuna forma di adeguata divulgazione, mi sembra, è stata adottata dai Comuni che compongono la compagine societaria, tra cui Altamura, tranne la doverosa pubblicazione nell’albo pretorio.
Gli Avvisi scadono tra pochi giorni (ore 12 del 31 agosto) e sono diretti ad acquisire le candidature per la funzione di Amministratore Unico della Società, uno, e di Presidente e di Componente del Collegio Sindacale, il secondo.
Riporto nelle immagini i due avvisi, ma per reperirli nella versione ufficiale con i relativi allegati (schemi della documentazione da produrre per le candidature) è necessario accedere all’Albo Pretorio Online (sezione “documenti all’albo”) del sito del Comune di Altamura e scorrere verso il basso sino alla data del 20/07/2021, da qui:

 

Questi e altri spazi

 

Vi segnalo questa interessante rassegna “QUESTI ED ALTRI SPAZI – Enter the Void” in programma dal 31 agosto al 3 settembre nell’atrio del Liceo Cagnazzi di Altamura. Mette insieme linguaggi diversi (conferenze, mostre, sessioni musicali) che declinano il concetto di “Spazio”. I miei

complimenti

a ideatori e organizzatori, tra cui, in particolare, Pasquale Castellano.

👉 Per tutte le informazioni sui singoli appuntamenti che compongono la rassegna, rinvio alla pagina Facebook dedicata, da qui: